L'incubo infinito del Libano e lo spettro di una nuova guerra civile
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L'incubo infinito del Libano e lo spettro di una nuova guerra civile

Ad accompagnare Globalist nel mostro viaggio nel Paese dei Cedri è Issa Goraieb, direttore de L’Orient- Le Jour, il quotidiano francofono di Beirut,  tra i più autorevoli analisti politici libanesi.

Tensioni in Libano
Tensioni in Libano
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

17 Ottobre 2021 - 17.27


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Libano, incubo infinito. Il passato che non passa. Un futuro su cui aleggia, sempre più minaccioso, sempre più reale, lo spettro di una nuova guerra civile.

Ad accompagnare Globalist nel mostro viaggio all’interno delle paure che attanagliano il Paese dei Cedri è Issa Goraieb, direttore de L’Orient- Le Jour, il quotidiano francofono di Beirut,  tra i più autorevoli analisti politici libanesi.

Un passato che non passa

Scrive Goraieb: “Quale libanese sano di mente vorrebbe davvero un’altra guerra? Certamente non quelli che sono sopravvissuti alla crisi del 1975-1990 e che non hanno altra preoccupazione, in questi tempi calamitosi, che assicurare la sussistenza delle loro famiglie. E ancor meno, senza dubbio, le nuove generazioni, che aspirano a vivere pienamente, nella normalità e nella dignità, all’ombra di uno Stato degno di questo nome, e che leader criminali o incompetenti sono determinati a spingere sulle vie dell’esodo. Ma allora, per quale fatale destino, quale maledizione, per effetto di quale groviglio di disegni neri il Libano si trova regolarmente, ciclicamente, sull’orlo dell’eruzione?

Chiedete in giro e avrete tante risposte quante sono le religioni, i partiti e i clan del nostro piccolo paese. È qui che si trova il male libanese. Ma il male è ancora più mortale quando è intorno alla giustizia che si accende il dibattito esplosivo. Perché, meglio di un parlamento e di un governo – organi che le peggiori dittature possono facilmente acquisire – questo potere, che si dice essere terzo, dà veramente le sue lettere di nobiltà a qualsiasi stato. Sì, è la giustizia che, prima ancora della forza pubblica, garantisce, o almeno difende, la sicurezza delle persone e dei beni; è la giustizia che regola il corso e il ritmo della società. Regola il corso e il ritmo della società e, se necessario, vi mette ordine.

Che Hezbollah sia ora al centro del dibattito, come già al tempo dell’assassinio di Rafik Hariri nel 2005, è anche nell’ordine freddamente logico delle cose. Qualificata come terrorista da una parte sostanziale della comunità internazionale, e accusata di essere impegnata in mille traffici, la milizia filo-iraniana è difficilmente in odore di santità nelle segrete dei tribunali. Ma soprattutto, è veloce a passare all’offensiva non appena la spada della giustizia viene brandita un po’ troppo vicino. Già controllando l’Assemblea e il governo, Hassan Nasrallah sta lanciando una sorta di campagna di conquista  della  magistratura, il gioiello della corona, attraverso la sua campagna contro il giudice Tarek Bitar che indaga sul sanguinoso scandalo del porto di Beirut. Lasciarlo andare sarebbe un lusso che il Libano non può più permettersi senza perdere la sua anima.

Bloccare le istituzioni, ricattare la guerra civile: su questi due binari, Hezbollah ha compiuto la sua irresistibile ascesa, aiutato naturalmente dalla mancanza di spina dorsale, dall’arrivismo sfrenato o dalla corruzione di un establishment politico che accumula concessioni, compromessi e sottomissioni. Tuttavia, quello che è stato a lungo un boulevard, una strada reale, anche se con la sua parte di dossi, sta ora portando a un incrocio molto pericoloso. Ad appena un mese di vita, il governo Mikati è già paralizzato, se non addirittura minacciato di crollare, dallo sciopero dei suoi membri sciiti che chiedono la destituzione del magistrato Bitar; quanto allo spargimento di sangue di giovedì a Tayouné, che ha gettato tutto il Libano nel lutto, non potrebbe che riaccendere in ogni casa, con più intensità che mai, l’incubo della guerra civile.

