Libia: quelle elezioni così vicine e così lontane
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Libia: quelle elezioni così vicine e così lontane

Tra dodici giorni si dovrebbero tenere le elezioni della svolta, della stabilizzazione, pietra miliare del processo di democratizzazione di un Paese lacerato da una guerra decennale. Ma di queste salvifiche elezioni nessuno se ne è accorto.

Libia: quelle elezioni così vicine e così lontane
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

12 Dicembre 2021 - 17.13


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Tra dodici giorni, il 24 dicembre, si dovrebbero tenere le elezioni della svolta, della stabilizzazione, pietra miliare del processo di democratizzazione di un Paese lacerato da una guerra decennale. Ma di queste salvifiche elezioni in Libia nessuno se ne è accorto.

Elezioni, queste sconosciute

A evocarle sono alcuni attori internazionali. E’ notizia di oggi, 12 dicembre, che il segretario di Stato Usa Antony J. Blinken nell’incontro in ambito G7 con il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio, a margine della riunione dei ministri degli Esteri a Liverpool, ha “concordato di continuare una stretta consultazione con altri alleati della Nato e partner dell’UE su un approccio coordinato e globale”. Lo ha riferito il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price. I due “hanno discusso di questioni di sicurezza nel Mediterraneo e hanno riaffermato il loro sostegno ai leader politici libici che adottano le misure necessarie per tenere le elezioni parlamentari e presidenziali nazionali il 24 dicembre”.

Chi siano questi leader nessun lo sa.

Elenco segreto

Tant’è che prende sempre più corpo, a Tripoli come a Bengasi, la voce di un possibile slittamento delle elezioni. Un segnale in tal senso viene dall’Alta Commissione elettorale libica (Hnec)  che ha annunciato il rinvio sine die della pubblicazione della lista definitiva dei candidati presidenziali a due settimane da questo appuntamento cruciale per il Paese, nel caos ormai da un decennio .L’Hnec non ha dato una nuova data per la pubblicazione di questa lista, passo che dovrebbe dare il via alla campagna elettorale. Secondo il regolamento dell’elezione del primo capo di Stato libico a suffragio universale, prevista per il 24 dicembre, la Commissione avrebbe dovuto pubblicare l’elenco definitivo due settimane dopo gli appelli definitivi, i ricorsi e le decisioni dei tribunali sui candidati. Ma in un comunicato sul proprio sito, l’Hnec afferma che deve ancora “adottare una serie di misure” giudiziarie e legali “prima di procedere alla pubblicazione della lista definitiva dei candidati e all’inizio della campagna elettorale”.

Caos totale

A darne conto, in un illuminante articolo pubblicato in Italia da Internazionale, è il regista e scrittore libico Khalifa Abo Kraisse.

“Scrivere di Libia è sempre sconcertante, figuriamoci un articolo informativo che non sia troppo complicato né troppo semplificato. Ricevere un compito simile ti fa sentire come se avessi i postumi di una sbornia, o come se cercassi di cucire con ago e filo guidando contromano in autostrada. Dopo aver assorbito troppe notizie e informazioni provenienti da quel paese senti la necessità di entrare in una chiesa, accendere una candela e chiedere perdono per il peccato di sapere troppe cose sulla Libia. Con l’avvicinarsi della data delle elezioni, forse conviene organizzarsi per comprare una bella scorta di candele. […]. Si sono presentati più di novanta candidati alle elezioni presidenziali in programma il 24 dicembre. È impossibile parlare di tutti, anche se non manca il materiale colorito e bizzarro fornito dai candidati: ex leader di milizie, uomini d’affari accusati di corruzione, ‘presunti’ spacciatori, ex membri dell’élite ai tempi del regime di Muammar Gheddafi e così via. Folle di cittadini molto arrabbiati hanno già fatto chiudere gli uffici elettorali in più di otto città per esprimere la loro opposizione alla possibilità ‘che ricercati dalla giustizia o che personaggi responsabili della morte o della fuga dal Paese dei libici possano candidarsi alle elezioni’. Molte figure affiliate alla Fratellanza musulmana hanno chiesto il boicottaggio del voto. Alcuni si sono spinti fino a dichiarare che, in caso di necessità, faranno chiudere i seggi con la forza. Altri stanno cominciando a diffondere il dubbio riguardo le procedure nel loro complesso, divulgando informazioni prive di fondamento su presunte compravendite di schede elettorali e mettendo in dubbio la capacità della commissione elettorale di organizzare un voto trasparente e onesto. Khalid al Mishri ha addirittura chiesto di installare dei dispositivi di riconoscimento biometrico per identificare gli elettori attraverso le scansioni delle pupille o dei volti. ..”.

