Beirut è in fiamme. E un Paese messo in ginocchio da una crisi economica devastante, riscopre il terrore di esplosioni terrificanti. “Ciò che è successo a Beirut ricorda Hiroshima e Nagasaki, nulla di simile era mai accaduto in passato in Libano», le parole del governatore della capitale libanese, Marwan Abboud, in lacrime, raccontano bene la situazione, dopo l’esplosione di oggi a Beirut, nella zona del porto, dove ci sarebbero secondo la tivù locale “centinaia di feriti”.
A causare la potente esplosione avvenuta nella zona del porto sarebbe stato un incendio in un magazzino di fuochi d’artificio. E’ quanto riporta l’agenzia di stato libanese, citata dalla Cnn. Secondo fonti mediche sarebbero almeno 10 i morti. Molti gli edifici danneggiati dall’esplosione, avvertita in tutta la città e addirittura sino a Cipro, distante 200 chilometri. Tra gli edifici danneggiati, anche il quartier generale dell’ex premier libanese Saad Hariri e l’ufficio di corrispondenza della Cnn. Nei cieli della città aleggia ora una nuvola di fumo, mentre i vigili del fuoco sono accorsi nell’area della deflagrazione per spegnere le fiamme. Forse sarà stato davvero un “incidente” ma in un Paese in perenne equilibrio instabile, è inevitabile pensare ad altro che l’incidente. I feriti sono centinaia: tra loro — benché in modo non grave — almeno due militari italiani. Altri sono sotto osservazione perché in stato di choc. Nel porto, secondo quanto riportato dall’agenzia Ansa, erano ancorate anche unità navali dell’Unifil, la forza dell’Onu di interposizione al confine tra il Libano e Israele.
Diversi media ricordano che il Tribunale speciale dell’Onu sull’assassinio dell’ex premier Rafik Hariri debba a breve emettere il suo verdetto. Il terribile scoppio del porto è avvenuto mentre il Libano attraversa una delle più gravi crisi economiche e finanziarie degli ultimi anni, e mentre si alzano le tensioni tra Israele e il gruppo sciita Hezbollah. Le autorità israeliane hanno commentato la notizia precisando di «non avere nulla a che vedere» con le esplosioni. Il ministro degli Esteri israeliano Gabi Ashkenazi ha detto alla tv israeliana N12 che l’esplosione sarebbe stata «un incidente», causata da «un incendio».
La Casa Bianca sta «seguendo attentamente» quanto avvenuto in Libano, ha fatto sapere un portavoce.
Il presidente libanese, Michel Aoun, ha convocato per una riunione urgente il Consiglio supremo di difesa.
Coincidenze temporali
L’esplosione è arrivata anche alla vigilia del verdetto del Tribunale dell’Aja sull’omicidio dell’ex premier libanese Rafiq Hariri, ucciso a Beirut il 14 febbraio del 2005 assieme ad altre 21 persone. Le ripercussioni politiche di quel crimine hanno cambiato profondamente gli equilibri regionali. