Yemen, apocalisse dimenticata. La denuncia di Oxfam, l'allarme dell'Onu
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Yemen, apocalisse dimenticata. La denuncia di Oxfam, l'allarme dell'Onu

A Taiz e Hodeidah ogni giorno 4 persone inermi vengono ferite o uccise. È il bilancio a due anni dagli accordi di pace di Stoccolma che avrebbero dovuto alleviare le sofferenze di un paese colpito dalla guerra.

Le sofferenze dei bambini nello Yemen
Le sofferenze dei bambini nello Yemen
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

11 Dicembre 2020 - 17.22


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A Taiz e Hodeidah – principale porto dello Yemen – ogni giorno 4 persone inermi vengono ferite o uccise. È il drammatico bilancio a due anni dagli accordi di pace di Stoccolma, firmati il 13 dicembre 2018, che avrebbero dovuto alleviare le sofferenze di un paese duramente colpito dalla guerra.
L’allarme diffuso oggi da Oxfam rivolge un appello urgente alla comunità internazionale per un immediato cessate il fuoco che consenta alle organizzazioni umanitarie di soccorrere la popolazione stremata da carestia, colera e ora pandemia da coronavirus, del tutto fuori controllo con la metà delle strutture sanitarie distrutte da quasi 6 anni di conflitto.
“Dalla firma degli accordi di Stoccolma, sono stati colpiti oltre 2.600 civili nei due governatorati. – spiega Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia – Nonostante qualche timido progresso nel dialogo tra le parti in conflitto, ossia gli Huthi e il governo internazionalmente riconosciuto sostenuto dalla coalizione a guida saudita, siamo ancora molto lontani da una soluzione che porti alla pace. Una situazione drammatica di cui fa le spese per prima una popolazione stremata da un conflitto che ha già causato oltre 100 mila vittime di cui 12 mila civili, con le organizzazioni umanitarie che devono affrontare enormi difficoltà per portare aiuti”.
L’escalation del conflitto a Hodeidah rischia di portare alla carestia milioni di yemeniti 
L’escalation degli scontri da ottobre a Hodeidah minaccia la sopravvivenza di oltre 24 milioni di persone che dipendono dagli aiuti umanitari in tutto lo Yemen, visto che da qui transitano l’80% del cibo, delle medicine e del carburante che entrano nel paese.
A causa degli scontri centinaia di famiglie sono state costrette ad abbandonare le loro case nelle ultime settimane, mentre in città le forniture d’acqua sono state tagliate per far spazio alle trincee. La popolazione sta letteralmente restando senza acqua e cibo e le organizzazioni umanitarie non possono soccorrerle a causa dei blocchi alla circolazione imposti dalle parti in conflitto. Una situazione che potrebbe significare carestia per altri milioni di persone, in un paese in cui già in 7 milioni e mezzo, tra cui 1,2 milioni di bambini, soffrono la fame.
Voci dall’inferno di Taiz
Ci sono pochi altri luoghi in Yemen in cui il conflitto ha distrutto così tante vite come a Taiz, dove si sono raggiunti livelli di violenza mai visti prima. Una città sotto assedio, dove la guerra continua a costringere alla fuga dalla morte, che può arrivare dal cielo o via terra. Basti pensare che dall’inizio del conflitto oltre il 30% dei circa 22 mila raid aerei della coalizione saudita hanno colpito obiettivi civili in tutto il paese, mentre solo Taiz è stata colpita da oltre 2.600 bombardamenti di cui più della metà diretti ad obiettivi non militari.
Mohammed (nome di fantasia) vedovo, a 50 anni ed è scappato ad inizio novembre da Taiz. Sua figlia ha visto morire suo marito sotto le bombe. Così quando gli scontri si sono intensificati di nuovo ha deciso di fuggire assieme ai suoi 4 figli e ai nipoti, tra cui il più piccolo di appena 6 mesi, in un campo profughi temporaneo allestito in una scuola nel distretto di Ash Shamayteen.
“Abbiamo trovato rifugio nella tenda di un’altra famiglia, ma adesso siamo in 10, costretti a sopravvivere senza cibo, acqua, servizi igienici. – racconta –  Presto dovremo andarcene di nuovo, anche se non sappiamo dove. Avevo un lavoro a Taiz che ho perso e se adesso, come dicono, sposteranno il campo lontano dal mercato, non avremo più nemmeno la possibilità di elemosinare qualche avanzo di cibo”. 
“Spesso io e mio marito andiamo avanti per giorni e giorni solo con po’ di pane e acqua per provare a comprare le medicine di cui ho bisogno, che il più delle volte non si trovano”, aggiunge Jamila (nome di fantasia), a cui è stato diagnosticato un tumore al seno prima dello scoppio della guerra nel 2015. Lei come milioni di suoi connazionali deve fare i conti con un sistema sanitario al collasso, che adesso deve fare i conti anche con la pandemia da Covid, senza nessuno strumento per affrontarla.
L’appello alla comunità internazionale