L’articolo è del 20 novembre. Ad oggi, le cose non sono migliorate, anzi.

Tutti contro tutti

Una decina di giorni fa , il primoministro libico Abdul Hamid Dbeibah ha dichiarato che la legge elettorale approvata dal parlamento è viziata e scritta per favorire candidati specifici, affermando che avrebbe annunciato se si candiderà alla presidenza “al momento giusto”.

Gli alleati di Dbeibah hanno detto a Reuters una settimana fa che si sarebbe candidato, nonostante avesse promesso, quando è stato insediato come primo ministro del governo di unità provvisoria, che non avrebbe preso parte alle prossime elezioni. Dbeibah ha dichiarato durante una manifestazione a Tripoli che “non possiamo essere soddisfatti di questa legge imperfetta”. Dbeibah ha aggiunto “al momento giusto” annuncerà la sua posizione in queste elezioni.

Ma questo fatidico momento non è ancora arrivato.

L’imbroglio libico

Scrive Lorenzo Cremonesi, inviato di guerra del Corriere della Sera, uno dei pochi che la Libia l’ha conosciuta e raccontata dal campo: “Torna un Gheddafi al centro dell’imbroglio libico. Per molti aspetti le controversie che accompagnano la candidatura di Saif al Islam alle elezioni presidenziali ben rispecchiano le enormi difficoltà sul percorso del voto. Sulla carta, così come chiesto dall’Onu, la Libia andrà alle urne il 24 dicembre.La speranza del rappresentante Onu, il neo-dimissionario Jan Kubis, era si effettuassero nello stesso giorno due scrutini: uno per scegliere i 200 parlamentari e l’altro per designare il presidente. 
Tuttavia, dopo lunghe schermaglie, si è optato per il primo turno delle presidenziali subito (con 98 candidati, di cui 5 predominanti, sarà impossibile un vincente subito con più della metà dei suffragi) e dopo 52 giorni le parlamentari assieme al ballottaggio delle presidenziali. Ad oggi, tuttavia, è guerra aperta tra i candidati presidenti.  Con una mossa annunciata da tempo, il 49enne Saif, noto come il figlio più politico di Muammar Gheddafi, ha presentato la sua documentazione all’ufficio elettorale. Con lui stanno i fedelissimi del Colonnello linciato alle porte di Sirte dieci anni fa, assieme a tanti disillusi dal caos in cui è piombato il Paesee i nostalgici di un nuovo uomo forte. Ma subito la Commissione elettorale centrale di Tripoli, controllata dalle forze legate al fronte islamico, l’ha bocciato, mentre le milizie di Misurata ne chiedono l’arresto immediato. 
Come se non bastasse, una squadraccia legata all’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar, ha impedito con la forza ai rappresentanti di Saif di fare ricorso. La cosa non è strana: Haftar, la cui candidatura è stata invece accettata ma ora viene rifiutata dalle milizie di Misurata, vede nel rampollo di Gheddafi un concorrente che «pesca» nel suo stesso elettorato. Mosca, che una volta sosteneva Haftar, oggi sta con Saif e chiede il rinvio del voto. Il premier uscente Abdul Hamid Dbeibeh preme invece per essere confermato. La via resta in salita e il rinvio possibile”.

Così Cremonesi.

Dieci anni dopo quella sciagurata guerra voluta dalla Francia e subita dall’Italia, non si vuol prendere atto che la Libia del post-Gheddafi è uno Stato fallito, dove a farla da padroni, quelli veri, sono signori della guerra, trafficanti di esseri umani, banditi di vario genere e caratura, improbabili “tecnici” spacciati per leader politici, signor nessuno come era l’ormai dimenticato Fayez al-Sarraj. Il tutto in un Paese in cui operano, direttamente o per procura, attori esterni che ambiscono a mettere le mani sulla torta petrolifera libica. L’elenco è lunghissimo. Solo per citarne i più attivi: Russia, Turchia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Qatar. E un po’, ma nemmeno tanto, defilato, la Francia. La verità che si cerca di nascondere è che l’obiettivo praticato da molti di questi attori esterni è quello della spartizione territoriale della Libia, e delle sue ricchezze di gas e petrolio. 

