A mezz’ora dal tempo limite, nasce il Cln israeliano: il Comitato di Liberazione (da) Netanyahu. Israele ha un nuovo governo. Con una telefonata a mezz’ora dalla scadenza del suo mandato, il leader centrista Yair Lapid ha avvisato in extremis il presidente Reuven Rivlin – che era allo stadio – di essere riuscito a formare la coalizione di governo: la prima dopo oltre 12 anni senza “King Bibi”, il premier più longevo nella storia d’Israele. (quindici anni al potere, di cui 12 consecutivi).
Si volta pagina
“Il nuovo governo – ha detto Lapid – farà tutto il possibile per unire tutte le componenti della società israeliana. Il nostro impegno è di metterci al servizio di tutti i cittadini di Israele, inclusi quanti non sostengono questo governo”. Lapid ha assicurato: “Ci impegniamo a rispettare quanti ci oppongono”. Ed ha informato Rivlin che intende sottoporre il nuovo governo all’ approvazione della Knesset il più presto possibile. Al termine di una giornata convulsa che ha visto più volte tutto in pericolo, Lapid ha infine saldato l’alleanza che vedrà il partner di governo Naftali Bennett, ‘Yamina’, premier per i primi due anni per poi salire lui alla guida nella seconda parte della legislatura. Un esecutivo che registra la prima volta di un partito arabo al governo: quello islamista moderato di Raam guidato da Mansour Abbas. Per superare tutti gli scogli che si sono frapposti via via al risultato ci sono volute una serie di interminabili riunioni fiume nell’albergo Kfar Maccabiah. Alla fine i partiti di centro – ‘C’è futuro’ e ‘Blu Bianco’ (Benny Gantz) – di destra – ‘Yamina’ (Naftali Bennett), ‘Nuova speranza’ (Gideon Saar), ‘Israele Casa Nostra’ (Avigdor Lieberman)- di sinistra – Laburisti e Meretz – e Raam, hanno firmato il documento che ha consentito a Lapid di dare l’annuncio a Rivlin. Gli ultimi ostacoli sono stati quelli di Abbas e il dissidio tra Laburisti e Yamina. Raam voleva assicurazioni sugli interventi a favore dell’edilizia della parte araba della società e il riconoscimento municipale per alcune località beduine del Negev. Laburisti e Yamina volevano entrambi la presidenza della delicata Commissione che nomina i magistrati: alla fine anche qui è prevalso il criterio della rotazione. Per 2 anni sarà presidente Ayalet Shaked, numero due di Yamina e gli altri due Merav Michaeli leader dei Laburisti. Ora la palla passa al presidente della Knesset Yariv Levin che dovrà indicare la data in cui l’Aula dovrà votare la fiducia al nuovo governo. Servono almeno 61 seggi su 120. Un passaggio delicato che potrebbe anche riservare sorprese non gradite, visto che ci sono singoli deputati dei partiti della coalizione – soprattutto di Yamina – che hanno detto di essere in disaccordo.
Strada in salita
Annota Pierre Huski, direttore di France Inter in un articolo per Internazionale: Questa coalizione spazia dall’estrema destra che sostiene le colonie alla sinistra pacifista, e conta perfino sul sostegno (senza precedenti) di un partito islamista eletto dai palestinesi di Israele. L’unico elemento che accomuna queste forze politiche è l’ardente desiderio di liberarsi di Netanyahu, della sua presenza divisiva e dei suoi guai giudiziari. Quale può essere il programma di una simile coalizione? Voltare pagina dopo Netanyahu è la principale ambizione di questo governo, sulla cui durata peraltro è difficile scommettere. Il problema è che una volta compiuta la catarsi, la coalizione rischia seriamente di ritrovarsi davanti alle proprie contraddizioni, che sono tante. Il mandato di formare un governo, dopo quattro elezioni consecutive senza sbocco, è stato affidato al centrista Yair Lapid, che ha dovuto racimolare appoggi ovunque: per esempio si è rivolto a un ex protetto di Netanyahu, Naftali Bennett, che in cambio della propria defezione ha ottenuto la promessa di ricoprire per primo l’incarico di capo del governo, ruolo in cui, secondo l’accordo, si alternerà con Lapid. Bennett è al contempo un milionario del digitale, un ex leader dei coloni ebrei della Cisgiordania, un esponente dell’estrema destra e un nazionalista- religioso.
Come potrà un uomo con un simile profilo convivere con il Meretz, ultimo sopravvissuto della sinistra laica, favorevole alla pace con i palestinesi? E come si può spiegare il sostegno assegnato al governo dagli islamisti di Mansour Abbas? L’appoggio di un leader islamista è l’elemento più sconvolgente. Si tratta di una prima assoluta dalla creazione dello stato ebraico. Mansour Abbas ha ricalcato la sua strategia su quella dei partiti religiosi ebrei come il sefardita Shas, pilastro di tutte le coalizioni di governo, che ha negoziato vantaggi economici per sua la comunità. Mansour Abbas ha fatto lo stesso, ottenendo benefici sociali per i cittadini palestinesi di Israele, quelli del 1948.”. L’unica certezza, all’indomani di questo accordo inverosimile, è che niente cambierà nel conflitto israelo-palestinese. L’argomento, infatti, non è stato neanche evocato, tanto divide profondamente i partiti che formano la coalizione.
