Di Maio e l'Egitto: storia di un cerchiobottismo senza fine
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Di Maio e l'Egitto: storia di un cerchiobottismo senza fine

Giggino non ce la fa a drizzare la schiena e a dire chiaro e tondo che la misura è ormai colma da tempo e che l’Italia non sarà più passiva di fronte ai casi Regeni e Zaki

Verità per Giulio Regeni
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

1 Ottobre 2021 - 16.21


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Di Maio-Egitto: il cerchiobottismo non ha mai fine. Inutile insistere, Giggino non ce la fa proprio. Non ce la fa a drizzare la schiena e a dire chiaro e tondo, senza infarciture di ma anche, tuttavia etc., che la misura è ormai colma da tempo e che l’Italia non sarà più passiva di fronte alle provocazioni a getto continuano che da anni arrivano dal Cairo e dal regime del presidente-carceriere: Abdel Fattah al-Sisi, sul caso Zaki e su quello Regeni

La solita tiritera

“L’impegno del Governo è costante per continuare a far luce sulla tragica vicenda dell’omicidio di Giulio Regeni. Ribadisco con forza quanto già detto nella scorsa audizione, ovvero che il perseguimento della verità è sempre stato e continuerà ad essere un obiettivo fondamentale da raggiungere nelle nostre relazioni con l’Egitto. Alla verità hanno diritto Giulio Regeni, la sua famiglia ma anche l’Italia intera. Arrivare a un quadro definitivo e sancito da un giusto processo non restituirà Giulio ai suoi genitori, ma riaffermerà la forza dei valori di giustizia, trasparenza e stato di diritto in cui Giulio credeva”. Così il  ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, ieri, durante l’audizione in Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni. Sembrerebbe  il preludio di importanti annunci: il richiamo per consultazioni del nostro ambasciatore in Egitto, o la convocazione alla Farnesina dell’ambasciatore d’Egitto in Italia per “importanti comunicazioni”, o magari lo stop alle forniture di armi a un regime che fa spregio dei diritti umani. Qualcosa di concreto, insomma.

Speranza vana. 

Perché a dominare è sempre il cerchiobottismo. “Con le autorità giudiziarie egiziane il rapporto è stato altalenante, ma hanno nondimeno fornito documenti utili e informazioni altrimenti non disponibili ai nostri inquirenti, tra cui il fascicolo delle indagini o il video del dialogo tra Giulio e il venditore ambulante. Questo è avvenuto nonostante, tra Italia ed Egitto, non siano in vigore trattati di cooperazione giudiziaria”; e in questo quadro “l’incessante azione dell’ambasciata italiana al Cairo nel sollecitare l’aiuto della magistratura egiziana è stato fondamentale”. Ha detto ancora il ministro Luigi Di Maio: “Certo i risultati ottenuti sono insufficienti. Il dossier consegnato dal procuratore egiziano al nostro ambasciatore, Giampaolo Cantini, è stato deludente”. Ma per il ministro, il rinvio dell’ambasciatore in Egitto “è stata una scelta giusta”. Di Maio ha tenuto a ribadire che per il governo “l’accertamento della verità” sulla morte del ricercatore friulano “resta l’obiettivo che ci ispira nelle relazioni con l’Egitto”. Tuttavia, il ministro ha ricordato che il Cairo “resta un partner ineludibile in una pluralità di dossier”: dalla lotta al terrorismo e ai traffici illeciti, alla gestione dei flussi migratori, fino alla stabilizzazione della Libia e dell’area israelo-palestinese. “Il 14 ottobre partirà il processo ed era un risultato insperato all’indomani del ritrovamento del corpo di Giulio” ha detto ancora Di Maio. “Mi auguro che ci porti all’accertamento della verità”. Bene i contatti tra inquirenti italiani e egiziani È ”incessante l’azione di sensibilizzazione sul Cairo” per fare luce sull’uccisione di Giulio Regeni, ha poi dichiarato Di Maio che ha parlato di ”profonda divergenza tra le conclusioni raggiunte dalle due procure”. Di Maio ha definito ”giusto spingere per una ripresa dei contatti tra gli organi inquirenti. L’azione è stata condotta anzitutto grazie ai ripetuti passi del nostro Ambasciatore al Cairo, Giampaolo Cantini”. Di Maio ha ricordato che nonostante la pandemia, ”le squadre di investigatori si sono incontrate due volte, a Roma il 28 ottobre e al Cairo il 5 novembre 2020. Il Procuratore della Repubblica di Roma, Michele Prestipino, e il Procuratore Generale della Repubblica egiziano, Hamada Al Sawi, hanno inoltre tenuto due videoconferenze il primo luglio e il 30 novembre dello stesso anno. Senza l’azione costante della nostra diplomazia, questi contatti non sarebbero stati possibili”. Ma ”le due Procure hanno dovuto riconoscere di non essere d’accordo e le strade giudiziarie si sono divise”. Nell’incontro con Shoukry chiesta verità e giustizia ”La domanda di verità e giustizia su quanto accaduto a Giulio Regeni” ha rappresentato ”l’elemento centrale dei colloqui, con franchezza e determinazione” che Di Maio ha avuto con il ministro degli Esteri egiziano Shoukry il 23 settembre, a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York. ”La vicenda di Giulio Regeni è stata da me portata all’attenzione del Consiglio Affari Esteri dell’Unione Europea il 25 gennaio. In quell’occasione, ho espresso la forte aspettativa di ricevere il sostegno dell’Unione Europea e dei suoi Stati Membri nello sforzo di ottenere collaborazione, giustizia e verità’, ha sottolineato Di Maio, durante l’audizione. ”L’Ue intende preservare la condizionalità dell’assistenza al Cairo e la relativa clausola standard formulata nell’articolo 26 delle Convenzioni di finanziamento, adesso in vigore”, ha aggiunto, spiegando che ”per favorire un’azione maggiormente proattiva da parte europea, ha attivato un monitoraggio rafforzato e una costante azione di reporting sulle questioni maggiormente critiche in ambito di diritti umani, rivitalizzando il meccanismo di monitoraggio processuale europeo e la definizione di una lista comune di casi individuali cui fare riferimento nelle interlocuzioni con le autorità egiziane”. ”Il nostro Paese ha ricevuto il sostegno e la solidarietà degli altri partner europei e dell’Alto Rappresentante per la politica estera Josep Borrell. Alla fine della riunione l’Alto Rappresentante ha ribadito la necessità che Il Cairo cooperi affinché venga fatta giustizia sul nostro connazionale, la cui morte – nelle parole dello stesso Borrell – è una questione grave per l’Italia e quindi una questione grave per tutta l’Unione Europea. E’ stato questo un passaggio cruciale della nostra azione internazionale perché, attraverso di esso, la morte di Giulio si è trasformata da questione italiana a tema di interesse di tutti i Paesi dell’Unione”, ha aggiunto Di Maio.

