Afghanistan: e il il capo del Pentagono Lloyd cadde dal pero
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Afghanistan: e il il capo del Pentagono Lloyd cadde dal pero

Ha detto davanti alla commissione forze armate del Senato sul ritiro Usa: "Non abbiamo capito la vera entità della corruzione e dell'incompetenza nella leadership dell'esercito afghano"

Biden e  Lloyd Austin
Biden e Lloyd Austin
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

29 Settembre 2021 - 16.56


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Ammissioni a scoppio ritardato. Un ritardo di anni.

“Non abbiamo capito la vera entità” della corruzione e dell’incompetenza nella leadership dell’esercito afghano”: lo ha ammesso il capo del Pentagono Lloyd Austin testimoniando davanti alla commissione forze armate del Senato sul ritiro Usa dall’Afghanistan. Il collasso dell’esercito afghano “ci ha colto tutti di sorpresa”, ha detto il capo del Pentagono. Austin ha aggiunto che gli accordi di Doha con i talebani “ebbero un effetto demoralizzante” sui soldati afghani. “Abbiamo contribuito a costruire uno Stato, ma non possiamo forgiare una nazione”, ha osservato. 

Milley: fu l’intelligence a non capire, nostra credibilità danneggiata da ritiro

 L’intelligence Usa fu “molto coerente” nel valutare che il governo e l’esercito afghano sarebbero collassati ma “non capì” quanto velocemente sarebbe accaduto: lo ha detto il capo di Stato maggiore congiunto americano Mark Milley al Senato, con quello che sembra un primo scaricabarile all’interno dell’amministrazione Biden. “La nostra credibilità è stata danneggiata dal ritiro dall’Afghanistan”. ha detto al Senato Milley. Secodo il capo di Stato maggiore congiunto Usa, i talebani restano una organizzazione terroristica e non hanno ancora rotto i loro legami con al-Qaeda. 

Lloyd si difende: avevamo pianificato il ritiro per tempo 

“Il motivo per cui le nostre truppe sono riuscite a ritirarsi dall’Afghanistan così velocemente è che lo avevamo pianificato per tempo”: il capo del Pentagono Lloyd Austin ha difeso davanti alla commissione forze armate del Senato le modalità del ritiro americano da quel Paese. Il segretario alla difesa ha difeso pure le operazioni di evacuazione, avvenute in una situazione di emergenza e di pericolo, dopo il crollo del governo afghano, la conquista di Kabul da parte dei talebani e le nuove minacce terroristiche. “Nessun altro esercito al mondo sarebbe riuscito a farcela”, ha assicurato Austin. Il generale ha anche detto che estendere i tempi del ritiro “avrebbe messo in grande pericolo i nostri concittadini e la nostra missione” e probabilmente non avrebbe consentito di evacuare un così grande numero di persone.  Il capo del Pentagono Lloyd Austin ritiene che la credibilità Usa sia stata “danneggiata” dal ritiro dall’Afghanistan ma crede che resti “solida” a livello internazionale: lo ha detto testimoniando davanti alla commissione forze armate del Senato.   “Se è stata perfetta? Naturalmente no”: così il capo del Pentagono  ha risposto in Senato a chi gli chiedeva un giudizio sull’esecuzione del ritiro Usa dall’Afghanistan, definito da Joe Biden “uno straordinario successo”. Austin ha ricordato peraltro che la missione non è finita perché “stiamo ancora lavorando per portare via gli americani che lo desiderano” e gli afghani che hanno fatto domanda di visto speciale.

Corruzione endemica

Osserva Nicola Pedde, Direttore Institute of Global Studies: “Attraverso la parvenza di un processo politico costruito sul pluralismo, ma anche sul rispetto dei tradizionali costumi locali, il vertice istituzionale del paese cadde ben presto preda degli interessi predatori del sistema tribale ed etnico, consegnandolo per oltre un decennio nelle mani di Hamid Karzai. Questi, esponente politico di dubbia fama, era noto soprattutto per l’aver sostenuto e l’essersi alleato praticamente con ogni fazione dell’eterogeneo tessuto politico afgano, e ancora più famoso per averle poi sistematicamente tradite tutte, nella ricerca di un beneficio esclusivamente personale. Collettore di un articolato sistema di corruzione e malgoverno, Karzai costruì in breve tempo la sua sfera di alleanze soprattutto nella capitale Kabul, riuscendo a farsi eleggere nel 2004 come primo presidente dell’Afghanistan.

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Il primo, grande errore della comunità internazionale fu proprio questo. Permettere attraverso il contesto legittimante ed apparentemente pluralista della Loya Jirga l’affermazione di un gruppo di potere in realtà molto circoscritto, espresso dalle trame di interessi manipolate da Karzai e che hanno dato vita ad un sistema clientelare che lo ha poi sostenuto sino a farlo diventare presidente”.

Una tesi, quella di Pedde, in piena sintonia con quanto rimarcato dall’Economist, che in un recente, dettagliato, report ha evidenziato come la corruzione in Afghanistan sia letteralmente endemica. Si pensi al fatto che per ogni certificato governativo bisogna pagare tangenti oppure che posizioni importanti nella pubblica amministrazione sono vendute al miglior offerente. Chi ottiene queste posizioni, a sua volta chiede tangenti per recuperare le risorse spese. Soldi, quelli ricavati in questo modo, distribuiti poi alle famiglie e alle varie reti di clientele.

Il “sistema” esisteva da prima che gli Stati Uniti invadessero la nazione centro asiatica. L’occupazione americana non solo non ha risolto il problema, ma lo ha persino aggravato. Gli aiuti erogati hanno infatti creato nuove opportunità di corruzione in Afghanistan. Situazione che è via via peggiorava nella misura in cui questi sostegni hanno fatto crescere il tasso di inflazione. Ciò ha spinto molti alti papaveri dell’amministrazione a chiedere tangenti più elevate al fine di coprire i costi sempre maggiori di beni e servizi.

 Nel 2019, il Washington Post ha pubblicato un rapporto interno di 2 mila pagine commissionato dal governo federale degli Stati Uniti per analizzare i fallimenti della sua guerra più lunga: The Afghanistan Papers: documento si basava su una serie di interviste a generali statunitensi (in pensione e in servizio), consiglieri politici, diplomatici, operatori umanitari e così via. Il quadro che emerge dall’insieme delle loro testimonianze è fortemente negativo. 

Il 9 dicembre 2019, James Hohmann scrive sul Washington Post: ‘Eravamo privi di una comprensione fondamentale dell’Afghanistan, non sapevamo cosa stavamo facendo…’, ha confessato il generale Douglas Lute, lo ‘zar della guerra afghana’ sotto Bush e Obama: ‘Non avevamo la più pallida idea di ciò in cui ci stavamo imbarcando… Se il popolo americano conoscesse l’entità di questa disfunzione…’. Un altro testimone, Jeffrey Eggers, un Navy Seal in pensione e membro dello staff della Casa Bianca sotto Bush e Obama, ha evidenziato l’enorme spreco di risorse: ‘Cosa abbiamo ottenuto? Valeva mille di miliardi di dollari? […] Dopo l’uccisione di Osama bin Laden, ho detto che quest’ultimo probabilmente stava ridendo nella sua tomba d’acqua considerando quanto abbiamo speso per l’Afghanistan’. Avrebbe potuto aggiungere: “E abbiamo pure perso”.

Gli fa eco su Micromega Tariq Ali: “Chi era il nemico? I talebani, il Pakistan, tutti gli afgani? Un soldato americano di lungo corso si è detto convinto che almeno un terzo della polizia afgana fosse tossicodipendente e che un’altra fetta consistente fosse costituita da sostenitori dei talebani. Ciò ha rappresentato un grosso problema per i soldati statunitensi, come ha testimoniato un anonimo capo delle forze speciali nel 2017: ‘Pensavano che sarei arrivato con una mappa per mostrare loro dove erano i buoni e dove i cattivi […] Ci sono voluti diversi scambi per far capire loro che non avevo quelle informazioni. Continuavano a chiedere: ‘Ma chi sono i cattivi, dove sono?’.

Donald Rumsfeld ha espresso la stessa sensazione nel 2003. ‘Non ho chiarezza su chi siano i cattivi in Afghanistan o in Iraq’, scriveva. ‘Ho letto tutte le informazioni, sembra che sappiamo molto, ma in realtà, andando più a fondo, scopri che non abbiamo nulla che sia utilizzabile’. L’incapacità di distinguere tra un amico e un nemico è un problema serio, non solo in senso schmittiano, ma a livello pratico. Se non riesci a distinguere tra alleati e avversari dopo un attacco bomba in un affollato mercato cittadino, rispondi scagliandoti contro tutti, creando così sempre più nemici.

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Il colonnello Christopher Kolenda, consigliere di tre generali in servizio, ha indicato un altro problema della missione statunitense. La corruzione è stata dilagante fin dall’inizio, ha detto: il governo Karzai era ‘auto-organizzato in una cleptocrazia’. Ciò ha minato la strategia post-2002 di costruzione di uno Stato che potesse sopravvivere all’occupazione. ‘La piccola corruzione è come il cancro della pelle, ci sono modi per affrontarla e probabilmente starai bene. La corruzione all’interno dei Ministeri, di livello superiore, è come il cancro al colon: è peggio, ma se lo prendi in tempo probabilmente stai bene. La cleptocrazia, invece, è come il cancro al cervello: è fatale’. Naturalmente, lo Stato pakistano – dove la cleptocrazia è radicata a tutti i livelli – è sopravvissuto per decenni. Ma le cose non erano così semplici in Afghanistan, dove gli sforzi di costruzione della nazione erano guidati da un esercito di occupazione e il governo centrale aveva scarso sostegno popolare…’. Un mix tossico delle politiche statunitensi sotto le amministrazioni di George W. Bush e Barack Obama, ha contribuito direttamente allo status dell’Afghanistan come uno dei paesi più corrotti del mondo. I leader statunitensi dichiaravano pubblicamente di non tollerare la corruzione in Afghanistan, ma questo è uno dei numerosi argomenti legati allo sforzo bellico con cui hanno sistematicamente ingannato l’opinione pubblica, secondo una serie di interviste governative riservate ottenute dal Washington Post.  I rappresentanti americani spesso chiudevano gli occhi di fronte a innesti eclatanti e sfacciati, a condizione che i trasgressori fossero considerati alleati. Il Congresso ha stanziato ingenti somme di denaro, distribuendolo con poca supervisione o tenuta dei registri. L’avidità e la corruzione che ne derivarono minarono la legittimità del nascente governo e contribuirono a rendere il terreno più fertile per la rinascita dei talebani.

‘L’ipotesi di base era che la corruzione è un problema afghano e che noi eravamo la soluzione. Ma c’è un ingrediente indispensabile per la corruzione – i soldi – e noi eravamo quelli che li avevano’, ha affermato Barnett Rubin, ex consigliere del Dipartimento di Stato e professore alla New York University.

‘Purtroppo e inavvertitamente, ovviamente, il nostro più grande singolo contributo potrebbe essere stato lo sviluppo della corruzione di massa’, ha detto Ryan Crocker, che ha servito due volte come il Primo Diplomatico americano a Kabul, nel 2002 e di nuovo dal 2011 al 2012. ‘Una volta arrivata al livello che ho visto lì, risolverlo diventa tra l’incredibilmente difficile e l’assolutamente impossibile… La corruzione era così radicata e così tanto parte dello stile di vita dell’establishment in senso lato…’.

Crocker ha detto agli intervistatori del governo di aver provato ‘un senso di inutilità: sono rimasto colpito da qualcosa che [l’allora Presidente Hamid] Karzai ha detto e ripetuto più volte durante il mio mandato, ovvero che l’Occidente, guidato dagli Stati Uniti, a suo avviso, aveva una responsabilità significativa nell’intera questione della corruzione. Ho sempre pensato che Karzai avesse ragione, che proprio non puoi semplicemente inserire quelle somme di denaro in uno stato e una società molto fragili, senza alimentare la corruzione… Non puoi proprio.’. 

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Corruzione e una democrazia che non è mai decollata: la liquefazione del governo afghano è colpa delle “elezioni corrotte e rubate del 2009” e dell’Onu che ha ignorato quella “frode”.

E’ la tesi del politologo ed ex inviato speciale per le Nazioni Unite in Afghanistan Peter Galbraith che spiega che “il caos è la conseguenza di un catastrofico fallimento dell’intero progetto”.

Il governo sostenuto dall’Occidente non è durato nemmeno fino al ritiro delle truppe. La colpa per Galbraith è della corruzione. “Quando rubi le elezioni con la frode – spiega – poi sei capace di rubare di tutto. Anche Obama decise di credere all’Onu, e decise di ignorare la frode elettorale. E così si è creato un modello di comportamento corrotto a tutti i livelli di governo. Anche la polizia era corrotta”. E così “nei villaggi c’era totale e feroce diffidenza verso il governo centrale”, un contesto che secondo l’esperto ha spianato la strada ai talebani: “Pian piano, capillarmente, il governo centrale ha perso autorità e i Talebani l’hanno riconquistata”.

Ancora più indietro nel tempo. Su Tempi.it del 2 dicembre 2013: “In Afghanistan sempre più persone si rivolgono ai talebani invece che allo Stato per chiedere e ottenere giustizia a 12 anni dalla salita al potere di Hamid Karzai. . E un motivo c’è, come riporta un articolo della Bbc che ha intervistato due uomini nel distretto di Chapa Dara, nell’est del paese.

“Bue, mucca e 10 kg di noci”. 

Gul Zaman (nella foto), 57 anni, vive nel villaggio di Barkanday. «Tre anni fa mio fratello è stato ucciso e mi sono rivolto agli uffici giudiziari per avere giustizia – racconta -. Tutte le persone con cui ho parlato mi hanno chiesto una mazzetta per aprire il caso e ricevere la mia denuncia. Ma io non avevo soldi per pagare e così mi hanno mandato via come un animale».
Tre anni dopo, lo stesso assassino è tornato «e ha ucciso un altro mio fratello». L’omicida è stato arrestato ma è uscito subito di prigione, prosciolto da ogni accusa, «dopo aver offerto al giudice un bue, una mucca e 10 chili di noci». Zaman non aveva niente da offrire al giudice «e così oggi l’assassino dei miei fratelli è libero di camminare per le strade».

La  storia di Fazel. 

Diversa la storia di Fazel Mohammad, che vive nello stesso villaggio. Quattro suoi familiari sono stati uccisi a causa di una disputa per il possesso di un terreno. «Dopo aver sprecato mesi a chiedere giustizia allo Stato, ricevendo solo richieste di mazzette, ho deciso di rivolgermi ai talebani”. 
Questi «mi hanno ascoltato e hanno istituito dopo due giorni un processo, durante il quale gli assalitori sono stati costretti dai talebani a restituirci la nostra terra. Tutto si è risolto in una settimana». Non solo, i talebani hanno fatto di più: «Mi hanno anche consegnato un documento che stabilisce che la terra è mia – continua Fazel – e mi hanno assicurato che chiunque cercherà di rubarmela dovrà avere a che fare con la loro collera”.

Era tutto chiaro. La corruzione è stata usata dall’Occidente per costruire un governo amico a Kabul. Una strategia sciagurata, fallimentare. Altro che sorpresa. 

 

 

 

 

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