Annota Antonio M.Morone su Nigrizia

“La questione, più in generale, del posto dei vecchi dirigenti del regime nella ‘nuova Libia’ – scrive tra l’altro Morone –  in effetti una delle partite chiave ancora irrisolte. Già nel 2013 la legge voluta dall’allora élite politica di Misurata per un embargo verso tutti gli esponenti e funzionari dell’ex regime, portò rapidamente al collasso del fragile sistema politico uscito dalle prime elezioni del 2012, contribuendo in modo decisivo a innescare quella crisi militare che si è chiusa – forse – nel 2021 con la nascita del nuovo governo Dbeibeh. La verità è che in Libia sono in molti a coltivare una nostalgia crescente per l’ex regime, senza contare che alcuni distretti del paese, come Bani Walid e altri nel Fezzan, non hanno mai fatto mistero di auspicare una soluzione politica intesa a riproporre, se non proprio restaurare, l’ex regime. In fondo, proprio per essere una guerra civile, la crisi libica si è sempre composta di una parte della società che non solo combatté, armi alla mano, fino all’ultimo in favore di Gheddafi oltre la sua stessa morte, ma che ha anche continuato a sostenere il modello di stato e di società che l’ex regime aveva forgiato per oltre quattro decenni; dopo dieci anni di guerra durante i quali a perderci sono stati soprattutto i libici, la gente comune, non deve stupire il seguito che Saif, o chi per lui, potrebbe avere alle prossime elezioni politiche”.

La candidatura del figlio del fu rais e quella di Khalifa Haftar hanno fortemente contribuito all’attuale blocco. Non è un caso se diverse milizie misuratine e tripolitane hanno minacciato di riprendere le armi se avessero avuto il permesso di competere. L’iniziativa è in linea con l’incontro tenutosi all’aeroporto di Mitiga il 17 novembre. In tale sede si sono riuniti diversi ambasciatori occidentali, tra cui il rappresentante degli Stati Uniti Richard Nordland e l’ambasciatore francese oltre a candidati come Fathi Bachagha.

Peccato, però, che i colloqui non abbiano coinvolto due dei principali contendenti: il primo ministro Abdelhamid Dabaiba e Khalifa Haftar

Lotta continua

Intanto, nel disinteresse della comunità internazionale e di una stampa mainstream, continua la lotta dei rifugiati davanti alla sede dell’Unhcr (L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) a Tripoli; da quasi tre mesi sono in presidio permanente per chiedere l’evacuazione dalla Libia verso un paese sicuro, ma la situazione sta diventando sempre più dura. “Sono 2500, molti sudanesi ed eritrei ma provenienti anche da altre zone dell’Africa subsahariana, diversificati per età, che ci ricordano che stanno lottando in rappresentanza di tutti i migranti intrappolati in quel paese” racconta a Radio Onda d’Urto Serena Sardi di Mediterranea Saving humans “Le condizioni meteo sono in peggioramento e mancano ripari, servizi igienici, cibo: il loro umore sta peggiorando anche perchè l’Unhcr non sta facendo nulla per aiutarli e le loro rivendicazioni restano inascoltate.” Questa lotta però è già straordinaria per come è stata organizzata e per il fatto stesso di essere fatta: “l’aspetto più importante è che questi rifugiati hanno deciso di lottare per i propri diritti senza nascondersi, per il loro diritto di essere riconosciuti come persone. Le decisioni le prendono collettivamente, in assemblea -prosegue Serena- si tratta di un grande momento di autorganizzazione.”.

Una cosa è certa: nessuno dei candidati alla Presidenza di uno Stato fallito chiamato Libia ha un minimo d’interesse per i destini di quei disperati. Per loro, semplicemente non esistono. O per peggio dire: esistono come arma di ricatto verso l’Europa. Esistono per fare affare con i trafficanti di esseri umani che dettano ancora legge in vaste aree, soprattutto costiere, della Libia. Esistono per essere respinti in mare e ricacciati nei campi di detenzione libici, parte dei quali gestiti direttamente dalle autorità del paese nordafricano. Esistono per giustificare i finanziamenti italiani a quell’associazione a delinquere denominata Guardia costiera libica. Esistono come merce, non come esseri umani con i loro diritti, con la loro dignità. E poi, loro non votano. 

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