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Botta e risposta in Commissione

Botta e risposta in Commissione parlamentare d’inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni tra il presidente Erasmo Palazzotto e il titolare della Farnesina. Tema dello scontro “il processo abbastanza avanzato di normalizzazione dei rapporti, sia politici sia commerciali, tra Italia ed Egitto” denunciato da Palazzotto. “Io non vedo nessuna normalizzazione, mi dispiace” ha replicato Di Maio. Ma nel corso dell’ultima audizione della Commissione, prima della stesura della relazione finale, il presidente Palazzotto è tornato sul tema, rivolgendo domande al Ministero Di Maio. “A parte il fatto che non è stato più convocato il ‘Business Council’ tra i due Paesi, dal 2018 abbiamo visto come si è sbloccata la vendita di armi verso l’Egitto, quali sono gli altri elementi che oggi rendono ancora critico questo rapporto?”. Domanda a cui ha risposto ancora Di Maio: “Dal 2019 ad oggi non ci sono state visite di Stato, gli incontri che ci sono stati hanno riguardato temi multilaterali come la Libia, la regione Mediterraneo e temi securitari – e ha aggiunto – se la misurazione della normalizzazione tra i due Paesi sono i rapporti commerciali non c’è in questo momento una regia italiana, come invece c’è con Tunisia, Marocco e Libia; per tutto il resto non ci sono iniziative congiunte Italia-Egitto né commerciali, né culturali”

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La verità ti fa male

E’ la verità dei fatti così come è stata illustrata, sempre in un’audizione della Commissione parlamentare d’inchiesta, dall’ex Procuratore generale di Roma e attuale presidente del tribunale Vaticano, Giuseppe Pignatone. E’ il 21 settembre scorso. “ Noi al momento del ritrovamento del cadavere non avevamo dati, solo un corpo sull’autostrada. Solo l’autopsia ha descritto un quadro di morte frutto di torture durate per settimane e incompatibile con l’ipotesi della banda dei rapinatori”, chiarisce Pignatone.. 

Una vicenda, quella di Regeni, costellata di bugie e depistaggi che non hanno mai permesso di chiarire quello che è accaduto realmente al giovane ricercatore ucciso in Egitto. “Il primo blocco di dati oggettivi che hanno aiutato a smontare e smentire la cosiddetta ipotesi del pulmino si è avuta con l’autopsia”,  spiega Pignatone. “Un’altra cosa importante – aggiunge – è stato il ruolo della famiglia e del mondo delle organizzazioni e associazioni che hanno sostenuto e sono state accanto alla famiglia perché non c’è dubbio che ha esercitato sia sul governo italiano, sia a livello di opinione pubblica mondiale”.. Una pressione che in certi momenti si è rivelata decisiva.

Alcune cose non hanno funzionato alla perfezione e tra queste c’è la collaborazione tra l’autorità egiziana e quella italiana a livello giudiziario: “Si è trattato di un andamento altalenante. Credo che sia giusto riconoscere che una collaborazione fattiva c’è stata, ma non è stato dato tutto quello che si poteva dare o che è stato chiesto –  conferma l’ex capo della Procura di Roma – Risulta agli atti che le rogatorie sono state evase solo in parte o con grandissimo ritardo e «prima di avere i tabulati telefonici e il traffico delle celle in alcune zone ci sono state decine di mai e telefonate”..

