Netanyahu in tribunale: la giustizia irrompe nella campagna elettorale
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Netanyahu in tribunale: la giustizia irrompe nella campagna elettorale

Ha fatto di tutto per evitarlo. Ma alla fine quella soglia l’ha dovuta varcare. Venti minuti in un’aula di tribunale. Un affronto per Benjamin “Bibi” Netanyahu, il primo ministro più longevo nella storia d’Israele.

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

8 Febbraio 2021 - 16.26


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Ha fatto di tutto per evitarlo. Ma alla fine quella soglia l’ha dovuta varcare. Venti minuti in un’aula di tribunale. Un affronto per “King Bibi”, al secolo Benjamin “Bibi” Netanyahu, il primo ministro più longevo nella storia d’Israele.
Di prima mattina,centinaia di manifestanti si erano riuniti fuori dalla residenza ufficiale del primo ministro, chiedendo le sue dimissioni. I manifestanti sono scesi in piazza ogni settimana nel centro di Gerusalemme per oltre sette mesi, sostenendo che Netanyahu dovrebbe dimettersi a causa del suo processo per corruzione e della “cattiva gestione” della crisi da coronavirus che ha piegato il Paese. Netanyahu ha respinto le accuse e il suo avvocato ha contestato le cause per motivi procedurali, dicendo che il procuratore generale non aveva approvato adeguatamente le indagini. Dopo circa 20 minuti, Netanyahu ha lasciato l’aula senza spiegazioni e il suo corteo è partito. L’udienza è proseguita in sua assenza. Fuori dal tribunale si sono radunati alcuni manifestanti, i cui cori si sono sentiti fino all’interno dell’aula in cui si teneva l’udienza. L’avvocato di Netanyahu, Boaz Ben Zur, ha chiesto che la fase probatoria sia rinviata di tre o quattro mesi, citando una serie di “questioni aperte”. Il giudice Friedman-Feldman ha risposto: “L’atto d’accusa è stato notificato un anno fa. Lei sapeva da mesi che questo caso sarebbe andato in tribunale”. Ori Karev, che ha perseguito i casi di corruzione dell’ex primo ministro Ehud Olmert, si è recentemente unito al team di difesa di Netanyahu. La prossima fase del processo al primo ministro fisserà date precise per le udienze probatorie e per l’audizione dei testimoni. Di norma, i giudici cercano di raggiungere accordi tra l’accusa e gli imputati per quanto riguarda i testimoni, che non devono essere convocati e la cui testimonianza non è necessaria, e per i fatti e le prove supplementari sui quali c’è accordo tra le parti e quindi non è necessario discuterli. Questo passo è progettato per snellire il processo e risparmiare tempo, e secondo la legge può essere effettuato in qualsiasi fase del processo.

Recentemente, c’è stata una crescente tensione tra l’ufficio del procuratore di Stato e gli avvocati difensori del primo ministro, dopo che il vice procuratore di Stato Liat Ben Ari ha inviato una lettera a Ben Tzur, intimandogli di non parlare con i testimoni nel processo.

Il ministro della Difesa Benny Gantz, che è anche ministro della Giustizia ad interim, ha dichirato: “È un giorno difficile e triste, ma anche un giorno importante in cui ogni persona capisce che nessuno è immune dalla legge. Tutti sono uguali davanti alla legge. Anche se sei il primo ministro”.

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“Da mesi il sistema legale è sotto un attacco senza precedenti. Il partito al potere ha cercato di compromettere il ramo giudiziario attraverso la legislazione, e oggi anche con l’incitamento nei media e le minacce personali contro i funzionari. Questa è una minaccia alla democrazia israeliana. Stiamo combattendo contro questo, ogni giorno”, ha aggiunto  Gantz.

Politica e giustizia

A testimonianza dello scontro in atto sul giudizio, il presidente della Knesset – terza carica dello Stato – Yariv Levin (Likud) ha apertamente chiesto ai giudici di rinviare il procedimento a dopo il 23 marzo, il giorno in cui gli israeliani torneranno a votare, per le quarte elezioni anticipate in due anni.  “Altrimenti – ha detto rivolto ai tre togati detentori del giudizio – darete una mano ad una palese ingerenza nelle elezioni”.

“Il sistema giudiziario – ha insistito – in un Paese democratico, a differenza di quanto avviene in uno non democratico, è attento a non immischiarsi in alcun modo nel processo elettorale”.

A maggio scorso Netanyahu arrivò in tribunale per la prima udienza accompagnato da una serie di ministri del suo governo e da sostenitori. In un discorso molto forte definì “fabbricate” le accuse. Questa volta, tuttavia, è stato lo stesso premier a bloccare l’intenzione dei suoi sostenitori di accompagnarlo. “Non venite domani” (oggi, ndr) , ha detto sottolineando che Israele è alle prese con una nuova variante del virus e che bisogna fare attenzione.

Le due inchieste che coinvolgono il premier sono: il “Caso 2000” sulla trattativa (mai concretizzata) con l’editore di Yediot Ahronot, il più diffuso giornale israeliano, per una copertura più favorevole e il “Caso 4000”, che concerne invece i rapporti col proprietario del sito di informazione Walla (un magnate che all’epoca controllava la compagnia telefonica Bezeq) sempre per un trattamento giornalistico favorevole.

