Il Sultano Erdogan muove i carri armati. Destinazione: Grecia
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Il Sultano Erdogan muove i carri armati. Destinazione: Grecia

Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, è tornato a minacciare Atene e a respingere qualsiasi compromesso sui diritti della Turchia sulle ricche riserve energetiche nel Mediterraneo orientale

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

7 Settembre 2020 - 20.25


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Al Sultano non basta muovere le navi. ora sposta anche i carri armati. Direzione Grecia.  Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, è tornato a minacciare Atene e a respingere qualsiasi compromesso sui diritti della Turchia sulle ricche riserve energetiche nel Mediterraneo orientale.

“Capiranno che la Turchia è abbastanza forte politicamente, economicamente e militarmente da stracciare mappe e documenti immorali”, ha dichiarato Erdogan, riferendosi alle aree di mare che la Grecia e Cipro considerano le loro zone economiche esclusive.

“Lo capiranno, o attraverso il linguaggio della politica e della diplomazia, oppure sul campo attraverso amare esperienze”, ha avvertito il leader turco in un discorso televisivo. “La Turchia e il popolo turco sono preparati a qualsiasi eventualità e conseguenza”. Erdogan ha continuato assicurando che la Turchia possiede un “potere politico, economico e militare” sufficiente per “strappare le mappe e i documenti immorali imposti” al paese, in un apparente riferimento alla mancanza di riconoscimento internazionale delle sue pretese di diritti sulle acque marittime al largo della costa cipriota.

II minacciosi proclami del Sultano  arrivano sulla scia del ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu che ha accusato la Grecia di “mentire”, quando ha affermato di non aver mai acconsentito a colloqui tecnici con la Turchia sulla questione mediterranea, che erano stati precedentemente annunciati dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg.

Il capo della diplomazia di Ankara  ha affermato che Atene inizialmente ha accettato di prendere parte a questi colloqui organizzati dal capo della Nato , ma in seguito ha fatto marcia indietro sulla propria posizione. I funzionari greci hanno detto che accetterebbero i negoziati con la Turchia solo se il paese ritirerà tutte le sue navi militari dalle acque contese.

Lo sforzo di Stoltenberg avrebbe dovuto aiutare ad attenuare le tensioni nel Mediterraneo orientale vicino a Cipro, dove entrambi i paesi hanno schierato le loro forze militari nella regione in mezzo a una crescente discussione sui potenziali depositi di risorse.

Prova di forza

Un discorso minaccioso, quello di Erdogan,  abbinato a una doppia dimostrazione muscolare. A sud – come documenta un dettagliato report di AnalisiDifesa – forze turche hanno organizzato cinque giorni di esercitazioni interforze nella Repubblica turca di Cipro del Nord, riconosciuta solo dalla Turchia. Le esercitazioni, che si concluderanno il 10 settembre, si tengono ogni anno e simulano l’invio di rinforzi dalla Turchia per difendere i territori ciprioti della repubblica fedele ad Ankara già presidiata da truppe turche e forze turco-cipriote.A Nord ovest, lungo i confini terrestri tra Turchia e Grecia sono stati spostati una quarantina di mezzi corazzati ritirati dal confine siriano. La tv filo-governativa A-Haber ha mostrato immagini di camion portacarri con a bordo cingolati trasporto truppe da combattimento Fnss Acv-15 Il convoglio ha lasciato il confine siriano sabato pomeriggio e dovrebbe essere trasferito via treno dal porto di Iskenderun a Edirne.

Venerdì la Turchia ha accusato la Grecia di evitare il dialogo dopo che il premier greco Kyriakos Mitsotakis) aveva dichiarato che i colloqui mediati dalla Nato per ridurre le tensioni nel Mediterraneo orientale possono essere tenuti solo quando Ankara cesserà le sue “minacce”.

Il ministero degli Esteri greco ha insistito sul fatto che “la distensione avverrà solo con l’immediato ritiro di tutte le navi turche dalla piattaforma continentale greca”. La questione delle risorse energetiche è solo l’ultimo elemento di una rinnovata crisi tra Turchia e Grecia iniziato col tentativo di forzare i confini terrestri greci con ondate di migranti illegali e in seguito con conversione in moschee di molte chiese ortodosse situate in Turchia.

Atene cerca alleati

La Grecia sembra voler rafforzare le intese e le alleanze che vedono già Francia, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Cipro e Israele schierate al suo fianco puntando su un sensibile rafforzamento militare.

Già prima dell’arrivo di 6 caccia F-16 emiratini a Creta, circa i quali una fonte del ministero della Difesa turco aveva detto a un giornale arabo “non esiteremo ad abbatterli se si avvicineranno alle acque turche o all’area dove opera la Oruc Reis”, la Francia aveva inviato 2 navi militari (una fregata e una Lpd) e 2 cacciabombardieri Mirage 2000 in soccorso ad Atene nel Mediterraneo Orientale. Il governo greco sta ora valutando di acquistare da Parigi uno squadrone di 12/18 cacciabombardieri Rafale e un paio di fregate lanciamissili stealth da 4500 tonnellate tipo Frégates de Défense et d’Intervention .

