Libia: la visita lampo di Sarraj, un favore a Conte e Di Maio. Ma gli ordini li dà Erdogan
Top

Libia: la visita lampo di Sarraj, un favore a Conte e Di Maio. Ma gli ordini li dà Erdogan

Una visita lampo. Strappata da Conte e Di Maio per provare a rinsaldare un legame sempre più sfilacciato.

Serraj e Conte
Serraj e Conte
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

9 Gennaio 2021 - 20.48


ATF

Una visita lampo. Strappata da Conte e Di Maio per provare a rinsaldare un legame sempre più sfilacciato. Fuori dal “diplomatichese”, è questo il significato politico dell’incontro di ieri  a Palazzo Chigi tra il presidente del Consiglio e il titolare della Farnesina con il presidente del Governo di accordi nazionale (Gna) Fayes al-Sarraj. “Un incontro costruttivo in cui si è ribadita l’importanza di procedere speditamente nel processo politico sotto l’egida dell’Onu”.

Sono le parole che il presidente del Consiglio Conte ha usato ieri sul suo profilo Twitter per descrivere l’incontro avvenuto nel pomeriggio a Palazzo Chigi con il suo pari libico al-Sarraj e a cui ha partecipato anche il ministro degli Esteri di Maio.

Dichiarazione fotocopia

Quella dichiarazione è un copia e incolla di tante alte che hanno accompagnato la nostra marginalizzazione della partita libica. 

Prima Roma e poi Ankara

Ricostruisce su InsideOver Mauro Indelicato: “Da Mitiga come scrive Agenzia Nova, l’aereo con a bordo il premier libico si è alzato in volo giovedì sera in direzione dell’Italia. A bordo del mezzo, tra gli altri, anche il capo del cerimoniale libico Faisal Obeid. Al Sarraj è arrivato nel nostro Paese lasciando a Tripoli una situazione alquanto tesa.  C’è lo spauracchio di una ripresa degli scontri a Sirte, mentre nel Fezzan oramai i contrasti tra bande e tribù legate da un lato al governo tripolino e dall’altro ad Haftar  sono all’ordine del giorno. La guerra quindi, all’inizio di questo 2021, potrebbe tornare ad essere a forte intensità. Le tensioni sono anche politiche: se da un lato è vero che i rapporti con l’Egitto di al-Sisi sono in netto miglioramento e che il riavvicinamento tra Riad e Doha, di riflesso, avrà conseguenze anche sul dossier libico, tuttavia appare ben lontano l’obiettivo di trovare un accordo tra le parti per un governo di unità nazionale. Al Sarraj era stato per l’ultima volta in veste ufficiale a Roma da dimissionario ad ottobre. Alla fine di quel mese, secondo le sue intenzioni annunciate poche settimane prima, doveva lasciare l’incarico. Ma il fallimento delle varie riunioni diplomatiche ha comportato il mantenimento dello status quo.”

Sulle dimissioni “tattiche” di Sarraj, diventato premier nel marzo 2016 dopo i 18 mesi di negoziati che nel dicembre dell’anno prima aveva prodotto l’accordo di Skhirat, pesa l’incognita dell’accordo ancora da annunciare sulla composizione dell’esecutivo, che dovrebbe rispecchiare le almeno tre anime della Libia costituite dalle regioni Tripolitania (ovest), Cirenaica (est) e Fezzan (sud). E perché la sua partenza non sia al buio, i negoziati dovranno tener conto anche delle rivalità e ambizioni geopolitiche fra l’altro di Turchia, Egitto, Emirati, Russia; della ripartizione delle vitali risorse petrolifere attualmente ancora in gran parte in mano ad Haftar e della riottosità delle milizie di Tripoli e Misurata, su cui mettono in guardia gli analisti.

Leggi anche:  M5s, l'altolà di Conte: "Resti progressista o dovrà trovarsi un altro leader"

 “La mossa del primo ministro tripolino non ha sorpreso gli osservatori, che già da tempo avevano colto le crescenti tensioni all’interno del Gna e parecchio scontento tra i libici: lo stesso al-Sarraj, nei mesi passati, si è detto più di una volta pronto a lasciare – rimarca Federica Saini Fasanotti, Non-resident Fellow, the Brookings Institution e Senior Associate Research Fellow, Ispi – Le sue dimissioni però non hanno effetto immediato, segnale che forse l’obiettivo della mossa è soprattutto quello di placar gli animi, senza una reale volontà di cedere l’incarico a un’“autorità” di cui non si conosce il nome e che difficilmente si materializzerà nelle prossime quattro settimane”.

Su chi punta il Sultano

Il premier di Tripoli sa bene che il suo futuro politico non si gioca a Roma, ma ad Ankara, a Mosca, a Il Cairo, a Parigi, ad Abu Dhabi..  Soprattutto ad Ankara. Nel novembre 2019, il governo di Tripoli e la Turchia hanno stretto un accordo militare ed economico che ha reso le due parti molto vicine e Sarraj sempre più dipendente da Erdogan. Il governo turco ha inviato centinaia di mercenari siriani in Tripolitania per dare manforte alle milizie filo Al Sarraj contro Haftar. Un appoggio che si è rivelato decisivo visto che a giugno il generale, dopo 14 mesi di offensiva per la presa di Tripoli, è stato costretto a far dietrofront e a ritornare in Cirenaica, regione da lui controllata. 