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Chi ha aperto le ostilità quel giorno? Non è un insulto a tutto quel sangue (e certamente non è una scusa per nessuno, al contrario) mettere in guardia contro l’intenso sfruttamento politico che si sta facendo di questo primo colpo: che, del resto, potrebbe benissimo essere opera di provocatori, come fu abbondantemente illustrato durante la guerra dei quindici anni. Resta il fatto che gli organizzatori della manifestazione anti-Bitar conoscevano perfettamente i rischi che essa poteva sfuggire di mano quando uomini armati si sono mescolati in gran numero alla folla dei manifestanti, o anche a quale tipo di risposta era esposta quando legioni di militanti che gridavano slogan settari si sono aggirati in una strada del quartiere ultrasensibile di Ain el-Remmané e hanno compiuto atti di vandalismo. Hezbollah non è, naturalmente, solo nell’affrontare questo crocevia di pericoli. C’è quindi da sperare che le varie formazioni armate ancora esistenti in Libano diano prova di moderazione per non cadere nella trappola di una guerra la cui sola menzione fa inorridire l’intera popolazione. Infine, l’ora della verità, l’ora delle revisioni strazianti, è apparentemente suonata per il presidente Michel Aoun, alla soglia dell’ultimo anno del suo mandato di sei anni. Libano ostaggio di interessi e calcoli particolari, sacrosanta indipendenza della giustizia, soluzione nel quadro rigoroso delle istituzioni e non in strada: il capo dello Stato non ha usato mezzi termini per prendere le distanze da un alleato al quale deve la sua adesione alla prima magistratura dello Stato. Intensa, è vero, era diventata la sua posizione. La fortuna politica può richiedere le più abili contorsioni, ma sarà difficile per lui rimanere seduto tra due sedie: anche se sono sedie presidenziali.”

Più chiaro di così.

La crisi morde

A radiografare una crisi senza precedenti è Giandomenico Serrao in un documentato report per Agi.

Per la spesa settimanale non basta il reddito mensile di una famiglia. Le banche non danno più denaro. Mancano i farmaci di base e le file alle stazioni di servizio possono durare ore. Ogni giorno, molte case non hanno elettricità.  Questo è il Libano oggi, un Paese che sta subendo una catastrofe umanitaria causata da un tracollo finanziario. La Banca Mondiale l’ha definita una delle peggiori crisi finanziarie degli ultimi secoli.

‘Sembra davvero che il Paese si stia sciogliendo’, annota Ben Hubbard, giornalista del New York Times che ha trascorso gli ultimi dieci anni in Libano. ‘Le persone hanno visto scomparire un intero modo di vivere’. A tutto questo si aggiunge l’energy crunch che sta portando alle stelle in tutto il mondo i prezzi dell’energia e delle materie prime. Insomma la tempesta perfetta.  

Fmi: nessuna previsione, troppa incertezza

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Basti pensare che nell’ultimo World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale alla voce Libano c’è scritto “le proiezioni per il 2021-2026 non sono disponibili a causa dell’alto livello di incertezza”. Anche gli economisti dell’Fmi si sono arresi: impossibile prevedere un futuro per un Paese fallito. 

I numeri impietosi della Banca Mondiale

Gli ultimi numeri disponibili sono quelli della Banca Mondiale che non lasciano scampo. L’istituto stima che nel 2020 il Pil si sia contratto del 20,3%, dopo un calo del 6,7% nel 2019. Di fatto, il Pil libanese è crollato dai quasi 55 miliardi di dollari nel 2018 a circa 33 miliardi di dollari nel 2020, mentre il prodotto pro capite è sceso di circa il 40%. Una contrazione così forte, normalmente, è associata, spiega la Banca Mondiale, a conflitti o guerre. “Le condizioni monetarie e finanziarie rimangono altamente volatili; nel contesto di un sistema di tassi di cambio multipli”. Il cambio medio della Banca Mondiale si è deprezzato del 129% nel 2020. L’effetto sui prezzi si è tradotto in un’impennata dell’inflazione, con una media dell’84,3% nel 2020. Soggetto a un’incertezza eccezionalmente alta, si prevede che il Pil si contrarrà di un ulteriore 9,5% anche quest’anno.”.

La longa mano iraniana    

Lo scorso 7 ottobre, Il ministro degli Esteri iraniano Hussein Amir- Abdollahian,  si è recato in visita ufficiale a Beirut, oggi, giovedì 7 ottobre. Durante i colloqui con il presidente libanese Michel Aoun,  il capo della diplomazia di Teheran ha riferito che il proprio Paese sarà “sempre a fianco del Libano” per porre fine a un “assedio ingiusto”.