Il picconatore dello stato di diritto

Scrive Yossi Verter, firma autorevole di Haaretz, il quotidiano progressista di Tel Aiv: “Nei giorni nostri, quando tutto va bene e non c’è valore o norma che non sia stata calpestata, i dardi avvelenati lanciati domenica da Yariv Levin al tribunale distrettuale di Gerusalemme sono un nadir significativo nella campagna di Benjamin Netanyahu per distruggere lo stato di diritto in Israele

Il giorno prima della ripresa del processo al primo ministro, il suo consigliere, che serve anche part-time come speaker della Knesset, ha consegnato un messaggio che rasenta una minaccia alla commissione giudiziaria guidata dal giudice Rivka Friedman Feldman: se le udienze probatorie non saranno rinviate fino a dopo l’Election Day, il 23 marzo, i giudici stessi saranno colpevoli di ‘grossolano intervento nelle elezioni’ e di ‘tenere una corte marziale in testa’ del primo ministro. I tre casi contro di lui ‘appartengono a malapena al comitato etico della Knesset’, ha sostenuto in un monologo pubblicato dal giornale Israel Hayom.(legato alla destra israeliana, ndr).  Pertanto, a meno di 45 giorni dalle elezioni, è vietato permettere una situazione in cui si ascolta solo la testimonianza dell’accusa, ha detto. È presumibilmente sfuggito a Levin che Israele vive da due anni una lunga campagna elettorale interrotta periodicamente dai risultati delle votazioni, o da governi temporanei che non sono di gusto per l’imputato. Ha anche dimenticato le tattiche evasive e le infinite richieste di rinvio da parte degli avvocati dell’imputato, ed è per questo che siamo arrivati a questo punto. Dal momento in cui è stato scelto come speaker del parlamento (il che significa che serve anche come presidente ad interim se necessario), Levin non ha trascurato il suo compito centrale nella vita: rappresentare, assistere e consigliare Netanyahu in ogni ambito possibile – politico, diplomatico, legale e pubblico-.  Presiedere la legislatura è un lavoro secondario per lui. Dallo scranno di presidente del parlamento chiama Benny Gantz a rispondere del fatto che osa dissentire da Netanyahu, e denigra la sua posizione e l’intera Knesset mentre lo fa. Dalla sedia dell’oratore si scaglia con ferocia sanguinaria contro i giudici, i procuratori e la polizia. Dal suo ufficio va e viene dalla residenza del primo ministro, dalle riunioni delle fazioni e dalle delibere diplomatiche e politiche.

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Se il sistema legale ha qualche responsabilità per questo incubo in corso che sta minando le basi della democrazia israeliana, è una responsabilità passiva. Non è abbastanza duro con un imputato che ci sta trascinando in interminabili campagne elettorali nel tentativo di accumulare abbastanza potere politico da permettergli di affrontare le gravi accuse contro di lui, e non solo attraverso una difesa legale. 

Sondaggi: chi sale e chi scende

A poco meno di due mesi dalle elezioni del 23 marzo, la scena politica israeliana è in subbuglio: gli ultimi sondaggi danno Netanyahu saldamente in testa, crolla invece il rivale centrista Benny Gantz. A destra, i partiti alternativi al Likud registrano un calo mentre a sinistra si discute di fusioni tra Meretz e il Labour guidato dalla nuova leader, Merav Michaeli; intanto il leader di Telem, Moshe Ya’alon e l’ex ministro della Giustizia Avi Nissenkorn hanno annunciato che non parteciperanno al voto. C’è tempo fino al 4 febbraio per presentare le liste alla Commissione centrale elettorale. 

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Secondo il sondaggio diffuso da Channel 12, se le elezioni, le quarte in due anni, si tenessero oggi il Likud di Netanyahu conquisterebbe 30 seggi, confermandosi il primo partito, seguito a distanza dalla formazione centrista Yesh Atid di Yair Lapid che si fermerebbe a 17); In calo i due partiti alternativi al Likud a destra: la nuova creatura di Gideon Sa’ar “Nuova Speranza”, che prenderebbe 14 seggi, e Yamina di Naftali Bennett (13); la Lista Unita araba, oggi a 15 seggi, scenderebbe a 10, mentre i partiti ultra-ortodossi Shas e United Torah Judaism ne conquisterebbero otto e il partito Yisrael Beitenu di Avigdor Liberman sette.

I laburisti guidati da Michaeli sono in salita (5), Meretz a quattro, mentre crolla Blu e Bianco di Gantz a quattro dagli attuali 14. ‘”Gli Israeliani” la nuova formazione del sindaco di Tel Aviv, Ron Huldai, non riuscirebbe invece a superare la soglia di sbarramento, così come Gesher di Orly Levy e Telem dell’ex capo di Stato maggiore Moshe Ya’alon. Quest’ultimo, alla luce delle proiezioni, ha annunciato che il partito non parteciperà alle elezioni: “Credevo che correre indipendentemente avrebbe potuto aumentare il potere del campo che cerca il cambiamento. Una tesi che si è rivelata erronea” alla luce delle “circostanze politiche che si sono venute a creare”. 

Passo indietro dall’arena politica anche da parte dell’ex ministro della Giustizia Avi Nissenkorn, che ha annunciato l’addio al partito di Huldai al quale si era unito solo un mese fa come numero due, dopo aver lasciato Blu e Bianco. La mossa apre la strada a una possibile fusione con i laburisti: entrambe le formazioni vogliono rafforzarsi e, secondo voci, Michaeli avrebbe posto l’uscita di Nissenkorn come condizione per un’unione.

“Quando il campo ha bisogno di fusioni con altri per sopravvivere e ci sono una molteplicità di partiti e candidati, va bene sapere come farsi da parte e prendersi una pausa, che è quello che faccio io oggi”, ha spiegato l’ex ministro della Giustizia. Il primo cittadino di Tel Aviv lo ha ringraziato per poi ricordare, alla luce delle voci di fusione, che “l’unico modo per generare un potere significativo è insieme, e tutti dovranno fare concessioni”.

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