Migranti, le carrette del mare e i tir stipati mentre l'Europa sa solo litigare
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Migranti, le carrette del mare e i tir stipati mentre l'Europa sa solo litigare

Litigano tra loro. Si rimpallano le responsabilità. Mentre esseri umani continuano a morire nel Mediterraneo. Parlano di condivisione, di fattiva solidarietà ma i numeri l’inchiodano. Sono i Paesi della (dis) Unione europea. 

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

11 Giugno 2021 - 15.57


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Litigano tra loro. Si rimpallano le responsabilità. Si lanciano accuse feroci. Mentre esseri umani continuano a morire nel Mediterraneo. Parlano di condivisione, di fattiva solidarietà ma i numeri l’inchiodano. Sono i Paesi della (dis) Unione europea. 

La miseria di quei numeri

Dall’inizio del 2021 sono arrivati in Italia via mare 15.065 migranti. Sono numeri contenuti e più che gestibili, ma tre volte più grandi rispetto allo stesso periodo del 2020.  Di conseguenza

Ormai da settimane il governo italiano con l’aiuto della Commissione Europea sta cercando di convincere gli altri paesi europei ad accogliere alcuni dei migranti sbarcati in Italia che intendono chiedere asilo, cioè praticamente tutti.

Finora il meccanismo è stato un fallimento: EuObserver riporta che nell’ultimo mese sono stati ricollocati appena 20 richiedenti asilo sui poco più di seimila arrivati sulle coste italiane, cioè lo 0,3 per cento. Dieci sono stati ricollocati in Irlanda, e altri dieci in Lituania. Anche il Lussemburgo è interessato ad accoglierne alcuni, probabilmente un numero simile. La notizia è particolarmente significativa perché proprio sui ricollocamenti su base volontaria si fonda la nuova proposta della Commissione Europea per riformare il cosiddetto, famigerato, Regolamento di Dublino che costringe il richiedente asilo a fare domanda di protezione allo stato di primo ingresso, e lo stato di primo ingresso a farsi carico della domanda di protezione e dell’accoglienza del richiedente asilo. La proposta è stata presentata a settembre del 2020 e prevede un meccanismo di ricollocamento volontario dagli stati più in difficoltà nel gestire le richieste di protezione; in alternativa, gli altri Stati membri potranno “sponsorizzare” il rimpatrio di un’altra persona a cui è stata respinta la richiesta di protezione, sempre nello stesso Stato. La terza alternativa prevede altre “misure di sostegno” non esattamente specificate.

Quelli di Visegrad

La proposta della Commissione è stata avanzata per superare il rifiuto dei paesi dell’Europa dell’Est, tradizionalmente più ostili ai migranti di accogliere nel proprio territorio persone che provengono dal Medio Oriente o dal Nord Africa. Il problema è che difficilmente la proposta, se anche entrerà in vigore nei prossimi anni, produrrà effetti concreti: già oggi rimpatriare le persone che non hanno diritto a rimanere in un paese europeo è difficilissimo, perché servono accordi bilaterali con il Paese di origine della persona in questione. Coinvolgere un terzo Paese, che magari non ha nemmeno la capacità amministrativa per seguire pratiche del genere a migliaia di chilometri a distanza, servirà a ben poco.

Dublino, i perché di un fallimento

Le norme di Dublino sono vecchie: trascurando le piccole modifiche attuate nel 2003 e nel 2013 sono rimaste praticamente le stesse da trent’anni, quando l’Unione Europea non esisteva ancora. Le norme di Dublino, inoltre, sono state concepite immaginando flussi regolari di richiedenti asilo e una sostanziale complicità e standard comuni in tutti i paesi dell’Unione: in questo modo, a regime, i richiedenti che avevano legami familiari sarebbero stati trasferiti nei paesi competenti, e quelli senza particolari legami sarebbero stati “spontaneamente” accolti nei paesi di frontiera.

Appena i flussi sono aumentati, come successo dal 2013 in avanti, è diventato chiaro che il sistema non avrebbe retto. Nel 2015 arrivarono così tante persone dal Medio Oriente e dal Nord Africa, in fuga dalla guerra e dalle violenze, che le autorità greche e italiane smisero temporaneamente di registrare gli arrivi.

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I problemi principali del Regolamento sono tre: il primo è l’eccessivo onere a carico dei paesi di frontiera, che soprattutto in caso di aumento dei flussi devono stanziare cifre ingenti per gestire e accogliere i richiedenti in arrivo, esaminare le loro pratiche, ospitarli per mesi o anni in attesa della decisione definitiva, e così via. Nel 2017, ultimo anno di flusso ingente verso l’Italia prima che il governo Gentiloni decidesse di affidare il compito di fermare i migranti alle milizie armate in Libia, l’Italia spese per l’accoglienza dei richiedenti asilo circa 4,3 miliardi di euro, una cifra paragonabile a una piccola manovra fiscale (sebbene mitigata da alcuni finanziamenti europei).

Il secondo problema riguarda l’inefficienza dell’intero sistema. La maggior parte dei richiedenti asilo che arrivano in Italia, Grecia e Spagna – i paesi di frontiera più coinvolti – non ambisce a rimanerci, ma a spostarsi nei paesi in cui si parla una lingua che conosce, dove il mercato del lavoro è meno rigido, e dove ha già una rete di connazionali fra parenti lontani e amici. In Italia, fra l’altro, le principali forme di protezione per richiedenti asilo, che durano al massimo qualche anno, non sono convertibili in permessi di soggiorno per motivi di lavoro: significa che anche i più fortunati fra i richiedenti asilo molto raramente riescono a ottenere permessi stabili che consentano loro di progettare una vita in Italia, e integrarsi a tutti gli effetti.

Il terzo problema di Dublino riguarda i diritti dei richiedenti asilo. Affidare l’intera gestione del sistema a pochi paesi, senza una redistribuzione omogenea, fa in modo che le autorità nazionali di Italia, Grecia e Spagna siano oberate di pratiche – anche nei periodi di minore flusso – e facciano fatica a prendere decisioni in tempi accettabili, prolungando il limbo e le situazioni di vulnerabilità in cui si trovano i richiedenti asilo: su tutti quelli che attendono una decisione sulla propria richiesta nei campi profughi sulle isole greche, in condizioni disumane.

 Rimpallo di responsabilità

La Grecia, per l’appunto. E la Francia e la Germania sull’altro lato della barricata. Scrive in proposito Tommaso Lecca su europatoday.it: “Da luglio 2020 a oggi 17mila rifugiati che hanno ottenuto la protezione internazionale in Grecia hanno lasciato il Paese mediterraneo per presentare una seconda richiesta d’asilo in Germania. È quanto denunciano le autorità di Berlino, che hanno scritto alla Commissione europea una lettera congiunta – assieme a Francia, Olanda, Belgio, Svizzera e Lussemburgo – per protestare contro Atene. La lettera, il cui contenuto è stato reso noto dalla testata Politico, chiede all’Ue di intervenire contro i cosiddetti movimenti secondari dei migranti, in questo caso in possesso di un regolare permesso di soggiorno. 

Nella lettera di protesta si precisa che migliaia di rifugiati, con il pretesto di un viaggio turistico o di una visita a un familiare che vive in un altro Paese, usano il loro diritto di lasciare la Grecia per un periodo massimo di 90 giorni. Solo che, arrivati in altri Paesi del Nord Europa, i migranti si rivolgono alle autorità degli altri Stati per ottenere di nuovo la protezione che – secondo le norme di diritto internazionale – deve essere concessa a chi scappa da una guerra o da una situazione di pericolo. I rifugiati residenti in Grecia e in fuga verso altri Paesi, secondo la lettera, sarebbero scontenti delle condizioni precarie in cui vivono nella repubblica ellenica. “Alcuni tribunali nazionali”, affermano i sei Paesi, “ritengono che la Grecia non garantisca a queste persone un alloggio adeguato e un livello minimo di sussistenza fisica”. Di qui la richiesta di provvedimenti contro Atene. 

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La replica greca

“La Grecia rispetta pienamente i suoi obblighi in materia di controllo delle frontiere, registrazione degli arrivi irregolari, accoglienza, procedura di asilo e programmi di integrazione”, è stata la risposta del ministro greco alla Migrazione e all’asilo, Notis Mitarachi. In una contro-lettera, anche questa pubblicata da Politico e indirizzata all’esecutivo Ue, il politico greco ha risposto alle accuse: “Non siamo responsabili per eventuali flussi secondari ‘irregolari’, poiché garantiamo che solo i passeggeri con documenti di viaggio appropriati possano viaggiare fuori dalla Grecia”. Il problema, ha affermato Mitarachi, è che non si possono offrire ai rifugiati condizioni di vita migliori che ai propri cittadini, colpiti pesantemente dalle politiche di austerity imposte dalla Troika nel contesto del salvataggio finanziario della Grecia dopo la crisi del debito pubblico. Dal 2010, ha scritto il ministro, Atene ha dovuto “limitare le disposizioni in materia di welfare, in linea con il nostro impegno nei confronti della Commissione europea, della Bce, del Fondo monetario internazionale e degli Stati membri che hanno sostenuto i programmi di assistenza finanziaria alla Grecia”. Di qui il rimpallo della responsabilità sulle condizioni di vita dei rifugiati da Atene verso Bruxelles e Francoforte”.

Fuga disperata

E tutto questo mentre migliaia di disperati tentano la fuga da guerre, stupri di massa, disastri ambientali, povertà assoluta, mettendo la loro vita nelle avide mani dei trafficanti di esseri umani. In fuga sulle “carrette” del mare o stipati dentro un tir. Cinque migranti di nazionalità egiziana, di età compresa tra i 20 e i 40 anni, erano nascosti tra una pila e l’altra di differenti blocchi di pietra, in un autoarticolato proveniente da Durazzo (Albania) al porto di Ancona. Lo hanno scoperto i militari della Compagnia della Guardia di finanza durante controlli di polizia economico-finanziaria.

Nel tir, carico di materiale per l’edilizia diretto a una azienda del settore delle costruzioni di Jesi, i finanzieri hanno notato un anomalo rigonfiamento del telone nella parte superiore del mezzo. Circostanza segnalata anche un cane antidroga della Finanza. 
 I controlli di Gdf e Polfer hanno permesso di appurare che i cinque migranti erano riusciti a squarciare la copertura del camion, nell’area portuale albanese, all’insaputa del conducente del veicolo commerciale, originario dell’Albania. I migranti, trovati in buone condizioni di salute, sono stati presi in custodia dalla Polizia di frontiera, che ha proceduto, insieme alla Gdf, alla loro identificazione per avviare della procedura di ‘respingimento’ con affidamento al Comandante della nave. 

Da Ancona a Lampedusa. Due sbarchi – con 25 e 88 migranti rispettivamente – nel giro di poche ore fra ieri sera e l’alba di oggi a Lampedusa (Agrigento). Dopo i migranti, tra cui 3 donne e 2 bambini, tutti di nazionalità tunisina, intercettati da una motovedetta della Capitaneria di porto a circa 12 miglia dall’isola e approdati ieri sera sulla più grande delle Pelagie, stamani un nuovo arrivo. All’hotspot di Contrada Imbriacola, dove erano rimaste 10 persone, ci sono adesso complessivamente 123 immigrati. I nuovi arrivati vengono sottoposti, in queste ore, a tamponi rapidi anti-Covid e alla pre-identificazione con foto segnalamento. 

Alarm Phone: 2 barche intercettate da Guardia costiera libica 

“Secondo la cosiddetta Guardia costiera libica, oggi sono state intercettate 2 imbarcazioni al largo di Khoms. Le persone sono state costrette a tornare in Libia”. Lo scrive su Twitter Alarm Phone, spiegando di non sapere se tra le persone  intercettate ci siano anche le 43 segnalate ieri “alla deriva e nel  panico” al largo della Libia. “L’ultima volta che abbiamo parlato con  le persone in difficoltà, erano alla deriva già da molte ore”, scrive  Alarm Phone. Tra loro ci sarebbe 9 donne e molti minori. 

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Stop al rifinanziamento

“A breve il governo emanerà il decreto 2021 per il finanziamento delle Missioni militari internazionali – scrive su Vita Nino Sergi, presidente emerito Intersos e policy advisor Link 2007– . Una parte sarà dedicata alla Libia. Si tratterà di un copia e incolla rispetto al decreto 2020 oppure sarà il risultato di un serio esame dell’efficacia e dell’impatto delle operazioni effettuate?

Non vi è dubbio che ci debbano essere accordi con un paese così vicino e rilevante per l’Italia e che si debbano prevedere adeguati stanziamenti per contribuire a sostenere la stabilizzazione del paese, contrastare la diffusa illegalità e combattere decisamente e definitivamente il traffico di esseri umani e la migrazione irregolare che lo alimenta. La recente visita del presidente Mario Draghi in Libia l’ha confermato.

Ma la domanda che dobbiamo tutti porci, a partire dal governo e dal parlamento, dovrebbe essere questa: “gli accordi Italia-Libia, con gli interventi programmati e la relativa spesa, stanno realmente producendo quanto auspicato e fissato nelle disposizioni di legge e nelle stesse intese bilaterali?”

Ovviamente no. Organizzazioni della società civile, analisti e giornalisti da anni si stanno esprimendo con approfondimenti, analisi, denunce, proposte. Il “Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana” del 2017 è stato prorogato nel 2020 senza alcun serio approfondimento né alcuna seria valutazione, forse per paura di affrontare una vergognosa realtà. Eppure al governo erano giunti alcuni suggerimenti. Sarebbe bene ora che la politica governativa ascolti un po’ di più e, nonostante la complessità della realtà libica, avvii l’adozione di una ben diversa linea di azione, sia a livello bilaterale che insieme ai partner europei. Il presidente Draghi potrebbe spingere in questo senso.

Ovviamente no è anche la risposta che ogni osservatore corretto e imparziale darebbe. Il ‘no’ è infatti la risposta ai centri illegali di detenzione, agli abusi, alle torture fisiche e psicologiche che continuano a colpire migliaia di persone, alle ripetute morti lasciate prodursi in mare, al cinico comportamento della Guardia costiera libica, al continuo girarsi dall’altra parte di governi che pur hanno Carte costituzionali basate sulla centralità e dignità della persona umana, sui diritti inviolabili, sul valore della vita, sulla giustizia, sulla solidarietà.

Mi limito qui agli accordi ed ai finanziamenti dell’Italia relativi alla missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia e di assistenza alla Guardia costiera, contenuta nel decreto Missioni internazionali. Ma il discorso potrebbe facilmente riferirsi agli accordi e finanziamenti dell’Unione europea nei rapporti con la Libia che comprendono essi stessi un’ulteriore partecipazione attiva dell’Italia…”, sottolinea Sergi. 

Basta e avanza per chiedere ai parlamentari del Pd e della sinistra: sarete ancora complici del rifinanziamento della vergogna?

 

 

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