In particolare, il ministro iraniano ha affermato che Teheran fornirà assistenza in tutti i campi in cui il Libano ha bisogno di aiuto, viste le difficili condizioni economiche in cui riversa. A tal proposito, recitano i comunicati ufficiali, ’Iran si è detto disposto a partecipare ai lavori di ricostruzione del porto di Beirut, devastato da una violenta esplosione il 4 agosto 2020, mentre le compagnie iraniane costruiranno due centrali elettriche. Da parte sua, il capo di Stato libanese ha riferito che Beirut sostiene gli sforzi profusi per incoraggiare un riavvicinamento dei Paesi mediorientali, con particolare riferimento al dialogo, in corso, tra Teheran e Riad, due rivali per eccellenza, e ai negoziati volti a ripristinare l’accordo sul nucleare iraniano. Al contempo, Aoun ha ringraziato il suo interlocutore per il sostegno offerto a seguito dell’incidente al porto di Beirut.

Amir-Abdollahian ha incontrato, separatamente, anche il presidente del Parlamento, Nabih Berri, prima di tenere colloqui con il premier Najib Mikati, il cui mandato ha avuto inizio il 10 settembre scorso. Non sono mancate, poi, conversazioni con il ministro degli Esteri libanese, Abdallah Bou Habib, e rappresentanti di gruppi palestinesi e di Hezbollah, partito sciita e alleato dell’Iran in Libano. Nel corso di una conferenza stampa congiunta con Berri, il capo della diplomazia iraniana ha affermato che Teheran e Beirut hanno entrambe evidenziato la necessità di rafforzare le relazioni bilaterali in “diversi modi”, oltre ad aver discusso del ruolo di Hezbollah e delle sue forse armate, considerate un deterrente nei confronti di Israele.  

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Circa le discussioni con il premier, non sono state rilasciate dichiarazioni da parte iraniana. Mikati, invece, ha affermato che il Libano accoglie con favore “qualsiasi sforzo profuso da parte di Paesi fratelli e amici, purché questi sforzi aiutino il Libano a preservare lo Stato, le sue istituzioni e a rafforzare la propria sicurezza legittima e le forze militari”. Il capo della diplomazia iraniana è stato poi ricevuto dal suo omologo libanese, Abdallah Bou Habib. È in tale occasione che è stato rivelato che le aziende iraniane sono pronte a costruire, in 18 mesi, “due centrali per la produzione di corrente elettrica con una potenza di 1000MW a Beirut e nel Sud”. Abdollahian ha anche fatto accenno a un accordo su una riunione della commissione economica congiunta tra Libano e Iran e ha precisato che “il fascicolo delle relazioni turistiche ed economiche resta aperto”.

La visita di Amir-Abdollahian è stata preceduta da una protesta a Beirut, il 6 ottobre, organizzata da un arco di forze politiche e organizzazioni della società civile contrarie a quella che viene percepita come una crescente influenza dell’Iran nel proprio Paese, soprattutto dopo che Hezbollah ha facilitato, dal 16 settembre scorso, l’invio di petrolio iraniano in Libano. A tal proposito, una terza petroliera è stata avvistata il 6 ottobre presso il porto siriano di Baniyas, il cui carico dovrebbe poi raggiungere i territori libanesi.

La mossa è stata considerata una violazione delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti, con possibili rischi aggiuntivi per la già fragile economia libanese. In particolare, risale al 15 ottobre 2018 la decisione degli Usa con cui Hezbollah è stato incluso in una lista comprendente cinque gruppi classificati dal Dipartimento di Giustizia statunitense come organizzazioni criminali transnazionali, nei confronti delle quali Washington ha predisposto indagini e misure penali più severe. Mikati, in precedenza, seppur dicendosi rammaricato della “violazione della sovranità libanese”, ha affermato di non temere sanzioni, in quanto le operazioni sono state svolte senza il coinvolgimento del governo di Beirut.

Il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha ripetutamente espresso interesse a rafforzare i legami commerciali non solo con Teheran, ma anche con Pechino, la quale ha affermato di voler sostenere il Libano con meno restrizioni rispetto ai Paesi occidentali. Mikati, invece, all’inizio del proprio mandato, ha dichiarato di voler migliorare i legami tra il Libano e la comunità internazionale, passando per la regione mediorientale. Ma analisti indipendenti a Beirut convergono nel ritenere, che riallacciare i rapporti con Riad, avversaria sia di Teheran sia di Hezbollah, sia una sfida complessa, al limite dell’impossibilità.

  Perché quella libanese è anche storia di un Paese usato da potenze straniere come campo di battaglia su cui si scontrano mire di potenza di attori esterni, arabi e non: Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Siria, Turchia, Iran. E sullo sfondo, il convitato di pietra di sempre: Israele. Ognuno di questi attori ha i suoi referenti interni -sciiti, sunniti, cristiano maroniti – che finanzia, sostiene politicamente, arma. Anche per questo, soprattutto per questo, quello dei Cedri è un Paese senza pace. 

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