Egitto, la farsa di al-Sisi: toglie lo stato d'emergenza per rafforzare lo stato di polizia
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Egitto, la farsa di al-Sisi: toglie lo stato d'emergenza per rafforzare lo stato di polizia

Un’operazione di facciata ma che i tanti che fanno affari con l’Egitto, governi, grandi consorterie petroliferi, produttori e venditori di armi, spacceranno per una svolta garantista.

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

1 Novembre 2021 - 17.36


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Come un presidente-carceriere prova a ripulire la sua immagine. Un’operazione di facciata ma che i tanti che fanno affari con l’Egitto, governi, grandi consorterie petroliferi, produttori e venditori di armi, spacceranno per una svolta garantista.

La tanto a lungo auspicata fine dello stato d’emergenza in vigore dal 2017, annunciata dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi il 25 ottobreè caratterizzata dal proseguimento di decine di processi di difensori dei diritti umani, attivisti, esponenti politici di opposizione e manifestanti pacifici presso i tribunali d’emergenza per la sicurezza dello stato, le cui procedure sono profondamente inique.

Lo ha dichiarato Amnesty International alla vigilia della nuova udienza del processo che vede imputati di fronte a uno di questi tribunali il blogger e attivista Alaa Abdel Fattah, il blogger Mohamed “Oxygen” Ibrahim e l’avvocato e direttore del Centro Adalah per i diritti e le libertà Mohamed Baker con l’accusa, politicamente motivata, di aver “diffuso informazioni false per minacciare la sicurezza nazionale” sui loro social media.I tre imputati hanno trascorso oltre due anni in detenzione preventiva in condizioni terribili, privati di contatti regolari con le loro famiglie e del diritto di avere colloqui privati con i loro avvocati. “La buona notizia della fine dello stato d’emergenza è che non potranno più essere assegnati nuovi casi ai tribunali d’emergenza. Ma i processi in corso, aumentati negli ultimi tre mesi col rinvio a giudizio di una ventina di attivisti, esponenti politici di opposizione e difensori dei diritti umani, continueranno”, ha dichiarato Philip Luther, direttore delle ricerche sul Medio Oriente e sull’Africa del Nord di Amnesty International.“Se volessero affrontare davvero la crisi dei diritti umani in corso, le autorità egiziane dovrebbero rilasciare immediatamente e senza condizioni tutti coloro che sono sotto processo presso i tribunali d’emergenza per aver esercitato pacificamente i loro diritti umani. Questi tribunali dovrebbero cessare di funzionare del tutto, dato che le loro procedure violano i più elementari standard sui processi equi, compreso il diritto degli imputati ad appellarsi a un tribunale di grado superiore in caso di condanna”, ha aggiunto Luther.

Dettagli sui processi in corso presso i tribunali d’emergenza 

Alaa Abdel Fattah e Mohamed Baker sono imputati di “diffusione di notizie false” per aver criticato le autorità circa il trattamento dei detenuti e per alcuni decessi in custodia avvenuti in circostanze sospette; Mohamed “Oxygen” Ibrahim, inveceper aver denunciato sui social media il mancato rispetto dei diritti sociali ed economici da parte del governo. I loro scritti non hanno in alcun modo incitato alla violenza e all’odio e sono dunque protetti dalla costituzione egiziana e dagli obblighi internazionali in materia di libertà d’espressione.

Alaa Abdel Fattah è stato arrestato il 29 settembre 2019 così come Mohamed Baker, suo avvocato, proprio mentre si era recato a incontrare il suo cliente in un ufficio della procura. In occasione del loro trasferimento in carcere, nel mese di ottobre, Alaa Abdel Fattah è stato bendato, denudato, preso a calci e a pugni e, insieme a Mohamed Baker, sottoposto a insulti e minacce. La procura non ha disposto indagini.

Mohamed “Oxygen” Ibrahm è stato arrestato il 21 settembre 2019.

Il 19 novembre 2020 un tribunale del Cairo ha arbitrariamente aggiunto Alaa Abdel Fattah e Mohamed Baker alla “lista dei terroristi” per cinque anni. A seguito di questa decisione, per quel periodo di tempo sarà loro vietato viaggiare all’estero o prendere parte ad attività politiche e civili.

Alaa Abdel Fattah, Mohamed “Oxygen” Ibrahim e Mohamed Baker sono detenuti nella prigione di massima sicurezza Tora 2 in condizioni punitive che violano il divieto assoluto di torture e altri maltrattamenti.

A differenza di altri detenuti, Alaa Abdel Fattah e Mohamed Baker sono confinati in celle piccole e scarsamente ventilate, non possono svolgere esercizi fisici, accedere ad aria fresca e leggere qualsiasi tipo di materiale. Dormono sul pavimento, senza letti né materassi, e soffrono di dolori alla schiena. Hanno denunciato questi trattamenti come violazione dei diritti di prigionieri ai sensi della legislazione egiziana sulle prigioni, ma i loro ricorsi stati ignorati così come le richieste di essere vaccinati contro il Covid-19. Non vengono loro forniti gel disinfettanti e mascherine nonostante si trovino in celle sovraffollate.

Le conseguenze sulla loro salute mentale sono devastanti. Ad agosto Mohamed “Oxygen” Ibrahim ha tentato il suicidio dopo mesi in cui gli era stato impedito di incontrare i familiari e di nominare un avvocato. A settembre Alaa Abdel Fattah ha espresso intenzioni suicide e continua a non avere corrispondenza regolare con i suoi familiari.

Oltre a questi tre processi, Amnesty International ha ricostruito altri 143 procedimenti assegnati ai tribunali d’emergenza dal 2017, compresi quelli derivanti unicamente dal pacifico esercizio dei diritti alla libertà di riunione e d’espressione.

Tra gli imputati attualmente sotto processo vi sono il difensore dei diritti umani e studente presso l’Università di Bologna Patrick George Zaki, l’ex parlamentare e avvocato per i diritti umani Zyad el-Elaimy, i giornalisti Hisham Fouad e Gossam Moanis, il difensore dei diritti umani Ezzat Ghoniem, l’avvocata per i diritti umani Hoda Abdelmoniem, l’ex candidato alle presidenziali del partito “Masr al-Qawita” Abdelmoniem Aboulfotoh e il vicepresidente di questo partito, Mohamed al-Kassas. Prima del rinvio a giudizio, sono stati in detenzione preventiva per accuse di terrorismo per quasi due anni e in alcuni casi anche oltre quello che è il massimo previsto dalla procedura egiziana.

Il 22 giugno un tribunale d’emergenza aveva condannato a quattro anni di carcere, al termine di un processo clamorosamente iniquo, lo studente dell’Università centrale europea di Vienna Ahmed Samir Santawy per “diffusione di notizie false”, a causa di post pubblicati sui social media.

Oltre all’impossibilità di ricorrere in appello a un tribunale di grado superiore, le procedure dei tribunali d’emergenza non riconoscono i diritti a un periodo di tempo adeguato per preparare la difesa, a comunicare coi propri avvocati difensori e a un’udienza pubblica. Alaa Abdel Fattah e Mohamed Baker non hanno colloqui privati coi loro legali dal mese di maggio.

Inoltre, i giudici dei tribunali d’emergenza respingono abitualmente le richieste degli avvocati di fotocopiare i fascicoli, che in alcuni casi sono di oltre 2000 pagine, imponendo loro di esaminarli durante le udienze. I procuratori e i giudici non forniscono copie dei capi d’accusa agli imputati e ai loro avvocati, compromettendo il diritto di essere informati sull’esatta natura e sulle ragioni delle imputazioni mosse contro di loro.

Fin qui Amnesty

La vera vittoria per gli oppositori del regime sarebbe stata la cancellazione dei reati previsti dalla legge sul terrorismo, il passaggio decisivo. Come ricordato da Gamal Eid, la detenzione per i detenuti in attesa di giudizio non cambia, sia a livello processuale che formale. Inoltre, non è prevista alcuna novità sul giro di vite nei confronti dell’informazione e della censura verso giornali, siti e tv ostili al regime, sul sistema di spionaggio e di svuotamento dei diritti degli arrestati: “Certo questo è un segnale che va colto con ottimismo – spiega un portavoce di Ecrf, la ong che dal 2016 segue la famiglia di Giulio Regeni -, ma da solo non serve a nulla. Assieme ai colleghi delle altre organizzazioni abbiamo inviato una lista di 7 richieste al governo egiziano per pacificare davvero il Paese. Per ora, con la revoca dello stato d’emergenza siamo fermi a una. È chiaro che non ci basta”.

Ed eccole le richieste presentate dal ‘cartello’ di Ong egiziane, l’altro nemico del regime assieme alla Fratellanza Musulmana: “Liberare tutti i prigionieri politici – precisa un documento inviato da Afte, l’organizzazione che legalmente sta seguendo il caso di Ahmed Samir Santawi, quasi identico a quello di Patrick Zaki -, fermare i rinnovi periodici delle detenzioni e revocare l’azione criminale dello Stato verso la società civile, oltre a sbloccare la censura nei confronti dei mezzi di informazione ostili al regime, imbavagliati in questi anni”.

Repressione infinita

La comunità egiziana per i diritti umani sta soffrendo un “annientamento” da parte del governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi: più di 100 importanti organizzazioni per i diritti umani di tutto il mondo lanciano l’allarme in una lettera ai ministri degli Esteri dei Paesi membri del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.  

I gruppi hanno invitato i governi a guidare e sostenere la creazione di un meccanismo di monitoraggio e segnalazione sulla situazione dei diritti umani in continuo deterioramento in Egitto. L’istituzione di un meccanismo di monitoraggio e segnalazione rappresenterebbe un passo importante per incrementare la visibilità sulle violazioni e sui crimini commessi, fornire rimedi giuridici ai sopravvissuti e alle famiglie delle vittime, scoraggiare ulteriori abusi e stabilire sistemi per la definizione delle responsabilità.

“I governi del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite dovrebbero dichiarare al governo egiziano che gli abusi sono e saranno monitorati e segnalati e che gli egiziani che con coraggio affrontano l’oppressione quotidianamente non sono soli nella loro lotta”, afferma John Fisher, Direttore di Ginevra dell’Human Rights Watch.

Dieci anni dopo la rivolta nazionale egiziana del 2011 che ha destituito il presidente Hosni Mubarak, gli egiziani vivono sotto un governo repressivo che soffoca ogni forma di dissenso e di espressione pacifica. Le ultime settimane hanno dimostrato che l’azione collettiva è possibile e può avere un impatto. “Solo attraverso un’azione internazionale sostenuta e impegnata possiamo garantire la sopravvivenza del movimento egiziano per i diritti umani nel prossimo futuro”, scrivono i gruppi nella loro lettera.

Secondo i gruppi che hanno aderito alla lettera, la lotta per i diritti umani in Egitto è in “un momento critico”. L’inazione dei partner egiziani e degli Stati membri del Consiglio dei diritti umani ha incoraggiato il governo egiziano “nei suoi sforzi per mettere a tacere il dissenso e schiacciare la società civile indipendente”.

I recenti arresti e le indagini scioccanti condotti nei confronti di alti funzionari dell’Egyptian Initiative for Personal Rights (EIPR) e il congelamento dei loro beni attraverso procedimenti di fronte al tribunale penale – in un vero e proprio circuito del terrore – rappresentano un “attacco aberrante e inaccettabile” contro una delle più importanti organizzazioni per i diritti umani nel paese, hanno detto i gruppi. Questi fatti dimostrano la determinazione del governo egiziano a intensificare i suoi attacchi continui, diffusi e sistematici contro i difensori dei diritti umani e lo spazio civico.

Dopo la destituzione dell’ex presidente Mohammed Morsi dal potere nel luglio 2013, le autorità egiziane hanno intrapreso una repressione sempre più brutale nei confronti dei difensori dei diritti umani e dei diritti civili e politici più in generale. Migliaia di egiziani, tra cui centinaia di difensori dei diritti umani, giornalisti, accademici, artisti e politici, sono stati detenuti arbitrariamente, spesso con accuse penali abusive o attraverso processi iniqui.

Le forze di sicurezza egiziane li hanno sistematicamente sottoposti a maltrattamenti e torture. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno avvertito che condizioni di detenzione catastrofiche hanno messo in pericolo la vita e la salute dei detenuti. Altri attivisti pacifici sono stati fatti sparire con la forza. Quello che è successo ad alcuni di loro non è mai stato rivelato.

“Il popolo egiziano ha vissuto in passato sotto governi dispotici, ma gli attuali livelli di repressione in Egitto non hanno precedenti nella sua storia moderna”, rimarca Bahey El-din Hassan, direttore del Cairo Institute for Human Rights Studies. “Le conseguenze sono potenzialmente terribili sia per i diritti umani che per la stabilità del Paese”. Nell’agosto 2020 il signor Hassan è stato condannato a 15 anni di carcere in contumacia da un tribunale per terrorismo in relazione al suo lavoro di difesa dei diritti umani nel paese.

In un contesto così severamente repressivo, molte organizzazioni per i diritti umani sono state costrette a chiudere, ridimensionare le loro operazioni, operare dall’estero o lavorare sotto il costante rischio di arresti e molestie.

Il governo in genere invoca l’”antiterrorismo” per giustificare questi abusi e per criminalizzare la libertà di associazione e di espressione. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno messo in guardia dall’uso da parte dell’Egitto di “circuiti terroristici” dei tribunali penali per prendere di mira i difensori dei diritti umani, mettere a tacere il dissenso e rinchiudere gli attivisti durante la pandemia Covid-19.

Una enorme prigione a cielo aperto. Dentro la quale spariscono decine di migliaia di oppositori. L’abolizione (farsa) dello Stato d’emergenza non incrina lo Stato di polizia che imprigiona l’Egitto. 

 

 

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