Due settimane dopo la fine della guerra con Hamas a Gaza, , il tema è già sparito dall’agenda politica israeliana, come sempre ossessionata dal personaggio di Benjamin Netanyahu. Ci sarà sempre tempo di pensarci quando Bibi avrà fatto le valigie…”, conclude Huski.
Dibattito a sinistra
Il CLN visto e raccontato da una delle firme di punta di Haaretz: Zvi Bar’el. “Il panico folle che attanaglia il Likud – le grida disperate, le maledizioni e le invettive, l’incitamento sfrenato e la completa perdita di compostezza del Duce – forniscono la prova più chiara possibile dell’urgente necessità di cacciare dal governo questa banda di rivoltosi. Se queste sono le persone che definiscono la destra politica; se sono quelle da cui, come ha sostenuto il giornalista Avishay Ben Haim, dipende l’onore degli ebrei Mizrahi; se i valori nazionali oggi equivalgono al catrame e alle piume in cui stanno rotolando i ‘traditori’ che hanno osato provare a mettere in piedi un governo alternativo, allora se ne devono andare. Tutti, non solo il primo ministro Benjamin Netanyahu. Questa eruzione vulcanica si intensificherà solo nei giorni rimanenti fino al giuramento di un nuovo governo – se gli accordi sopravvivono fino ad allora, qualche disertore non fugge e nessuno cambia idea. E la verità è che ci vuole una grande quantità di coraggio personale per resistere a queste minacce in stile mafioso quando i membri della Knesset hanno bisogno di guardie che controllino le loro auto ogni giorno, scortino loro e i loro bambini e li tengano lontani dalla folla per evitare che qualcuno tiri fuori una pistola o lanci loro una granata. Il governo emergente – e possiamo solo sperare che riesca a superare l’esame finale, sia fisicamente che politicamente – non realizzerà i sogni di nessun elettore. Se un tale governo si fosse presentato alle elezioni come una singola unità, invece di essere un aggeggio di fortuna costruito con pezzi di ricambio che non combaciano, probabilmente non avrebbe ottenuto lo stesso numero di seggi che ha ora. È riuscita a fare l’impossibile solo grazie all’unico comune denominatore tra i suoi componenti – la volontà di spodestare Netanyahu. È una coalizione di molti contro un solo uomo che è l’essenza della corruzione, dell’egoismo, della falsità e della frode. All’inizio, purtroppo, sembrava che l’obiettivo non fosse abbastanza importante e persuasivo. Mancava qualsiasi spina dorsale ideologica ed era guidato da una sinistra delirante che raccoglieva lungo la strada alcuni destri con appetiti di potere insoddisfatti. Sia a sinistra che a destra, lo slogan “chiunque tranne Bibi” sembrava essere privo di ideologia, uno slogan vuoto che rifletteva una battaglia personale spogliata di qualsiasi rivestimento morale o visione. È vero, Netanyahu è stato accusato di reati penali, hanno detto gli schernitori. È un irredimibile edonista e sfruttatore, un imbroglione e un truffatore, e non si può credere a una parola di quello che dice, ma è ancora il male minore. Forse deve andarsene, hanno permesso, ma il Likud deve continuare a tenere il volante, perché il suo governo correggerà un errore storico. E senza Netanyahu, il Likud non ha speranza. Piccoli intriganti hanno persino proposto che qualcun altro nel partito sia il candidato premier al suo posto, e il folle accordo di rotazione che hanno messo sul tavolo aveva lo stesso obiettivo – lasciare il Likud al potere e Netanyahu nella residenza del primo ministro. Poi è diventato chiaro che spodestare Netanyahu non era solo una questione personale. È una necessità nazionale, ideologica, democratica e culturale. Netanyahu ha creato una cultura politica che santifica il leader supremo. Ha dettato le regole di una dittatura popolare e il disprezzo del sistema giuridico. Ha imprigionato metà del paese in un ghetto di traditori e ha creato tre popoli ebrei in un solo paese – uno nei territori e due, traditori e di destra, dentro Israele. Netanyahu ha calpestato le minoranze, ha pianificato l’annessione di territori, ha messo Israele in rotta di collisione con gli Stati Uniti, ha controllato ampie fasce dei media ed è riuscito a convincere il pubblico che non c’era nessun altro. E non abbiamo ancora parlato del suo processo per corruzione. Netanyahu ha creato uno Stato inadatto ai suoi cittadini – uno Stato guidato da una milizia politica senza freni, che non doveva rendere conto a nessuno e si credeva eterno, finché non è marcito alla radice. Anche se un governo guidato da Naftali Bennett sarà gestito da ideologi – ogni membro secondo i propri valori – non sarà un governo ideologico. Non può essere ideologico se vuole sopravvivere. Piuttosto, sarà un governo creato per fumigare e purificare, in modo che si possa respirare qui. Questo, dopo tutto, è il valore supremo – il diritto alla vita”..
Una “vita” senza Netanyahu al potere.
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