Il magnate del calcio, non ha soldi da spendere per rafforzare la sua squadra. Quei soldi servono per “giudeizzare” Gerusalemme Est. Documenti bancari indicano che le società associate o controllate dall’uomo d’affari miliardario israelo-russo Roman Abramovich hanno contribuito con quasi 350 milioni di shekel (102 milioni di dollari) all’organizzazione Elad, che lavora per rafforzare la presenza ebraica a Gerusalemme Est. La rivelazione collega l’oligarca di origine russa a quattro società registrate nelle Isole Vergini britanniche e sulle quali finora non si sapeva chi ci fosse dietro. I documenti, presentati al Congresso Usa nell’ambito di un’indagine sul presunto coinvolgimento russo nelle elezioni presidenziali del 2016 negli Stati Uniti, sono trapelati sul sito web di BuzzFeed, che li ha condivisi con l’International Consortium of Investigative Journalists. Attraverso tale organizzazione, sono stati condivisi con 400 giornalisti di 108 mezzi di comunicazione in tutto il mondo. Tra i 400 c’è Uri Blau, reporter dello Shomrim Center for Media and Democracy, membri israeliani del Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi. La sua ricostruzione di questa storia su Haaretz è un esempio di cosa significhi davvero giornalismo investigativo
Il munifico Roman
Sebbene Elad stesso e le donazioni che vi sono state trasferite non siano state affatto menzionate nei documenti, gli sforzi per rintracciare le persone coinvolte hanno portato al no-profit israeliano. Negli ultimi anni, Elad, che è anche conosciuta come la Fondazione Ir David, si è distinta per il fatto di occuparsi principalmente di istruzione e turismo e meno di aumentare la presenza ebraica a Gerusalemme Est.
Shahar Shiloh, che fino al 2016 ha diretto gli sforzi di marketing di Elad, ha spiegato in un’intervista alla British Broadcasting Corporation (BBC insieme a questo scrittore ha indagato sui contributi al no-profit), che la strategia di Elad si è spostata e si è concentrata sul turismo del patrimonio, attraverso il quale Elad ha cercato di plasmare la realtà e di influenzare l’opinione pubblica per consolidare per sempre la sovranità ebraica sull’antica Gerusalemme. Nel complesso, Elad è una delle più grandi e ricche organizzazioni no-profit di Israele e ha un patrimonio di enormi proporzioni. Per l’anno 2018, l’anno più recente per il quale sono state presentate le relazioni al registro delle organizzazioni non profit di Israele, Elad ha avuto un fatturato stimato di circa 116 milioni di shekel. Nel suo rapporto per quell’anno al conservatore del registro delle organizzazioni non profit, Elad ha elencato partecipazioni immobiliari per un valore di quasi un quarto di miliardo di shekel, di cui circa 140 milioni di shekel relativi ai suoi immobili residenziali per residenti ebrei. I documenti trapelati includono informazioni su ciò che nel mondo finanziario e legale è noto come i proprietari finali di varie società, comprese le società off-shore, vale a dire le persone che detengono il controllo o la proprietà di determinate società.
Le quattro società che hanno contribuito ad Elad sono menzionate nel rapporto presentato al Dipartimento del Tesoro statunitense dalla filiale americana della Deutsche Bank. I documenti affermano che Roman Abramovich è l’ultimo beneficiario effettivo di tre delle società (Farleigh, Cantley e Ovington).
Il documento non indica chi è il beneficiario finale di Leiston, ma dice che secondo alcune fonti (la banca si riferisce apparentemente ai media), Leiston è una società di investimento che detiene una serie di contratti con i calciatori ed è sotto il controllo di un socio di Abramovich.
Roman Abramovich, nato in Russia e noto soprattutto per essere il proprietario del Chelsea, tra le più blasonate squadre della Premier League inglese, è diventato cittadino israeliano nel 2018. Ha una fortuna stimata tra i 12 e i 13 miliardi di dollari e negli ultimi anni ha acquistato diverse proprietà di lusso in Israele. Nonostante i suoi interessi commerciali globali, Abramovich è considerato un uomo molto privato. È anche un filantropo particolarmente generoso, che contribuisce con centinaia di milioni di dollari alle organizzazioni ebraiche in Russia, fornisce finanziamenti per combattere l’antisemitismo in Gran Bretagna e versa ingenti contributi al Sheba Medical Center di Tel Hashomer, fuori Tel Aviv.