L’Europa alza il tiro

Dopo i primi tentativi di mediazione, comincia ad averne abbastanza: dopo l’ennesima provocazione di Hagia Sofia tornata a essere moscheale tensioni sui migranti e le trivellazioni attorno a Cipro, Bruxelles sta arrivando ad un vero e proprio scontro aperto con Ankara. Nei mesi scorsi infatti il presidente francese Emmanuel Macron aveva sottolineato il pericolo del “dover lasciare la partita energetica russo-turca ad altri giocatori”, una partita considerata troppo importante dall’Eliseo. 

Il 6 agosto Grecia ed Egitto hanno stipulato un accordo marittimo, che secondo il premier turco Erdogan non ha valore e che invece secondo il premier ellenico Mitsotakis ha aperto ad una nuova realtà nel Mediterraneo Orientale, delimitando le rispettive zone economiche esclusive, contrapponendosi di fatto al memorandum Turchia-Libia siglato lo scorso anno.

L’accordo con l’Egitto riconosce che le isole hanno diritti sovrani sulle zone marittime e annulla di fatto accordi, considerati dalla Grecia “illegali”, come quello firmato dalla Turchia conl’amministrazione di Tripoli. L’accordo con l’Egitto però, com’era prevedibile, non ha l’unanimità e ha scatenato lareazione di Ankara.

La scoperta negli ultimi anni di vasti giacimenti di gas nel Mediterraneo Orientale ha stuzzicato l’appetito dei Paesi che si affacciano sulla regione, in particolare al largo dell’isola greca di Kastellorizo dove Ankara contesta i diritti marittimi ellenici, accrescendo le tensioni tra Turchia e Grecia. A Castelrosso, piccola isola greca di 500 abitanti che dista meno di 3 km dalle coste turche, Ankara non solo contesta i diritti marittimi della Grecia ma rifiuta anche di riconoscere le rivendicazioni sulla piattaforma continentale.  

Per questo motivo, da circa un mese la Francia sta rinforzando la sua presenza militare nel Mediterraneo Orientale ed è già presente militarmente nella zona con alcuni caccia militari nella base cipriota di Pafos.

Parigi che contesta le azioni turche, ha inviato navi da guerra e aerei per effettuare operazioni congiunte con i greci. Soprattutto, le preoccupazioni sono salite alle stelle non appena Erdogan ha annunciato la scoperta del più grande giacimento di gas nel Mar Nero. Nello specifico, 320 miliardi di metri cubi di gas.

Disastro perfetto
Ci sono tre ingredienti che contribuiscono a creare la ricetta perfetta per un disastro – scrive l’autorevole The Economist in un lungo e documentato report  tradotto  e pubblicato da Internazionale – Uno è l’interesse per il gas naturale nella regione, che da una decina d’anni attira le mire non solo di Grecia e Turchia, ma anche di Cipro, Israele, Egitto e altri paesi, che aspirano a diventare potenze energetiche regionali, in grado di rifornire il mercato europeo e di presentare un’alternativa strategica al gas russo. Alcuni speravano che la costruzione di gasdotti nel Mediterraneo orientale potesse favorire la cooperazione regionale, come in alcuni casi è accaduto. Ma altrove questa speranza è stata offuscata dal secondo ingrediente: le rivalità regionali. Invece di annacquarle, le opportunità energetiche le hanno rafforzate. Cipro rimane divisa tra il sud e la Repubblica Turca di Cipro Nord, riconosciuta solo dalla Turchia. Nel 2019 le prospezioni effettuate dalla Turchia per cercare gas nella zona economica esclusiva cipriota hanno provocato la condanna dell’Unione europea e alcune sanzioni (perlopiù simboliche). Adesso le navi turche stanno nuovamente effettuando rilevamenti sismici nelle acque cipriote. 

Le relazioni tra i due paesi mediterranei rischiano sempre d’infiammarsi a causa di territori contesi. Lo scontro più recente era nell’aria da novembre, quando è stato firmato un accordo tra Ankara e il Governo d’accordo nazionale (Gna) della Libia, sostenuto dall’Onu. L’accordo prevede un confine marittimo più esteso, considerato inaccettabile dai greci e anche dal diritto internazionale. I tentativi della Germania di mediare tra Atene e turchi erano quasi riusciti quando all’inizio di agosto Grecia ed Egitto hanno concluso in tutta fretta un accordo che si sovrappone a quello tra turchi e libici. La Turchia ha risposto inviando nella zona una nave di ricerche sismiche, accompagnata da una flottiglia militare, che è risultata poi coinvolta nella collisione con una vecchia fregata greca. Ad aggravare il tutto ci sono contrasti più ampi che coinvolgono la Turchia, dalla Libia alla Siria: il terzo ingrediente di questo esplosivo calderone. Riguardo alla Libia, Turchia e Francia sono ai ferri corti. A giugno le navi militari turche hanno impedito a una fregata francese d’ispezionare una nave sospettata di trasportare armi per il Gna. I francesi non hanno problemi a reagire. I turchi condannano le interferenze francesi e ritengono che la Grecia e i suoi alleati si stiano coalizzando contro di loro. La Turchia, guidata dall’autoritario presidente Recep Tayyip Erdoğan, sta rispondendo facendo sentire il suo peso. 

Ankara potrebbe sentirsi rinvigorita dal fatto che alcuni paesi, come il Regno Unito, preferiscano evitare di mettersi contro un alleato della Nato mentre altri, in particolare la Germania, temono che se si tira troppo la corda la Turchia potrebbe scatenare il caos facendo partire altri migranti verso l’Europa….”

E l’Italia? Non pervenuta. Come ormai è consuetudine.

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