I "dannati" di Lesbo e l'Europa: tutti i numeri della vergogna
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I "dannati" di Lesbo e l'Europa: tutti i numeri della vergogna

Tredicimila disperati alla ricerca di umanità. Basterebbe che i paesi Ue ne accogliessero 400 ciascuno per risolvere il problema. Invece...

Migranti a Lesbo
Migranti a Lesbo
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

11 Settembre 2020 - 16.14


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Tredicimila disperati alla ricerca di umanità. Tredicimila diviso 27: 481,4. Tredicimila, ovvero le persone che dopo l’incendio che ha distrutto il campo-lager di Moira, nell’isola di Lesbo, vagano r dormono all’addiaccio. Ventisette sono gli Stati membri dell’Unione Europea: 481 sarebbero i migranti e richiedenti asilo concentrati a Lesbo per ogni singolo Paese dell’Unione. Un niente.

Ma quel niente appare troppo per Bruxelles. Ciò che è stato partorito  in termini di solidarietà, è l’accordo raggiunto dalla cancelliera tedesca, Angela Merkel, e dal presidente francese, Emmanuel Macron, per accogliere 400 minori non accompagnati in un’azione congiunta con altri Paesi Ue.

Risolvere la situazione che si è creata sull’isola greca di Lesbo,  è un compito “molto complicato” e “buona parte” del Governo ellenico si trova sull’isola per tentare di trovare una soluzione. Lo ha detto ieri  in audizione alla Commissione Affari Esteri del Parlamento Europeo, a Bruxelles, il viceministro degli Esteri della Grecia Miltiadis Varvitsiotis. “Per quanto riguarda il campo dei rifugiati di Moria – ha spiegato – quello che stiamo tentando di fare, dopo il disastro della distruzione del campo che ha lasciato 13mila persone senza tetto, è tentare di dare loro un tetto. Tentiamo anche di dare un sentimento di sicurezza agli isolani e ci sforziamo di prevenire implicazioni per i pochi rifugiati positivi alla Covid e i possibili positivi che sono mischiati con gli altri”

La miserabile Europa

Continua intanto la sofferenza per circa 13mila rifugiati e migranti evacuati dal campo migranti di Moria sull’isola greca di Lesbo, dopo una seconda notte di incendi, passata dormendo per strada. Migliaia sono stati costretti a dormire all’addiaccio dopo che un enorme incendio ha distrutto gran parte del campo profughi e un secondo rogo ha distrutto ciò che restava, spingendo nuovamente alla fuga coloro che avevano tentato di tornare nel campo. Rinforzi della polizia sono giunti sul posto anche per bloccare i richiedenti asilo che volevano entrare nella città principale di Mitilene; anche residenti locali e funzionari del comune di Lesbo si sono mobilitati per impedire il reinsediamento dei migranti nel campo di Moria, che ora somiglia a una zona di guerra con terra bruciata, teloni sciolti e metallo ardente. Il sindaco di Lesbo, Stratis Kytelis, ha detto ai giornalisti che si batterà per la chiusura completa del campo e contro la creazione di qualsiasi altra struttura per sostituirlo: “non vogliamo strutture per migranti a Lesbo”, ha dichiarato.

Il governo greco, nel frattempo, sta tentando di trovare soluzioni, in primo luogo per ospitare le migliaia di richiedenti asilo che si trovano in un limbo, senza un posto dove andare. mentre è stata trovata una soluzione per i 408 minori rifugiati non accompagnati, che sono stati trasportati in aereo verso la Grecia continentale con l’aiuto della Commissione europea. Il ministero greco dell’immigrazione e dell’asilo ha annunciato che “verranno intraprese tutte le azioni necessarie per l’accoglienza immediata dei più deboli e delle famiglie di Moria in aree appositamente progettate”. queste includono navi e due mezzi militari. La vicepresidente della commissione europea Margaritis Schinas ha espresso il proprio impegno a sostenere la Grecia e dovrebbe recarsi a Lesbo. La Commissione europea “annuncerà il 30 settembre il ‘Nuovo patto per la migrazione e l’asilo'” che includerà disposizioni “sulla velocità delle procedure” per quel che concerne “le richieste d’asilo” al fine di “garantire che le persone non restino bloccate a lungo” come accaduto nel campo di Moria, sull’isola greca di Lesbo. Così Adalbert Jahnz, portavoce della Commissione europea, nel corso della conferenza stampa quotidiana.

