di Marco Santopadre
Il tribunale di Atene ha emesso oggi le condanne specifiche nei confronti dei dirigenti e militanti di Alba Dorata colpevoli dell’omicidio del rapper antifascista Pavlos Fyssas (aka “Killah P”), pedinato e poi accoltellato la notte tra il 17 e il 18 settembre del 2013 nel quartiere ateniese di Keratsini da un gruppo di estremisti di destra sotto gli occhi di alcuni agenti di polizia che non mossero un dito e che anzi affermarono che l’omicidio fosse l’epilogo di una rissa scoppiata in un bar dove il popolare rapper si era recato per guardare una partita di calcio. In seguito, alcune testimonianze e lo stesso Fyssas, prima di morire in ospedale a causa delle gravi ferite, avevano indicato il colpevole – poi reo confesso – e ristabilito la reale dinamica dei fatti.
Oggi Giorgos Roupakias, autore materiale di un omicidio deciso dai vertici dell’organizzazione, è stato condannato all’ergastolo e a una pena aggiuntiva di 10 anni per associazione a delinquere.
Anche alcuni dirigenti ed ex deputati, ritenuti i mandanti dell’aggressione e di vari tentati omicidi, hanno ricevuto pene minori. I giudici hanno inflitto 13 anni al “fuhrer” e fondatore di Alba Dorata, Nikolaos Michaloliakos e a cinque ex parlamentari della formazione – Christos Pappas, Ilias Kasidiaris, Ioannis Lagos, Giorgos Germenis, Ilias Panagiotaros – uscita dal parlamento di Atene alle ultime elezioni non avendo raggiunto – di poco – il quorum minimo del 3%.
Altri cinque ex deputati del partito sono stati invece condannati a pene tra i 5 e i 7 anni, ma potrebbero tornare in libertà dopo una possibile sospensione della sentenza in vista del giudizio d’appello. 50 imputati sono stati condannati a pene minori per partecipazione a organizzazione criminale, aggressione e possesso illegale di armi; tra questi anche la moglie di Michaloliakos, Eleni Zaroulia, ex parlamentare di Alba Dorata.
Lo scorso 7 ottobre la “cupola” di Chrysi Avgi era stata complessivamente condannata dalla Corte d’Appello d’Atene, in quanto ritenuta una “organizzazione criminale” basata su squadracce paramilitari dirette in maniera gerarchica dal vertice, dedita ad azioni sistematiche di violenza nei confronti dei militanti dei partiti di sinistra e dei sindacati, degli immigrati, degli omosessuali, oltre che di numerosi giornalisti e artisti. Oltre all’omicidio di Killah P, la formazione è stata ritenuta colpevole di diversi altri episodi di violenza avvenuti tra il 2012 e il 2013, come l’uccisione del lavoratore pakistano Sahzat Luckman, l’assalto contro alcuni pescatori egiziani e l’aggressione contro un gruppo di sindacalisti comunisti del PAME.
La sentenza di oggi, criticata dai genitori di Pavlos Fyssas e dai portavoce delle organizzazioni antifasciste elleniche in quanto troppo blanda nei confronti dei massimi dirigenti dell’organizzazione, segnerà probabilmente la fine alla parabola politica e criminale di Alba Dorata.
Alla seppur controversa sentenza di oggi si è arrivati dopo un processo che ha messo in evidenza l’estrema tolleranza del sistema politico, mediatico e giudiziario nei confronti della banda criminale in questione.
I neonazisti agli ordini di Michaloliakos hanno a lungo goduto di lauti finanziamenti da parte di alcuni settori imprenditoriali e degli armatori ellenici, mentre vari giudici chiudevano gli occhi di fronte ai continui assalti contro i “nemici della patria”, gli oppositori politici e i “diversi”, e alcuni giornalisti amplificavano l’odiosa propaganda razzista di Alba Dorata presentandone i membri come patrioti interessati al benessere del loro popolo e accreditandoli come “movimento antisistema”.
Il processo, iniziato cinque anni e mezzo fa, ha messo subito in chiaro che le consistenti e trasversali complicità con i picchiatori di Michaloliakos all’interno delle forze di polizia e dell’esercito, negli apparati istituzionali e imprenditoriali non sarebbero stati indagate e punite, nonostante la capillare mobilitazione delle sinistre, delle associazioni degli immigrati e di alcuni giornalisti coraggiosi, senza la quale non si sarebbe mai arrivati alle condanne di oggi.
Condanne che però, a detta di alcuni osservatori, hanno avuto un chiaro input politico. E non certo, come affermano i condannati, in conseguenza del complotto ordito dai comunisti, dagli ebrei e dagli omosessuali…
Per molti anni dopo la sua fondazione, negli anni ’80 e ’90, Alba Dorata è rimasta una sigla sconosciuta con un consenso elettorale ridicolo. Ma poi, quando la crisi finanziaria e le politiche di austerità imposte dall’UE e dal FMI hanno gettato sul lastrico centinaia di migliaia di greci schiantando la classe media, i neonazisti sono tornati utili per distogliere l’attenzione dai veri responsabili della situazione e orientare l’odio verso gli immigrati, creando un clima di tensione continua e una minaccia costante all’incolumità degli attivisti sociali e sindacali. Che Alba Dorata ottenesse consensi tripli rispetto a quelli medi, con punte di oltre il 30%, nei seggi dove votavano i membri delle forze dell’ordine ad Atene e Salonicco dimostra su quante simpatie potessero contare le squadracce neonaziste all’interno degli enti incaricati della repressione di un movimento popolare variegato che per anni ha portato in piazza centinaia di migliaia di persone contro l’austerity, le privatizzazioni e la corruzione.
Ora che la crisi è “passata” e il centrodestra di Nea Dimokratia è tornato prepotentemente al governo, Alba Dorata non ha più la stessa funzione stabilizzatrice che la portò al 10% dei consensi solo pochi anni fa.
Prima ancora che nei tribunali, il partito neonazista ellenico è stato punito nelle urne; alle politiche del 2019 un terzo dei suoi ex elettori si è astenuto, mentre molti altri hanno votato per la “destra responsabile” dell’attuale primo ministro Kyriakos Mitsotakis, all’ombra del quale si sono rifugiati negli ultimi anni vari membri di Alba Dorata. D’altronde, come hanno rivelato alcune testimonianze emerse durante il processo e che ovviamente la corte si è guardata bene dall’approfondire, tra Mitsotakis e Michaloliakos c’è stato per anni un patto informale: i deputati neonazisti si impegnavano a non mettere i bastoni tra le ruote a Nea Dimokratia, e in cambio era loro concessa carta bianca. Basti pensare che, ancora poche settimane fa, il presidente del Parlamento di Nuova Democrazia aveva dato il proprio assenso all’assunzione di Eleni Zaroulia, la moglie del fuhrer di Chrysi Avgi, operazione poi saltata grazie alla denuncia di alcuni media e alla mobilitazione delle opposizioni.
E, come ha ricordato il giornalista Dimitri Deliolanes commentando la sentenza del 7 ottobre, «Mitsotakis ha spalancato le porte del suo partito all’estrema destra, a personaggi come Thanos Plevris (figlio del più noto Kostas, l’uomo dei colonnelli in Italia durante la stagione dello stragismo), l’attuale ministro dello Sviluppo Adonis Georgiadis oppure il ministro dell’Agricoltura Makis Voridis. Alba Dorata è morta ma il suo veleno continua a infettare la politica greca».
Dopo l’arresto di molti suoi dirigenti che segnava la fine della tolleranza fin lì dimostrata dalle istituzioni democratiche, vari sono i pezzi che hanno deciso di separarsi e di fondare altre forze politiche.
L’ex numero due del partito e nipote di Michaloliakos, Ilias Kassidiaris, ha creato “Greci per la Patria”, una nuova formazione “nazionalista” che “rifiuta il fascismo, il nazismo e tutte le ideologie non greche” (sic!) ma che ovviamente mette al primo posto la lotta contro l’immigrazione.
Anche l’ex fedelissimo Ioannis Lagos, attualmente parlamentare europeo e tra i condannati, tempo fa si è smarcato dai nazionalsocialisti e ha fondato un gruppuscolo, denominato “Coscienza Nazionalpopolare” e associato alla “Alleanza per la Pace e la Liberta” (sic!) guidata dal neofascista italiano Roberto Fiore.
Ora al posto dei nazionalsocialisti, nel parlamento ellenico siedono 10 deputati di “Soluzione Greca”, partito ultranazionalista fondato da Kyriakos Velopoulos, “giornalista televisivo” (in realtà teleimbonitore noto per aver proposto ai suoi acquirenti delle “lettere autografe” nientemeno che da Gesù Cristo) con un passato in Nuova Democrazia e poi nel Laos, un partito di estrema destra, ultraconservatore e vicino alle gerarchie della Chiesa Ortodossa rimpiazzato proprio da Alba Dorata.