Silvestri: "Biden non firmerà assegni in bianco ai sauditi e a Israele. L'era Trump è archiviata"

Intervista ad uno dei più autorevoli analisti italiani di politica estera: il professor già presidente dell’Istituto Affari Internazionali (Iai). 

Stefano Silvestri, già presidente dell’Istituto Affari Internazionali
Stefano Silvestri, già presidente dell’Istituto Affari Internazionali
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

5 Febbraio 2021 - 13.14


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Biden e la nuova politica estera dell’America del dopo-Trump. Globalist ne parla con uno dei più autorevoli analisti italiani di politica estera: il professor Stefano Silvestri, già presidente dell’Istituto Affari Internazionali (IAI). 

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E’ stato anche docente sui problemi di sicurezza dell’area mediterranea, presso il Bologna Center della Johns Hopkins University e ha lavorato (presso l’International Institute for Strategic Studies di Londra. È stato sottosegretario di Stato alla Difesa (gennaio 1995-maggio 1996), consigliere del sottosegretario agli Esteri incaricato per gli Affari europei (1975), e consulente della Presidenza del Consiglio sotto diversi governi

“America is back, la diplomazia è tornata”.  Ed ancora: “Non sono Trump, reagiremo ad azioni ostili di Mosca e Pechino’. 
Joe Biden mette in guardia Russia e Cinascarica Riad sulla guerra in Yemen e tende la mano agli alleati, partendo dalla Germania, dove blocca il parziale ritiro delle truppe deciso dal suo predecessore. Sono le principali mosse annunciate al Dipartimento di Stato, nella sua prima visita ad un ministero (insieme alla vice Kamala Harris) e nel suo primo discorso sulla politica estera da quando si è insediato. Professor Silvestri, ci aiuti a leggere queste “sterzate” rispetto al suo predecessore alla Casa Bianca. Partiamo dal Medio Oriente.

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Biden non mi sembra che abbia intenzione di tornare in forze nel Medio Oriente. Per cui il problema è quello di arrivare a delle forme di pacificazione e d’influenza dall’esterno più che dall’interno. Sì, manterrà la presenza militare, in quali dimensioni lo si vedrà, ma non credo che voglia scaricare l’Arabia Saudita. Lui mantiene una forma di garanzia su Riad, però non vuole un Regno Saud imperiale, soprattutto non vuole un’Arabia Saudita che con Israele prepara la guerra all’Iran, in un momento in cui con l’Iran, Biden vorrebbe riprendere un dialogo. Essenzialmente, il neo presidente Usa più che criticare l’Arabia Saudita, riconquista l’indipendenza della politica americana da Riad. Per quel che riguarda il Medio Oriente, il messaggio lanciato da Biden a me pare molto chiaro e netto…

E quale è questo messaggio e chi ne sono i principali destinatari?

Il messaggio, a mio avviso, è questo: io non seguo Netanyahu e il principe ereditario Mohammad bin Salman , ma faccio quello che spetta ad un presidente americano e cioè decido io le linee fondamentali della politica, dopo di che se questi s’impantanano in una guerra in Yemen, io li critico e certo non li sostengo politicamente e tanto meno sul piano militare. E non voglio fare guerre né dirette né indirette all’Iran se non quando lo decido io. Questa a me pare essere la prima osservazione. Naturalmente, Biden non vuole fare adesso un’apertura immediata all’Iran. Quello che adesso sosterrà è la sia disponibilità condizionata a rientrare nel trattato Jpcoa (Joint Comprehensive Plan of Action, ndr). Cosa peraltro complicata giuridicamente, perché non si capisce se gli Stati Uniti sono usciti o non sono usciti formalmente Perché Trump ha poi fatto un casino giuridico nelle sue dichiarazioni. Ieri sono stato in discussione con russi e americani su tutte queste cose e le assicuro che dal punto di vista giuridico è un bordello. Non si capisce gli americani in che trattati stanno e da quali effettivamente sono usciti. Una riprova che l’America stava davvero in mano a dei pezzenti. Per tornare a Biden, lui chiaramente vuole riprendere una iniziativa in questo senso adesso, ma senza litigare esplicitamente né con Israele, in primo luogo, né con l’Arabia Saudita. Semplicemente, dicendo con grande chiarezza: io non sono il vostro alleato automatico per tutte le vostre scelte. Non sono la vostra carta di riserva per le vostre iniziative. Io guido gli Stati Uniti, una potenza globale che ha una sua politica e caso mai siete voi a doverne tener conto. Insomma, Biden, a differenza di Trump, non firmerà assegni in bianco ai sauditi e a Israele. Quei tempi sono finiti. 

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Estendendo il nostro giro di orizzonte ad altri temi e dossier caldi. Biden sembra aver sterzato anche sull’Afghanistan e la Corea del Nord.