In genere non si esprime pubblicamente su questioni politiche diplomatiche o di altro tipo – annota Blau -e le sue posizioni sul conflitto israelo-palestinese non sono note. Ciononostante, gli enormi contributi ad Elad da parte di aziende legate ad Abramovich hanno contribuito a cambiare la realtà sul campo in uno dei luoghi più esplosivi del mondo. Ad esempio, quando i contributi hanno cominciato a fluire dalle Isole Vergini, Elad aveva già portato circa 190 residenti ebrei a Silwan e il Parco nazionale della città di David, che gestisce, ha ricevuto circa 150.000 visitatori all’anno. Quindici anni e circa 100 milioni di dollari dopo, il numero di residenti ebrei era quasi raddoppiato e il numero di visitatori dei vari siti di Elad aveva superato la soglia dei 500.000. Un portavoce di Abramovich ha detto alla BBC di essere impegnato a sostenere la società civile in Israele e la comunità ebraica e negli ultimi 20 anni ha contribuito con più di 500 milioni di dollari all’assistenza sanitaria e all’istruzione in Israele e alle comunità ebraiche di tutto il mondo. Il vicepresidente di Elad, Doron Spielman, ha detto alla BBC che la sua organizzazione rispetta la privacy dei suoi donatori.
I “prestanome” palestinesi
Altra inchiesta di grande interesse su come va avanti la “giudeizzazione” di Gerusalemme Est è quella condotta da al-Jazeera ( marzo 2019).
Eccone una sintesi: “Anche se sta succedendo da decenni, secondo i palestinesi di Gerusalemme Est, oggi ci sono nuovi agenti in campo: intermediatori palestinesi che agiscono come prestanome nella compravendita e che, a quanto pare, hanno alle spalle organizzazioni di coloni e, in alcuni casi, soggetti privati nei Paesi arabi. Ottenere il permesso di costruire una casa a Gerusalemme è praticamente impossibile. Il terreno edificabile è poco e le autorità israeliane di solito respingono le richieste palestinesi per le licenze edili. I palestinesi sono spesso costretti a costruire le proprie case ‘abusivamente’, senza permesso. Quando costruiscono, ‘la municipalità di Gerusalemme inizia a emettere ordini di demolizione e condanna a pesanti sanzioni pecuniarie, fino a centinaia di migliaia di dollari, persone già economicamente tartassate’, spiega Khaled Zabarqa, avvocato di Gerusalemme che lavora con famiglie le cui case sono state acquistate da coloni.
Sotto pressione dal punto di vista finanziario, molte famiglie decidono di vendere la propria casa, così cercano acquirenti che siano palestinesi credibili, in modo da non vendere a coloni.
Entrano in scena, a questo punto, alcuni compratori palestinesi che hanno abbastanza denaro per pagare le case in contanti, a volte a prezzi ben superiori a quelli di mercato, e i cui profili risultano accettabili sia ai venditori che alle autorità palestinesi, che garantiscono per la loro affidabilità. Questi “investitori” palestinesi, poi, cedono la proprietà immobiliare, situata a Gerusalemme Est e appena acquisita, a società off shore approvate dalle organizzazioni di coloni, che in seguito trasferiranno la proprietà a un’organizzazione di coloni.
Nel 2014, nel quartiere storicamente palestinese di Silwan, due intermediatori palestinesi sono stati coinvolti nella compravendita di un certo numero di case che sono poi finite a coloni israeliani: Shams al-Din al-Qawasmi e Fareed Hajj Yahya.