“In tutto lo Yemen ci sono già oltre 4 milioni di sfollati e più di 20 milioni di persone non hanno accesso a cure di base, mentre le grandi potenze mondiali continuano a trarre profitto dalla vendita di armi alle parti in conflitto.  – conclude Pezzati – Nemmeno l’appello per un cessate il fuoco globale lanciato dalle Nazioni Unite ha sortito effetto in Yemen. Rilanciamo perciò un appello urgente, perché tutto questo finisca al più presto e si arrivi ad un immediato cessate il fuoco tra le parti, prima che il Paese piombi in una catastrofe umanitaria da cui non potrà rialzarsi”.
Si può sostenere l’appello rilanciato da Oxfam per un cessate il fuoco globale, firmando suhttps://www.oxfamitalia.org/cessate-fuoco-globale/
 L’Italia faccia la sua parte
“Anche l’Italia può fare di più – conclude Pezzati – Innanzi tutto aumentando gli sforzi diplomatici per arrivare ad una soluzione politica della crisi e aumentando i fondi per la risposta umanitaria fermi a poco più di 5 milioni l’anno. E’ inoltre fondamentale – visto che la sospensione all’export votata nel giugno 2019 scadrà a gennaio 2021- che il Parlamento rinnovi lo stop alla vendita di armamenti questa volta però verso tutti i paesi della coalizione saudita, senza fermarsi solamente a bombe e missili”.
Unhcr: è allarme rosso
L’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, avverte oggi che centinaia di migliaia di sfollati interni yemeniti sono esposti a un rischio più elevato di insicurezza alimentare, data la perdita dei mezzi di sussistenza causata dell’effetto combinato di violenze incessanti e pandemia di Covid-19.
Secondo l’ultimo sondaggio sulla sicurezza alimentare realizzato dalle Nazioni Unite in Yemen, l’insicurezza alimentare è prevalente nelle aree di conflitto, nelle quali vive la metà dei quattro milioni di sfollati interni di tutto il Paese. Questi si trovano all’interno e nei dintorni dei 16 distretti più duramente colpiti da insicurezza alimentare acuta, nei governatorati di Marib, Al Bayda, Abyan, Taizz, Hadramautand e Al Jawf, e sono sempre più esposti al rischio di vivere in condizioni simili a quelle comportate da una carestia.
Quasi il 40 per cento delle famiglie sfollate più vulnerabili dichiara di non aver accesso a forme di reddito e il 37 per cento che, da prima, era stato costretto a ridurre il consumo di cibo.
L’Unhcr , in una nota ufficiale da Ginevra, esprime particolare preoccupazione in merito all’impatto sulle persone più vulnerabili tra gli sfollati interni. Oggi, una famiglia sfollata su quattro è sostentata da una donna o da una ragazza, di cui una ogni cinque è di età inferiore ai 18 anni.
Le donne sono colpite in modo sproporzionato, in un Paese in cui le norme socioculturali spesso ne riducono l’accesso al mercato del lavoro. Numerose donne sfollate interne, comprese donne sole o vedove, riferiscono di sentirsi escluse dagli aiuti umanitari in Yemen a causa di ostacoli culturali e sociali che ne limitano la possibilità di uscire per sostentare le proprie famiglie. Per molte di loro, conflitti, esodi e assenza di parità di genere non fanno altro che aggravare le privazioni e le difficoltà a cui fanno fronte. 
L’inflazione dilagante e le scarse opportunità di sostentamento hanno portato le famiglie e non potersi più permettere il consumo di pasti essenziali. Pur di avere cibo a tavola, numerose famiglie sfollate stanno svendendo i propri effetti personali, ritirando i figli da scuola per mandarli a lavorare, chiedendo l’elemosina per strada o consumando un solo pasto al giorno. 
Il personale dell’Unhcr registra che, spesso, un pasto giornaliero è costituito esclusivamente da una ciotola di riso o da una tazza di tè accompagnata da una fetta di pane. Le strategie di sopravvivenza, come quella di limitare le porzioni, sono adottate prevalentemente tra gli sfollati. Si stima che su cinque famiglie sfollate sostentate da donne o ragazze quattro siano ora costrette a ricorrere a tali misure.
Nelle famiglie sfollate, i genitori sono costretti a prendere decisioni difficili tra quella di assicurare cibo ai propri cari e quella di proteggerli da malattie trasmissibili, come colera e nuovo coronavirus.
L’Unhcr, malgrado l’attuale carenza di fondi, in vista dell’inverno sta intensificando le attività di supporto alle famiglie sfollate e alle comunità che le accolgono in Yemen mediante aiuti diretti in denaro contante. Finora, quest’anno, l’Agenzia ha erogato aiuti in contanti a oltre 900.000 yemeniti sfollati.
I dati in possesso dell’Unhcr mostrano come quasi tutti i nuclei familiari supportati, circa il 97 per cento, abbiano utilizzato gli aiuti anche per acquistare cibo. Gli sforzi profusi dall’Agenzia necessitano di sostegno internazionale continuo per poter assicurare assistenza agli yemeniti sfollati maggiormente a rischio.
Sei anni di conflitto hanno portato i civili a subire conseguenze brutali, costringendo alla fuga uno yemenita su otto. È necessario agire ora per proteggerli da fame e carestia.
Se un giorno vi sarà una Norimberga yemenita, i banchi degli imputati saranno stracolmi. E nessuno potrà dire: non sapevo.

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