Tunisia in fiamme, una rivoluzione tradita. Anche da Roma
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Tunisia in fiamme, una rivoluzione tradita. Anche da Roma

Una classe dirigente incapace a far fronte a una drammatica crisi economica e sociale. Ma tradita da dall’Europa che non ha fatto nulla per puntellare l’unico modello democratico lasciato dalle primavere arabe.

Proteste in Tunisia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

19 Gennaio 2021 - 16.11


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La Rivoluzione dimenticata. La Rivoluzione tradita. Tradita da una classe dirigente incapace a far fronte a una drammatica, devastante crisi economica e sociale. Ma tradita anche da una comunità internazionale, dall’Europa, dall’Italia, che non hanno fatto nulla per puntellare l’unico modello democratico lasciato dalle “Primavere arabe.

La Tunisia brucia

Nella serata di lunedì, nonostante la durissima risposta delle forse dell’ordine, sono ripresi con il calar della sera disordini e scontri tra gruppi di giovani e forze di sicurezza in alcune città della Tunisia.

Cité Ettadhamen, Mnihla, La Manouba, sobborghi popolari della capitale, Kram ma anche Beja, Kasserine, Sfax, Sousse e Monastir le località interessate dalle tensioni che hanno visto nuovamente le forze dell’ordine far uso di gas lacrimogeni. Si tratta della quarta serata di disordini, tuttavia di minore intensità rispetto ai giorni precedenti e con le forze dell’ordine che sembrano controllare la situazione. Il ministero dell’Interno ha di fatto escluso motivazioni politiche nel comportamento di questi giovani e giovanissimi, dichiarando che il loro fine principale è il saccheggio di proprietà e beni altrui. “Non si tratta di manifestazioni ma di atti vandalici” ha detto il portavoce del ministero dell’Interno, Khaled Hayouni, sottolineando come molti minorenni coinvolti in queste azioni siano stati fermati.

Il presidente Saied: no a strumentalizzazioni

Il presidente tunisino Kais Saied, in visita ieri al quartiere popolare di Errafeh, a Mnihla, nel governatorato dell’Ariana, ha ribadito il diritto del popolo tunisino al lavoro, alla libertà e alla dignità nazionale, invitando a non violare l’integrità fisica e la proprietà delle persone. Lo si legge in una nota della presidenza, che sottolinea come Saied abbia messo in guardia i cittadini contro la “strumentalizzazione” della miseria e della povertà dei giovani che stanno protestando, affermando che “coloro che manipolano i giovani e si muovono nell’oscurità mirano a diffondere il caos tra la gente”. “La gestione degli affari pubblici non dipende dalla realizzazione di alleanze e manovre politiche, ma si basa piuttosto su valori morali e principi costanti”, ha detto il presidente aggiungendo che il caos non può in alcun modo servire gli interessi nazionali. La visita di Saied a Mnihla si è svolta in un contesto teso segnato da violente proteste notturne, accompagnate da scontri tra giovani e forze di sicurezza. Proteste scoppiate in diverse regioni del Paese dal 14 

La Rivoluzione dimenticata

Dieci anni dopo, resta poco della “Rivoluzione dei gelsomini”. Un sondaggio rivela che il 58% dei tunisini ritiene si stesse meglio quando si stava peggio, il 28% si sente frustrato, l’84% odia tutti i politici e solo il 2% onora ancora la memoria di Mohamed Bouazizi, attivista simbolo delle sommosse popolari che si diede fuoco nel 2011. Il decimo anniversario della prima delle Primavere, quelle che poi si estesero all’Egitto di Mubarak, alla Libia di Gheddafi e alla Siria di Assad, non è una festa: il Paese è in lockdown dal Covid, l’economia è colpita dalla crisi e il dispiegamento delle forze è ampio. Quattro giorni di scontri, sassaiole e lacrimogeni da Tunisi a Sousse, da Hammamet a Tozeur, da Monastir a Djerba, migliaia di giovani in piazza e bande di ragazzini a saccheggiare negozi, case, banche, anche un canile comunale.

