Israele, Netanyahu e la spia liberata: uno spot elettorale per l'ultimo regalo di Trump
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Israele, Netanyahu e la spia liberata: uno spot elettorale per l'ultimo regalo di Trump

Jonathan Pollard, l'ex analista militare Ssa che negli anni '80 spiò per Israele e che ha scontato circa 30 di prigione, è rientrato in Israele la notte scorsa

Jonathan Pollard
Jonathan Pollard
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

30 Dicembre 2020 - 16.23


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Un “trofeo” vivente da esibire in campagna elettorale. L’ultimo regalo dall’amico Trump. Jonathan Pollard, l’ex analista militare Ssa che negli anni ’80 spiò per Israele e che ha scontato circa 30 di prigione, è rientrato in Israele la notte scorsa dopo che il mese scorso gli è stato rimosso anche il divieto di lasciare New York. Pollard, 66 anni, è stato accolto all’aeroporto Ben Gurion dal premier Benyamin Netanyahu che gli ha subito consegnato la carta di identità dello stato ebraico. Pollard e la moglie Esther sono arrivati al Ben Gurion su un aereo privato di Sheldon Adelson, magnate Usa e proprietario del quotidiano Israel Hayom., legato alla destra israeliana. “Bentornato – gli ha detto Netanyahu accogliendolo ai piedi della scaletta dell’aereo – è grande che tu sia finalmente a casa. Ora puoi finalmente cominciare una nuova vita, con libertà e felicità”.

La storia

Pollard, cittadino americano, fu arrestato il 21 novembre del 1985 nel sospetto di spionaggio a favore di Israele mentre era analista dell’intelligence della marina militare Usa. Due anni dopo, nel 1987, fu condannato a vita per la stessa imputazione. Nel novembre del 2015, dopo 30 anni di detenzione, fu rilasciato in libertà condizionale con obbligo di braccialetto e di non lasciare il Paese. Il mese scorso il dipartimento di Giustizia ha certificato la fine del periodo di libertà vigilata rimuovendo ogni altro ostacolo, eccetto il permesso di lasciare gli Stati Uniti. Il caso Pollard causò una forte crisi tra gli Usa e Israele, due paesi tradizionalmente alleati e un lungo braccio di ferro per la sua liberazione. I vari presidenti alternatisi alla Casa Bianca, ma anche Cia e Fbi, si sono sempre detti contrari. Ebreo americano, Pollard si dichiarò colpevole al processo e disse di aver passato informazioni classificate per amore verso Israele che gli ha concesso la cittadinanza durante il periodo di detenzione.

Queste le prime parole di Pollard al suo arrivo in Israele: “Siamo estasiati di essere finalmente a casa dopo 35 anni. Ringraziamo il popolo d’Israele e il Primo Ministro di Israele per averci riportato a casa. Nessuno è più orgoglioso di questo Paese o del suo leader di quanto lo siamo noi. Speriamo di diventare cittadini produttivi il prima possibile e il più presto possibile e di andare avanti con la nostra vita qui. “Questo è un Paese meraviglioso. Ha un futuro straordinario. È il futuro del popolo ebraico e noi non andremo da nessun’altra parte”. Ad ascoltarlo a un gomito di distanza è un raggiante Netanyahu. Nonostante la mascherina di protezione, la sua soddisfazione è strabordante: è ondato in onda il primo spot elettorale, della serie: Bibi riporta a casa il “soldato Jonathan”.

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Un tradimento consumato

Se fosse per Netanyahu, Pollard avrebbe un posto garantito tra gli eletti del Likud. Ma la sua fu vera gloria?

Così ne scriveva pochi giorni prima del suo sbarco trionfale nella Terra promessa, Anshel Pfeffer, columnist di Haaretz e corrispondente da Israele di The Economist: “Anche se quasi tutti i principali protagonisti dello scandalo delle spie israelo-americane della metà degli anni ’80 sono morti e le relazioni tra i due Paesi sono andate avanti da tempo, Jonathan Pollard ha ancora dominato i titoli dei giornali nel fine settimana, con la cessazione della sua libertà condizionata e la rimozione di tutte le restrizioni al suo movimento.

L’ex spia navale, oggi un uomo malato e distrutto, immigrerà presto in Israele, dove la maggior parte dei leader del Paese lo saluterà come un figlio che ritorna. Un eroe, addirittura. Quindi è importante ricordare a tutti che la storia di Pollard è una storia di tradimento.

Non solo il tradimento da parte di Pollard del Paese in cui è nato e della Marina degli Stati Uniti, dove ha lavorato come analista di intelligence. Non solo il tradimento di Israele nei confronti dei suoi alleati americani e, dopo l’arresto di Pollard, il suo iniziale tradimento nei suoi confronti e la successiva trasformazione da parte di Benjamin Netanyahu in una pedina politica, da allevare come merce di scambio ogni volta che un presidente americano cercava di fargli pressione per fare concessioni ai palestinesi. Tutti questi tradimenti sono ormai storia. C’è un tradimento più grande e duraturo di cui Pollard è solo un esempio.

E’ ingenuo presumere che gli alleati non si spiino l’un l’altro. Indipendentemente dalla vicinanza e dalla storia di un rapporto strategico, non esistono due Paesi che condividano esattamente gli stessi interessi o che siano completamente trasparenti l’uno con l’altro nei loro affari. Raccogliere informazioni segrete può essere un modo per mantenere stabile l’alleanza, prevenire sorprese indebite e confermare che nessuno dei due Paesi vede qualcuno di nascosto. Ma deve essere fatto con molta più discrezione e con mezzi diversi da quelli usati per spiare una nazione rivale o nemica.