 “In realtà  – osserva  la professoressa Michela Mercuri, docente universitario, analista della storia e la geopolitica del Mediterraneo, in una interessante intervista concessa a Pierluigi Mele di  Rainews – credo che in questo momento Erdogan preferisca ‘abbracciare-  il ministro dell’interno Fathi Bashagha, esponente di Misurata e più vicino ai Fratelli musulmani e questo infastidisce non poco Sarraj che ha assecondato tutti i desiderata di Ankara pur di frenare l’avanzata di Haftar verso Tripoli. La spaccatura tra il leader del Gna e Bashagha è venuta a galla lo scorso 28 agosto quando il ministro dell’interno è stato sospeso dal suo incarico da Sarraj (formalmente) a causa della sua cattiva gestione delle proteste in corso nella capitale. Tuttavia pochi giorni dopo è stato reintegrato. Ordini da Ankara? Probabilmente sì. Dietro lo scontro politico fra il premier onusiano e ministro dell’interno, c’è l’inimicizia fra le milizie tripoline e quelle di Misurata, fedeli al loro concittadino Bashagha. Unite nella lotta al nemico comune, Khalifa Haftar, ora cercano un posto al sole nei futuri equilibri dell’ovest e lo scontro interno è inevitabile. Sullo sfondo c’è la competizione fra Erdogan e alcuni sostenitori di Sarraj, come ad esempio gli Usa. In questa lotta intestina si inserisce anche ‘l’astro nascente’ Maitiq, anch’esso misuratino e ben accetto dagli americani ma anche dagli italiani. Insomma, un gioco a tre, sostenuto da potenze esterne, che sta spaccando il fronte dell’ovest. In questo contesto in ebollizione potrebbe esserci uno spiraglio anche per l’Italia. Basti ricordare che pochi giorni fa Sarraj ha trascorso quattro giorni in visita privata a Roma. Sicuramente non si è trattato di una visita di piacere. Sfruttare questa nuova apertura del leader del Gna restando in buoni rapporti con Maitiq e facendo fruttare quel minimo dialogo riguadagnato con Haftar, seppure in posizione di netta inferiorità, potrebbe fare rientrare l’Italia in partita. Saremo capaci di farlo?”.

Leggi anche:  M5s, l'altolà di Conte: "Resti progressista o dovrà trovarsi un altro leader"

Il punto è proprio questo. Saremmo in grado di farlo? I dubbi sono innumerevoli. Accresciuti dalla conduzione della trattativa “sotterranea” imbastita dalle autorità italiane con l’uomo forte della Cirenaica, il maresciallo generale Khalifa Haftar, per la liberazione, dopo 108 di prigionia, dei 18 pescatori di Mazara del Vallo sequestrati dai miliziani di Haftar in acque che i libici rivendicano. “Riallacciando i rapporti con Haftar – rileva in proposito la professoressa Mercuri – l’Italia non è rientrata nel teatro libico. O, se lo ha fatto, lo ha fatto da una posizione di netta inferiorità, necessaria, però, a riportare a casa i nostri pescatori, che ritengo sia la cosa più importante. Ci sono attori ben più radicati sul terreno, come Russia, Turchia, Francia ed Egitto che hanno giocato bene la loro partita e ora sono i “player che contano”. Il problema dell’Italia sta nel fatto che, soprattutto negli ultimi anni, ha mantenuto una posizione di “debole equilibrismo” tra Haftar e gli attori dell’ovest, lasciando campo libero ad altri Paesi. Inizialmente abbiamo sostenuto il Governo di accordo nazionale, nato con gli accordi di Skhirat nel 2015, ma nel momento del bisogno, quando Haftar lo ha attaccato, ci siamo tirati indietro, lasciando campo libero alla Turchia che ora controlla l’ovest. Nel frattempo abbiamo anche interrotto il dialogo con Haftar e questo ci è costato caro. Basti ricordare che il primo settembre, proprio quando sono stati sequestrati i pescatori, il ministro degli esteri italiano, Luigi di Maio, si era recato in Libia a incontrare Aquila Saleh (Presidente del parlamento di Tobruk) e Sarraj ma non Haftar. Uno smacco che ha favorito il gesto rabbioso del generale che ha trattenuto per più di 100 giorni i pescatori a Bengasi. Prima di “rimettere mano” al dossier libico e tentare di rientrare in partita è necessario elaborare una strategia politico-diplomatica chiara e lungimirante; decidere che ruolo vogliamo giocare e con chi ma soprattutto “fare pace” con la categoria dell’interesse nazionale e su di esso costruire quel necessario ponte strategico tra politica interna e politica estera.  Senza aver ben chiari questi elementi forse sarebbe meglio fermarsi un attimo a riflettere per non commettere errori che, stavolta, potrebbero essere irreparabili”.

Leggi anche:  M5s, l'altolà di Conte: "Resti progressista o dovrà trovarsi un altro leader"

Errori irreparabili. Più che una possibilità nel futuro, è una certezza del presente. Sarraj lo sa bene, ed è per questo che è lui a guidare le danze con l’Italia. Se  non è un “errore irreparabile” questo…

Native

Articoli correlati