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L’inferno in terra

Moria è un’emergenza senza precedenti che mette a dura prova fisica e mentale uomini, donne, ma soprattutto bambini che costituiscono un terzo dei migranti presenti. Un inferno che fa pensare ad Alcatraz, con le persone bloccate sull’isola senza via di scampo, o a un manicomio d’altri tempi come racconta Alessandro Barberio, psichiatra di Medici senza Frontiere, dove i richiedenti asilo hanno subito forme estreme di violenza e tortura, sia nei paesi di origine che durante la fuga. Persone gravemente traumatizzate fisicamente ma, soprattutto, mentalmente che continuano ad essere vittime di abusi.

“Dopo tanti anni di professione medica, posso dire di non aver mai assistito un numero così grande di persone bisognose di assistenza psicologica come a Lesbo. La stragrande maggioranza dei pazienti presenta sintomi di psicosi, ha pensieri suicidi o ha già tentato di togliersi la vita. Molti non sono in grado di svolgere nemmeno le più basilari attività quotidiane, come dormire, mangiare o parlare” scrive Barberio. “Nella loro prigionia sull’isola di Lesbo sono costretti a vivere in un contesto che favorisce una violenza costante, inclusa quella sessuale o di genere, che colpisce bambini e adulti. Questa violenza scatena lo sviluppo di gravi sintomi psichiatrici. L’aumento del numero degli arrivi, combinato con il più basso tasso di trasferimenti verso la terraferma, esaspera ulteriormente queste condizioni e contribuisce al crescente aggravamento dei problemi psicologici di queste persone» prosegue lo psichiatra. «Mentre queste persone vulnerabili attendono la conclusione della loro domanda di asilo, mi colpisce come le condizioni di vita spaventose, l’esposizione a continue violenze, la mancanza di libertà, il grave deterioramento della salute fisica e mentale e le pressioni sugli abitanti dell’isola facciano assomigliare Lesbo a un vecchio manicomio come non ne esistono più in gran parte dell’Europa, dalla metà del XX secolo”.

A Moria, i migranti vivono in gruppi di massimo 30 persone, stipati in tende o container che distano pochi centimetri l’uno dall’altro. La spazzatura, sparsa ovunque, rende l’aria opprimente e quasi irrespirabile. “Approssimativamente 84 persone condividono una doccia e 72 persone un bagno”, si legge in un rapporto pubblicato a settembre  2018, esattamente due anni fa, dall’International Rescue Committee (Irc) di New York. “Il sistema fognario è talmente congestionato che i liquami raggiungono i materassi dove dormono i bambini”. La denuncia pubblicata dall’Irc documenta le lunghe attese che i richiedenti asilo sono costretti a subire per qualsiasi esigenza che va dall’assistenza sanitaria a quella legale. Persone costrette ad aspettare mesi, se non oltre un anno, prima che le loro richieste di asilo sono esaminate.

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“Andrebbe rivisto il concetto di accoglienza in tutta Europa e in particolare in Grecia, dove il campo di Moria è stato abbandonato a se stesso: un luogo in cui le persone, che non si sapeva bene dove trasferire, sono state messe e lasciate come in un limbo in attesa continua, senza una possibile progettualità per la loro vita. E allora l’accoglienza deve essere pensata in termini progettuali e quindi unita all’integrazione: accoglienza e integrazione devono essere le due parole che l’Europa deve assumere come guida per poter accogliere sempre meglio queste persone che sono in fuga da guerre e da persecuzioni. Non dimentichiamo che la maggior parte delle persone anche sono a Moria o sono siriane o afghane”, dice a Vatican news padre Camillo Ripamonti, direttore del Centro Astalli.