Al-Qawasmi disse ai venditori che stava comprando le loro case per conto di enti benefici degli Emirati Arabi Uniti e, per quel che si sapeva, Hajj Yahya lavorava per un ente benefico degli EAU
“Quando le persone acconsentono a vendere… non hanno altra possibilità… non riescono più a far fronte ai propri debiti. Se un’organizzazione degli Emirati si offre di comprare la casa, loro la vedono come una possibilità per uscire dalla situazione disastrosa in cui si trovano” spiega l’avvocato Zabarqa.Mohamed Baydoun, un proprietario di Silwan, ha sentito che Al-Qawasmi aveva comprato una casa, nel vicinato, al triplo del suo valore, segno che l’acquisto in realtà era per i coloni, e l’ha affrontato.“ All’inizio negava. Poi ha ammesso che aveva comprato la casa per gli Emirati”, racconta Baydoun ad al-Jazeera. Gli ho chiesto: ‘E cosa vorrebbero farci, gli Emirati Arabi Uniti?’ Mi disse che volevano quella casa per costruire un asilo, o un ospedale, o qualcosa del genere. Gli ho detto: ‘Quella casa andrà ai coloni, Shams.’ E così fu. Così come una delle proprietà di Baydoun, venduta da suo figlio a Hajj Yahya, l’altro intermediatore palestinese dietro le operazioni del 2014. I due avrebbero acquistato e trasferito circa 25 proprietà di Silwan a coloni israeliani.
“Vogliono che i palestinesi siano coinvolti nella compravendita di immobili… Così, se un giorno ci sarà qualcuno da rimproverare per la perdita di Gerusalemme, questi saranno i palestinesi, non il Golfo o altri Stati arabi,” sostiene il professor Abdulsattar Qassim dell’Università di An-Najah.
Un equivoco protagonista palestinese
Fadi el-Salameen è un imprenditore palestinese che ha cercato di comprare casa a Gerusalemme Est: voleva comprare un immobile per evitare che andasse ai coloni e ha cercato di ottenere un finanziamento per l’acquisto da soggetti privati negli Emirati Arabi. I suoi progetti sono stati presto mandati all’aria da un altro attore, inaspettato e più vicino a casa che non gli Emirati: l’Autorità Palestinese.
Questa ha rifiutato a el-Salameen il nulla osta per la compravendita e ha congelato il conto corrente della sua società per “fondi sospetti”. Secondo il procuratore generale palestinese Ahmad Barak, il conto corrente di el-Salameen aveva ricevuto fondi esclusivamente da una società di proprietà di Mohammed Dahlan, grande avversario politico del presidente palestinese Mahmoud Abbas.
Dahlan vive dal 2011 negli Emirati Arabi Uniti, dove è consulente speciale del principe ereditario Mohammed bin Zayed, e fonti bene informate hanno confermato a Globalist che Dahlan ha avuto un ruolo “importante” nell’accordo di pace tra Israele e gli Emirati.
Anche Kamal al-Khatib, vicepresidente del Movimento Islamico in Israele, è convinto che ci sia dell’altro in questa storia del finanziamento dagli Emirati. “Ci sono imprenditori degli Emirati dietro questo affare, e… senza dubbio c’è lo zampino di certi palestinesi, che li aiutano a concludere questi affari”, dice.
Secondo Qassim, “la maggior parte degli intermediatori sono palestinesi, e quelli che prendono bustarelle da questi intermediatori sono palestinesi influenti all’interno dell’Autorità Palestinese”.
Dato che l’Autorità Palestinese non ha alcuna giurisdizione su Gerusalemme, trovare un responsabile per queste compravendite è complicato. Da un lato, il nulla osta dell’Autorità Palestinese sui compratori incoraggia i proprietari a vendere, ma poi quelle stesse vendite non sono supervisionate dalle strutture dell’Autorità Palestinese. “Non abbiamo nessuno a cui rivolgerci… Chiunque può vendere… Non esiste un’autorità responsabile a cui possiamo rivolgerci per farci aiutare. Io ho un sacco di carte e documenti, ma a chi le porto?” racconta Kamal Qweider, un residente della Città Vecchia che gestisce una pagina Facebook molto seguita in cui vengono monitorati gli acquisti. L’Autorità Palestinese ha annunciato un’inchiesta su quanto è avvenuto con la vendita di casa Joudeh, ma gli esiti di precedenti inchieste non sono mai stati resi noti, il che aumenta la frustrazione dei gerosolimitani già furibondi per il fatto che a questi intermediatori fossero stati dati i nulla osta dell’intelligence.
E così il cerchio si chiude: da Abramovich agli emiratini, passando per le bustarelle intascate da prestanome e funzionari dell’Autorità Palestinese. Così muore la Gerusalemme araba.
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