Il fido sottosegretario

“Non credo che il ritiro dell’ambasciatore sia una soluzione, non l’ho mai creduto per un semplice motivo: l’ambasciatore è il rappresentante del suo Paese in un altro Paese. Se si toglie l’ambasciatore di fatto si finisce di dialogare”, argomenta  il sottosegretario agli Esteri (5Stelle), Manlio Di Stefano, in risposta alla richiesta fatta dalla famiglia di Giulio Regeni. “A noi interessa dialogare con l’Egitto perché dobbiamo avere la verità su Regeni”.

Insomma, siamo alle solite. Chiacchiere e zero risultati.

Amnesty: il tempo delle parole è scaduto

“Continuare a portare avanti questa strategia di appeasement nei confronti dell’Egitto è irresponsabile, soprattutto all’indomani di un incontro fra le procure di Roma e Il Cairo – dice a Globalist Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, tra i protagonisti della campagna verità e giustizia per Giulio Regeni – nel corso del quale, la prima ha sollecitato passi in avanti nella rogatoria riguardante i 5 funzionari egiziani indagati, mentre la seconda ha offensivamente annunciato di volere indagare sulla presenza di Giulio Regeni al Cairo”. Quanto ad Amnesty, “noi – sottolinea Noury – continuiamo a pensare che occorra manifestare nei confronti del Governo egiziano segnali di profondo malcontento, in primo luogo bloccando la vendita delle due fregate e ogni altra fornitura in programma; in secondo luogo, richiamando temporaneamente l’ambasciatore Cantini per dargli istruzioni su come doverosamente pretendere la scarcerazione di Patrick Zaki e per consegnare alle autorità egiziane indicazioni chiarissime su come il Governo italiano giudica negativamente il comportamento della Procura e del Governo dell’Egitto. Il tempo è scaduto, anzi era già scaduto – conclude il portavoce di Amnesty International Italia -. Ora ci vogliono da parte del Governo italiano precise assunzioni di responsabilità per evitare che sia considerato complice di tutto questo”. 

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Lo Stato di polizia all’ombra delle Piramidi

Nell’Egitto di al-Sisi i “desaparecidos” si contano ormai a decine di migliaia. E più della metà dei detenuti nelle carceri lo sono per motivi politici. Per contenerli, il governo ha dovuto costruire 19 nuove strutture carcerarie. Un conteggio ufficiale non è stato fatto, ma attivisti per i diritti umani egiziani, con la garanzia dell’anonimato per non fare una brutta fine, hanno detto a Globalist che un conteggio in difetto, porta a non meno di 43.000 desaparecidos. Per comprendere l’enormità di questo crimine, va ricordato che, tra il 1976 e il 1983, in Argentina, sotto il regime della Giunta militare, sono scomparsi fino a 30.000 dissidenti o sospettati tali – 9.000 accertati secondo i rapporti ufficiali della Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas (Conadep) – su 40.000 vittime totali. 

Il generale-presidente esercita un potere che si ramifica in tutta la società attraverso l’esercito, la polizia, le bande paramilitari e i servizi segreti, i famigerati Mukhabarat, quasi sempre più di uno. Al-Sisi si pone all’apice di un triangolo, quello dello Stato-ombra: esercito, Ministero degli Interni (e l’Nsa, la National Security Agency.) e Gis (General Intelligence Service, i servizi segreti esterni).   Se lo standard di sicurezza si misurasse sul numero degli oppositori incarcerati, l’Egitto di al-Sisi I° sarebbe tra i Paesi più sicuri al mondo: recenti rapporti delle più autorevoli organizzazioni internazionali per i diritti umani, da Human Rights Watch ad Amnesty International, calcolano in oltre  60mila i detenuti politici (un numero pari all’intera popolazione carceraria italiana): membri dei fuorilegge Fratelli musulmani, ma anche blogger, attivisti per i diritti umani, avvocati…Tutti accusati di attentare alla sicurezza dello Stato.

Chi costruisce il suo potere su un sistema repressivo così radicato e tentacolare, non teme certo le parole. Ma le sanzioni, sì. Soprattutto economiche, vista la grave crisi in cui versa l’Egitto e il malessere e la rabbia sociali che il regime del presidente-carceriere prova a contenere con un mix di repressione e promesse che restano tali. Sanzioni mirate, dunque. Mirate ai conti bancari, all’estero, di quella nomenklatura militare-affaristica che si è arricchita sotto Mubarak e continua a farlo con al-Sisi. E poi, stop alla vendita di armi ad un regime che le usa per reprimere nel sangue le proteste interne e per dettar legge, in competizione con la Turchia del “sultano” Erdogan, in Libia, in Siria, nel Nord Africa tutto. 

E questo per il ministro Di Maio sarebbe un interlocutore “ineludibile”.

 

 

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