Il Papa a Moria nel 2016

Era il 16 aprile 2016 quando Papa Francesco visitò i migranti dell’isola greca di Lesbo, nel Mar Egeo, insieme con il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e con l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Ieronymos. Nel corso di questi anni il Pontefice ha ricordato più volte quel toccante incontro. “Non voglio dimenticare l’isola di Lesbo, i tanti patimenti di migranti e rifugiati, molti dei quali bambini”, ha detto Francesco nell’ultima Pasqua. “Non perdete la speranza”, fu il messaggio che Francesco volle lasciare ai migranti di Lesbo, prima di tornare in Italia portando con sé, a sorpresa, 3 famiglie di richiedenti asilo siriani. Il Papa andò a Moria per ascoltare le drammatiche storie dei migranti e per esortare la comunità internazionale a dare una risposta adeguata – in modo “degno”, sottolineò – a quella crisi. Un appello ancora oggi sempre più attuale a causa dell’incendio che rischia di rendere inagibile il campo. D’allora sono passati quattro anni, e il grido d’allarme di Bergoglio è rimasto tale.

Gli appelli dell’Unhcr e dell’Unicef

L’Unhcr, Agenzia Onu per i Rifugiati, in una nota ufficiale si dice “scioccata e rattristata per gli eventi di questa settimana sull’isola greca di Lesbo, dove una serie di incendi hanno distrutto quasi tutto il centro di accoglienza di Moria, lasciando migliaia di uomini, donne e bambini senza un tetto. Dopo l’incendio iniziale scoppiato la sera di martedì 8 settembre, che ha causato ingenti danni a migliaia di alloggi per richiedenti asilo e aree comuni, sono stati segnalati altri incendi la sera del 9 settembre e ieri 10 settembre. Gli ultimi incendi hanno colpito i campi adiacenti al centro di raccolta e identificazione (Ric) di Moria, in quello che è noto come “Oliveto”, distruggendo i pochi alloggi che erano rimasti ancora disponibili. 

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 Mentre finora non sono state segnalate vittime, gli incendi hanno lasciato 11.500 richiedenti asilo, tra cui 2.200 donne e 4.000 bambini, senza un adeguato riparo.  Nelle ultime notti queste persone, che comprendono persone vulnerabili, bambini molto piccoli, donne incinte, persone anziane e disabili, hanno dormito all’aperto per le strade, nei campi e sulle spiagge.

 L’Unhcr ha offerto sostegno alle autorità greche per aiutare a proteggere e assistere i richiedenti asilo colpiti dagli incendi, mobilitando risorse e aiuti. L’agenzia sta fornendo assistenza d’emergenza per garantire che le persone non dormano all’aperto.

 La pandemia da coronavirus si aggiunge ad una situazione già disperata. Le persone risultate positive al Covid-19 devono ricevere il più presto possibile cure speciali, sistemazioni per isolamento e terapie, e assistenza medica. L’Unhcr ha consigliato a tutti coloro che in precedenza soggiornavano nel Ric di limitare i loro movimenti fino a quando non saranno trovate soluzioni temporanee. In una situazione molto impegnativa e fluida, esortiamo tutti a dar prova di moderazione e ad astenersi da azioni o linguaggio che potrebbero aumentare le tensioni. 

 Mentre le autorità stanno lavorando per trovare soluzioni immediate, l’Unhcr chiede di individuare soluzioni a lungo termine per i rifugiati e i richiedenti asilo a Moria e in altri siti delle isole greche. Da tempo l’Unhcr sottolinea la necessità di affrontare la situazione e le condizioni dei richiedenti asilo nelle isole dell’Egeo. Gli incidenti a Moria dimostrano la necessità di intervenire da tempo per migliorare le condizioni di vita, alleviare il sovraffollamento, e migliorare la sicurezza, le infrastrutture e l’accesso ai servizi in tutti e cinque i centri di accoglienza delle isole greche…”.

Ora più che mai è importante essere vicini a questi bambini e famiglie che affrontano la duplice sfida di essere rimasti senza casa e in un momento di pandemia globale, durante il quale abbiamo imparato quanto sia fondamentale avere un rifugio sicuro e adeguato”, dichiara Francesco Samengo, presidente dell’Unicef Italia. “L’Unicef ha lanciato un appello di raccolta fondi di 1,17 milioni di dollari per l’emergenza a Moria: questa stima iniziale dei bisogni consentirebbe all’Unicef e ai suoi partner di fornire l’assistenza urgentemente necessaria ai bambini direttamente colpiti, compresi i minori separati e non accompagnati. Anche il più piccolo gesto d’aiuto è importante”. 

Nel 2019 gli abitanti complessivi nei 27 Paesi dell’Ue erano 446 milioni (fonte Eurostat). I disperati di Lesbo 13mila. I numeri dicono tutti. I numeri della vergogna europea.

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