In ambedue casi lui pone due problemi sostanziali. Che vuol dire ci ritiriamo dall’Afghanistan così, tra l’altro lasciando la Nato in quel Paese tutt’altro che stabilizzato e pacificato, non parliamo poi della sua eterea democratizzazione. Questo non ha senso. Diventa una situazione incontrollabile. E’ possibile che alla fine se ne vada lo stesso dall’Afghanistan, ma certamente non farà questa cosa di dichiarare vittoria e poi andarsene, ciò che voleva fare Trump. Con il Giappone già hanno ripreso un dialogo. E sarà molto importante perché il Giappone tiene molto alla copertura degli Stati Uniti nei confronti sia della Corea del Nord che della Cina. E questo diventa, secondo me, il capitolo principale. Tenga presente che per arginare la Cina, non solo Biden avrà bisogno del Giappone e della Corea del Sud, tenendo conto che la Cina si è infiltrata molto anche in Afghanistan. E la Cina è molto presente in Pakistan, e questo probabilmente porterà a dei riallineamenti, perché Biden sta cercando molto intensamente di rafforzare i rapporti con l’India, in chiave anticinese. E lì potrebbe essere che l’India ci stia, anche se è molto nazionalista e ha complesse dinamiche interne. Questo naturalmente creerà dei problemi per il Pakistan che, per reazione, tenderà a diventare più filo talebano in Afghanistan, se ritiene che gli Stati Uniti gli stiano facendo le scarpe. 

E in tutto questo, i rapporti con l’Europa come verranno declinati dall’amministrazione Biden?

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Con la Gran Bretagna incasseranno, ma questo era dato per scontato, la fedeltà di Boris Johnson. Il vero problema sarà la Germania. Io credo che vi sarà un forte feeling americano con la Francia, anche perché la Francia di Macron si sta allineando moltissimo a Biden, sia contro la Russia, sia contro la Cina. La Francia giocherà il ruolo dell’amico sincero e del vero partner degli Stati Uniti in Europa. Un partner indipendente, autonomo, tutto quello che si vuole ma comunque il vero fratello degli Stati Uniti in Europa. Con la Germania sarà più complicato. 

Perché, professor Silvestri?

Beh, anzitutto perché la Germania ha una politica più complessa nei riguardi della Russia. L’energia, ma non solo. Naturalmente non ne può fare a meno. Adesso bisognerà vedere, perché poi Germania, Francia e Regno Unito sono, ad esempio, il gruppo dei tre che negozia su Ucraina a Minsk con la Russia. Stanno tute e tre insieme. In definitiva, sia pur con gradazioni diverse, Germania, Francia e Regno Unito rimangono i tre punti di riferimento principali in Europa di Biden. Però la Francia potrebbe avere un ruolo particolare, non la Gran Bretagna. Sia perché la Francia è rimasta nell’Unione europea e sia perché Biden, rispetto a Trump, è più interessato al Mediterraneo. Su questo piano, la Francia conterà. Perché non c’è solo l’Italia nel Mediterraneo. E L’Italia dovrà farsi i suoi conti. 

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E vediamoli da vicino, questi conti che l’Italia dovrà fare in politica estera.

Non solo dovrà decidere le sue politiche nei confronti della Russia e della Cina, ammesso che ne abbia qualcuna ma su questo mi auguro che Draghi si dimostrerà più rapido.  E questo vale anche nei confronti della Francia stessa. Già avevamo con Conte bonificato i nostri rapporti con Parigi, uscendo dalle polemiche scatenate da Salvini ai tempi del Conte I. In una fase come questa, a noi può convenire avere buoni rapporti in primis con la Francia oltre che con la Germania. Mi rendo conto che non sia cosa facile, perché i francesi non è che siano il massimo della simpatia, però la politica è fatta così. 

Cina e Russia saranno dunque i due impegnativi banchi di prova per le relazioni transatlantiche?

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Direi proprio di sì. Il rapporto con la Cina, in primo luogo, che già vede posizioni diverse all’interno dell’Unione europea, potrebbe assumere una rilevanza particolare, e critica, se l’Europa non chiarirà meglio quali saranno i limiti politici e strategici del suo rapporto economico e commerciale con il gigante asiatico. In un altro campo, benché ci siano molte similitudini tra i democratici americani e gli europei sulla necessità di regolamentare il governo del web e il comportamento dei suoi giganti industriali, il diavolo come al solito è nei dettagli, che potrebbero rivelarsi molto difficili da concordare. Ancora più complessa è la questione di una tassazione delle grandi compagnie dell’online. Potrebbe invece rivelarsi meno problematica la questione di come gestire le relazioni con la Russia, ma la necessità di compensare il vuoto lasciato dal parziale ritiro americano dal Medio Oriente peserà sui rapporti transatlantici, riportando in primo piano la questione di un maggiore impegno e maggiori spese europee per la difesa e per la gestione delle crisi. Detto tutto questo, c’è però una sottolineatura da fare che è a monte di questo giro d’orizzonte.

Vale a dire?

Biden potrebbe rivelarsi il miglior presidente possibile per riannodare il filo delle grandi politiche multilaterali, per avviare un dialogo positivo con gli alleati e per condurre una politica di controllo e riduzione dei conflitti. Tuttavia, gli Stati Uniti oggi non hanno né il tempo né le risorse per impegnarsi a fondo nella costruzione di nuovi equilibri internazionali attorno alla loro leadership. Di questo l’Europa dovrà tenerne conto quando si tratterà di ragionare su una nuova partnership euroatlantica. 

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