I ritardi sul vaccino

Il governo è in grave ritardo sull’emergenza Covid e, a differenza che nei vicini Marocco ed Egitto, i vaccini non sono ancora arrivati. Sono stati fissati quattro giorni di totale lockdown, proprio giovedì 14, tanto da rendere spettrale l’Avenue Bourghiba di Tunisi, di solito molto frequentata. Più che il fallimento del nono governo in dieci anni, è il fallimento dello Stato. Il premier Hichem Mechichi promette il rimpasto di dodici ministri, a partire da quelli dell’Interno, dalla Sanità e della Giustizia, ma per il 68 per cento dei tunisini dovrebbero andarsene a casa lui e tutti gli altri.

Le riforme mancate

L’assenza di riforme, la mancanza di prospettive, il terrorismo, la crisi della vicina Libia: i troppi fallimenti del dopo Ben Ali pesano sulle conquiste della Rivoluzione – dalla nuova Costituzione alla libertà di parola, dalle elezioni al premio Nobel della pace – che tutto il mondo ha riconosciuto alla Tunisia.L’Associazione tunisina dei giovani avvocati accusa le tre presidenze (del Governo, del Parlamento e della Repubblica) di essere all’origine dei problemi e di non fare nulla per affrontarli. Anche uno dei sindacati studenteschi, l’Unione Generale degli Studenti universitari della Tunisia (Uget), di sinistra, si è schierato a favore delle proteste.

Sotto pressione per lo scontento popolare dovuto all’aggravarsi delle preesistenti difficoltà economiche di fronte alla pandemia, il premier Hichem Mechichi ha annunciato nei giorni scorsi  un ampio rimpasto di governo che riguarda 12 ministeri, tra cui quelli dell’Interno, della Giustizia e della Salute. 
“L’obiettivo di questo rimpasto è di avere più efficacia nel lavoro del governo”, ha dichiarato il premier alla stampa. Il nuovo esecutivo, che deve ancora essere approvato dal parlamento, non include alcuna donna ministro.

I “gelsomini” non bastano per sfamare un popolo. I diritti non si mangiano. Una “rivoluzione” non si consolida se  non riesce a dare un tetto, un lavoro, un futuro ad un popolo giovane. E’ ciò che raccontano questi giorni e notti di scontri. 

Quanto ai media, il quotidiano francofono Le Temps ha messo in guardia contro “un gennaio caldo, molto caldo”, nella misura in cui “la contestazione sociale prosegue e si estende”. “E’ come se fossimo ancora a fine 2010, inizio 2011. Kasserine è in fiamme, e le città vicine la sostengono, i manifestanti occupano le strade e le istituzioni pubbliche, la polizia fa uso della forza e interviene anche l’esercito”, ha sottolineato da parte sua il quotidiano arabo Al Chourouk.  “Da Bouazizi a Yahyaoui, i motivi e i modi si ripetono. I risultati saranno gli stessi?” si interroga il quotidiano, alludendo a Mohamed Bouazizi, il venditore ambulante che si immolò dandosi fuoco il 17 dicembre 2010 a Sidi Bouzid, dando il via alla “rivoluzione dei gelsomini”. Secondo Le Quotidien, “ovunque, il tasso di disoccupazione tra laureati e diplomati sta battendo ogni record. Le statistiche sono spaventose” e confermano una “minaccia per un’intera generazione che ha sudato (…) per raggiungere un livello di istruzione che si dimostra inutile e insufficiente per avere un lavoro degno”, ha insistito il quotidiano. 

 Una crisi economica drammatica, che non risparmia i beni primari: tutto è caro, la carne rossa costa 25 dinari al chilo, in tavola arriva se va bene una volta al mese. Senza contare che bisogna pagare l’affitto, le bollette, l’assistenza sanitaria, che non è più gratuita per nessuno, neanche per chi ne avrebbe diritto. Un dramma per un Paese che ha la disoccupazione al 30% e ben poche speranze di mobilità sociale.

