Per lo Stato di Palestina: ad Assisi, una domenica di pace.

La conferenza sarà inaugurata dal sindaco Stefania Proietti e dal Vescovo, Monsignor Domenico Sorrentino, in collegamento dalla Cittadella della Pro-Civitate Christiana e sarà trasmessa in streaming

Ad Assisi conferenza per la Palestina
Ad Assisi conferenza per la Palestina
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

26 Novembre 2020 - 16.08


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Ad Assisi. Per non dimenticare che c’è un popolo che continua a battersi per il diritto ad uno Stato indipendente. E’ il popolo palestinese. Ad Assisi. Per riaccendere i riflettori su una causa che è scomparsa dalle prime, e anche dalle ultime pagina, di giornali e tv. Ad Assisi, perché la solidarietà internazionalista non è un reperto archeologico ma continua a vivere in ogni uomo e donna che vuole “restare umano”.  

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Domenica 29 novembre da Assisi si aprirà la videoconferenza per il riconoscimento dello Stato di Palestina, promossa da un ampio arco di reti, associazioni e sindacati.

Sono previsti interventi in video-conferenza con ospiti internazionali, rappresentanti delle diverse religioni, testimonianze dalla Palestina e da Israele, esponenti delle associazioni promotrici. 

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La conferenza, sarà inaugurata dal Sindaco di Assisi, Stefania Proietti e dal Vescovo, Monsignor Domenico Sorrentino, in collegamento dalla Cittadella della Pro-Civitate Christiana, e sarà trasmessa in streaming sulla piattaforma Zoom e sulle Pagine Facebook degli organizzatori.

L’importante iniziativa si svolge nella Giornata internazionale di Solidarietà con il popolo palestinese, indetta dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per ricordare l’anniversario dell’approvazione della risoluzione 181 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1947 per la creazione di due stati: Israele e Palestina. Da più di 70 anni il mondo attende una pace giusta, fondata sul diritto internazionale e sul reciproco rispetto, come unica alternativa alla guerra, all’occupazione, alla violenza.

Da tempo non si vedeva nel nostro paese un cartello così ampio, una coalizione così larga e rappresentativa di diverse sensibilità e settori della società italiana, riuniti per un unico obiettivo condiviso: il riconoscimento dello Stato di Palestina.

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Le 18 sigle firmatarie rivolgono un Appello alla società civile e alle Istituzioni per la fine delle guerre in Medio Oriente, per applicare in modo coerente e responsabile quanto indicato dalle risoluzioni delle Nazioni Unite, dal diritto internazionale e dagli accordi di pace intercorsi tra le due parti, costruiti sulla soluzione dei due stati per i due popoli.

L’Appello si intitola Ora è il momento di riconoscere lo stato di Palestina, per la pace giusta tra Palestina ed Israele.

Già  138 su 193 Stati membri delle Nazioni Unite, oltre allo Stato del Vaticano, riconoscono lo Stato palestinese entro i confini antecedenti la guerra del 1967 e con Gerusalemme capitale condivisa. “Chi ha a cuore la pace giusta in Palestina – si legge nell’Appello – non può negare l’esistenza ed il rispetto dello Stato d’Israele, come pure il diritto dei popoli che la abitano ad un proprio Stato in cui vivere in sicurezza, pacificamente e democraticamente”. 

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Israele e Palestina hanno un comune destino: vivere insieme, nel reciproco rispetto, in autonomia ed indipendenza; solo così i due stati potranno sedersi, negoziare per il bene reciproco ed i due popoli potranno riconciliarsi e convivere. Questo è il quadro politico indispensabile per porre fine al confitto territoriale e delegare alle istituzioni dei due stati la responsabilità di garantire la pace, la convivenza e la sicurezza, con il concreto sostegno e con la cooperazione della comunità internazionale.

Ancor oggi, invece, l’intero popolo palestinese è sottoposto al regime di colonizzazione e di occupazione militare in Cisgiordania, all’assedio di Gaza portato ai limiti dell’invivibilità, alla discriminazione e violazioni dei diritti umani, come certificato dalle Agenzie delle Nazioni Unite e dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea dell’Onu.

Per queste ragioni – conclude l’Appello – vogliamo far sentire le voci della società civile e religiosa italiana, europea, palestinese ed israeliana, per riaffermare l’urgenza dell’azione politica delle nostre istituzioni per la pace giusta. La pace giusta non può fondarsi su un vincitore ed uno sconfitto ma deve essere frutto del reciproco rispetto ed attuazione del diritto internazionale, unica alternativa alle guerre, all’occupazione, alle violenze ed alle sofferenze provocate”. 

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Il riconoscimento dello Stato di Palestina, dicono i proponenti, non è contro Israele, ma contro l’occupazione militare, ed è uno strumento indispensabile come alternativa politica alla violenza.

Il conflitto in corso ha una lunga, tormentata e tortuosa storia alle spalle. 

Dal 1948 con la dichiarazione unilaterale dello Stato di Israele, passando dalla guerra dei sei giorni del 1967; dalla creazione unilaterale dello Stato di Palestina del 1988, fino agli accordi di Oslo del 1983, sottoscritti dalle due parti; dalla creazione da parte di Israele del Muro di Separazione del 2002, fino all’Assemblea Onu del 2012 che ha riconosciuto lo status dello Stato di Palestina come “no-member observer state”.  