Date le particolari circostanze del rapporto Israele-USA, reclutare un ebreo americano alle dipendenze di uno dei servizi segreti del suo Paese (e non importa che sia stato Pollard ad avvicinare i suoi responsabili israeliani, non il contrario) costituisce un doppio tradimento della fiducia verso il governo degli Stati Uniti e verso gli ebrei americani. E mentre Israele si è profusamente scusato con l’amministrazione Reagan e alla fine ha fatto di tutto per espiare quel tradimento, non si è mai scusato con gli ebrei americani per averli messi, come collettivo e come individui, nella posizione invidiabile di doversi difendere dal sospetto di lealtà divise.

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Quel tradimento è in corso. Non perché Israele stia ancora spiando gli Stati Uniti (sostiene di no, ma la comunità dei servizi segreti americani non crede a queste affermazioni e probabilmente ha ragione) o perché usa ancora gli ebrei americani come spie (c’è stata una di queste accuse da allora, ma non è stata dimostrata), ma perché il tradimento va molto più in profondità dello spionaggio ed è andato peggiorando negli ultimi anni. A causa delle sue enormi implicazioni politiche e diplomatiche, il caso Pollard potrebbe essere stato l’esempio più importante e cinico dell’uso strumentale e insensibile degli ebrei della diaspora da parte di Israele. Che i leader di Israele negli anni ’80 – Menachem Begin, Yitzhak Shamir e Shimon Peres – fossero o meno a conoscenza di come Lakam, l’Ufficio di collegamento scientifico di Israele (che è stato chiuso dopo lo scandalo Pollard), stesse usando un ebreo americano per spiare il proprio governo, è irrilevante. E dato il background di Shamir e Peres nell’intelligence e nella tecnologia militare, è difficile immaginare che non ne fossero consapevoli.

Anche se il capo di Lakam Rafi Eitan e il responsabile di Pollard, il colonnello dell’aeronautica militare israeliana Aviem Sella, stavano operando in modo disonesto (e probabilmente non lo erano), stavano comunque operando fuori dalla tradizionale mentalità israeliana che vede gli ebrei della diaspora come utili solo se sono al servizio degli scopi di Israele. È una mentalità che risale agli anni Trenta, quando i leader dell’ala destra e sinistra del movimento sionista, David Ben-Gurion e Zeev Jabotinsky, videro la salvezza degli ebrei europei dall’ascesa della Germania nazista solo attraverso il loro potenziale di emigranti verso il futuro Stato ebraico.

E mentre Ben-Gurion e Jabotinsky possono essere almeno in parte scusati dal fatto che all’epoca non c’era nessun altro Paese disposto ad accogliere rifugiati ebrei in gran numero, è una mentalità che ha persistito fino ad oggi, quando gli ebrei in quasi tutti i Paesi del mondo (con la grande eccezione dell’Iran) vivono come cittadini liberi ed eguali.

E’ continuato per tutti gli anni ’70 e ’80, quando Israele ha cercato di impedire agli ebrei che lasciavano l’Unione Sovietica di esercitare la libera scelta e di emigrare altrove, e si può notare, più recentemente, nelle previsioni stravaganti fatte dai ministri del governo di una massiccia ondata di ebrei che stavano per arrivare in Israele in seguito alla pandemia del coronavirus.

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Si tratta di un tradimento inerente alla politica estera di Netanyahu degli ultimi anni, una politica che ha totalmente ignorato le preoccupazioni delle comunità ebraiche e ha abbracciato e sostenuto governi, partiti e politici di estrema destra, ignorando il modo palese in cui hanno permesso la causa di nazionalisti e suprematisti antisemiti. Una politica per cui un accordo con i movimenti progressisti ebrei per l’uso di una minuscola, lontana sezione del Muro occidentale viene gettato ai margini, ma i leader delle chiese evangeliche ultra-conservatrici, sputa sentenze che sono ripugnanti per la stragrande maggioranza degli ebrei americani, sono accolti a Gerusalemme come i salvatori di Sion.

Israele continua a vedere gli ebrei del mondo come nient’altro che una potenziale stampella demografica, un obiettivo per la raccolta di fondi e una fonte di sostegno e lobbying indiscusso – non importa quali siano i costi per gli ebrei della diaspora o quali siano le loro opinioni sulle politiche di Israele.

Pollard ha pagato un prezzo alto per le sue azioni, più alto della maggior parte delle spie catturate dagli Stati Uniti, e gli dovrebbe essere permesso di vivere i suoi giorni ovunque voglia. Riceverà l’accoglienza dell’eroe che non gli spetta solo quando arriverà in Israele, il che farà arrabbiare molti in America. Ma il danno principale dell’uso da parte di Israele di una spia ebrea americana è stato fatto più di tre decenni fa. Il danno continuo dell’egocentrica ingratitudine di Israele nei confronti della diaspora continua, e nessuno sta pianificando delle scuse”.

Calcoli errati

Quanto al liberatore di Pollard, Donald Trump, ha fatto male i suoi calcoli. Ritenendo questa l’ultima grande concessione, in ordine di tempo, fatta a Israele, il tycoon di Washington pensava che questo gli avrebbe garantito il sostegno elettorale degli ebrei americani. Ma ha fatto male i suoi conti, perché la grande maggioranza degli ebrei Usa hanno sostenuto Joe Biden, soprattutto in funzione anti-Trump, perché i regali fatti all’amico Netanyahu non compensavano minimamente la legittimazione del suprematismo bianco fatta da The Donald. Quel white power che si alimenta di antisemitismo e che ha provocato, attraverso l’azione criminale di suoi fanatici adepti, più morti ebrei in America di quanto fatto dal terrorismo jihadista.

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