“In questi giorni  – scrive da Tunisi Arianna Poletti su Il Manifesto – non sono però i lavoratori precari e i disoccupati a occupare le strade, ma giovani e adolescenti, spesso ancora minorenni. Lo conferma un comunicato del ministero dell’Interno che annuncia 632 arresti tra le notti di sabato e domenica. Non è un caso infatti se i video amatoriali degli scontri con la polizia stanno circolando soprattutto su TikTok, raccolti dall’hashtag «il paese si solleva».
La tv nazionale continua invece a non riportare notizia delle proteste. Un segnale della tensione crescente tra quei giovani privati dei pochi spazi di aggregazione rimasti e le forze di polizia lo si è avvertito già prima dell’inizio del lockdown. Il 9 gennaio centinaia di tifosi si sono riuniti di fronte alla sede della Federazione calcistica tunisina, non lontano dallo stadio del quartiere di Menzah 1, per chiedere il licenziamento dei dirigenti del Club Africain. La polizia è intervenuta disperdendo la folla pacifica e ha arrestato più di 300 tifosi, tutti ventenni o poco più. Una settimana dopo, il 15 gennaio, un gruppo di ragazzi ha violato il coprifuoco a Siliana (nord-ovest) dopo la diffusione di un video sui social che mostra un poliziotto malmenare un pastore, dando così inizio alle proteste notturne. Chi scende in piazza non presenta rivendicazioni esplicite, ma sembra semplicemente voler affermare la propria esistenza in un paese che attraversa oggi la peggiore crisi economica dai tempi della sua indipendenza, crisi che colpisce duramente giovani e donne. ‘Abbiamo più volte messo l’accento sull’aggravarsi del fenomeno dell’abbandono scolastico e sull’assenza dello Stato quando si tratta di sostenere il diritto all’educazione, alla salute, al lavoro dei giovani. Questo ha provocato quel sentimento di ingiustizia e umiliazione che accomuna oggi chi scende in strada’, ha scritto il Forum tunisino per i Diritti economici e sociali (Ftdes). un comunicato a sostegno delle proteste”.

Sul crescente malessere sociale fa leva la filiale nordafricana dello Stato islamico per rafforzare le proprie fila. “L’Isis fa proseliti in chi non ha lavoro e non riesce a immaginare il proprio futuro. Il miglioramento delle condizioni materiali di vita, il lavoro, l’istruzione, sono parte fondamentale della lotta al terrorismo, non meno dell’aspetto militare o di intelligence. Ed è per questo che ritengo fondamentale rilanciare la cooperazione fra l’Europa e i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, dando concretezza all’idea di un ‘Piano Marshall’ E all’amica Italia dico: se cade la Tunisia, non muore solo una speranza di cambiamento, ma il Mediterraneo sarà ancora più destabilizzato e l’emergenza migranti si farà ancor più drammatica”, dice a Globalist Houcine Abassi, già Segretario generale dell’Ugtt (l’Union génèlae tunisienne du travail), Premio Nobel per la Pace nel 2015 come membro del Quartetto per il dialogo (la Ligue tunisienne pour la défense des droits de l’homme, l’Union générale tunisienne du travail, l’Ordre national des avocats de Tunisie e l’Union tunisienne de l’industrie, du commerce et de l’artisanat).

“Quello compiuto in questi dieci anni – rimarca Hocine – non è stato un percorso lineare, la transizione democratica è ancora in atto e non potrà dirsi conclusa se non affronta la grande questione che resta irrisolta ed anzi tende ad aggravarsi”.

 E quella “grande questione si chiama malessere sociale. L’ex capo del sindacato tunisino ne è assolutamente convinto: “La libertà – sostiene – non può dirsi realizzata se non hai un lavoro, se i giovani non possono costruire il loro futuro, avere una casa, diventare autonomi. In Tunisia, la rivoluzione del 2011 ha abbattuto un regime corrotto, la transizione ha consolidato le istituzioni, abbiamo una Costituzione tra le più avanzate in questa parte di mondo, ma non basta, non può bastare. Perché sul piano sociale il bilancio è negativo: il tasso di disoccupazione è aumentato del 15% a livello nazionale e raggiunto il 25% nelle regioni interne. Quello tunisino è un popolo giovane, e se ai giovani non dai una prospettiva concreta di realizzazione, il futuro è a rischio”. 

“I terroristi reclutano giovani emarginati non offrendo loro il miraggio del “Califfato” ma un salario per combattere la Jihad –gli fa eco Abdessatar Ben Moussa, avvocato, presidente della Lega per i diritti umani, uno dei membri del Quartetto per il dialogo nazionale tunisino, insignito, nel 2015, del Premio Nobel per la Pace -.  Per questo è fondamentale che l’Europa investa nella cooperazione con la Tunisia e più in generale con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo. Per l’Europa, per l’Italia, non sarebbe un atto di generosità ma un investimento a rendere sul piano della stabilità e della sicurezza”.

Un appello che sembra cadere nel vuoto. Tunisia, i traditori della “rivoluzione dei gelsomini” stanno anche a Roma. E a Bruxelles. 

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