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In mezzo a tutto questo, per 70 anni, c’è stata guerra: una storia di soprusi, di violenze, di attentati, di morti, di macerie, di muri, di sofferenze atroci, che ha dilaniato i due popoli tra di loro ma anche internamente a loro. La guerra vuole distruggere il nemico, ma distrugge anche chi la fa.

“La nonviolenza non è soltanto contro la violenza del presente, ma anche contro quelle del passato”, diceva Aldo Capitini, il padre della nonviolenza italiana. E dunque per superare la violenza del passato, occorre riconoscerla e ripararla. È un fatto di giustizia a posteriori. 

No peace without justice, Non c’è pace senza giustizia

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Lo ripete spesso, in tutte le lingue del mondo, Papa Francesco, in linea con i suoi predecessori. “Dove non c’è la giustizia non c’è la pace. La vera pace è frutto della giustizia”.

Oggi la giustizia e la pace vogliono il riconoscimento dello Stato di Palestina. Può essere questo il passo tanto atteso per voltare pagina, per scrivere un nuovo capitolo della storia.

Lo chiedono insieme, con determinazione e forza, le 18 organizzazioni domenica 29 novembre alle ore 10.

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L’appello di Mairead Maguire

“Sono da sempre fautrice della disobbedienza civile e della resistenza non violenta. Ho vissuto gli anni terribili della guerra in Ulster e la mia famiglia ha pagato un prezzo pesantissimo in quel conflitto. Ho imparato allora la potenza del dialogo, dell’unirsi per chiedere pace, perché l’altro da sé non venisse visto come un nemico ma come qualcuno con cui incontrarsi a metà strada.  La pace, per essere davvero tale, deve coniugarsi con la giustizia. Senza giustizia non c’è pace. E non c’è pace quando un popolo è sotto occupazione, quando viene derubato della sua terra o segregato in villaggi-prigione. Quello palestinese è un popolo giovane, e intere generazioni sono nate e cresciuto sotto occupazione, passando da un conflitto all’altro, senza speranza, con la sola rabbia come compagna. E dove c’è rabbia, dove la quotidianità è sofferenza, è impossibile che cresca la speranza”. E’ quanto affermato in una recente conversazione con Globalist Mairead Corrigan Maguire, Premio Nobel per la Pace 1976.

Per aver sostenuto queste idee la Nobel nordirlandese è stata ritenuta da Israele “persona non gradita”. Definizione soft, per non dire nemica. “Ho imparato sulla mia pelle cosa significhi discriminazione e odio – dice Maguire -.  Io mi sento amica d’Israele e un amico vero è quello che prova a convincerti che stai sbagliando, che proseguendo su una certa strada finirai male. È questo che provo a dire agli israeliani: riconoscere il diritto dei palestinesi a uno Stato indipendente, al fianco del vostro Stato, porre fine all’embargo a Gaza e alle inumane punizioni collettive, è fare onore a voi stessi, alla vostra storia. È investire su un futuro di pace che non potrà mai essere realizzato con le armi. Lo ripeto: non si può spacciare l’oppressione come difesa. Questo è immorale. La colonizzazione non favorisce la pace, ma alimenta l’ingiustizia. Da tempo nei Territori vige un sistema di apartheid e denunciarlo non significa essere ‘nemica d’Israele’ e tanto meno antisemita. Significa guardare in faccia la realtà”.

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Resta il fatto che la questione palestinese sembra essere uscita dall’agenda, per rientrarci solo se essa viene gestita da attori esterni come, per venire ai giorni nostri, gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar, o se è legata ad episodi di terrorismo. ”È terribile il solo pensare che per ‘far notizia’  si debba usare l’arma del terrore – rimarca la Nobel per la Pace – È una cosa terribile, contro cui continuerò a battermi in ogni dove. La violenza è un vicolo cieco, un cammino insanguinato. Ma cinque milioni di palestinesi non sono diventati tutto ad un tratto dei ‘fantasmi’. Non si sono volatilizzati. Continuano a vivere sotto occupazione e sotto un’apparente ‘tranquillità’ cresce la rabbia, la frustrazione, sentimenti sui quali possono far presa gruppi estremisti. Per questo occorre rilanciare il dialogo dal basso, favorire le azioni non violente, la disobbedienza civile, e in questa pratica unire palestinesi e israeliani, musulmani, cristiani, ebrei, come riuscimmo a fare noi in Irlanda del Nord, marciando insieme cattolici e protestanti. E poi c’è la diplomazia, la politica, che è fatta anche di atti simbolici che possono avere in prospettiva un grande peso”. E un atto del genere, aggiunge Maguire – può essere
Il riconoscimento dello Stato di Palestina. “Un atto politicamente forte, che faccia rivivere l’idea di una pace fondata sul principio ‘due popoli, due Stati’. Sarebbe un bel segnale se fosse l’Europa, come Unione e non solo come singoli Paesi membri, a rilanciare questa prospettiva. In nome di una pace nella giustizia. La pace vera. Un mondo senza guerra e violenza è possibile”.

Ed è con questo spirito che nasce l’iniziativa di Assisi. La solidarietà non va in quarantena. 

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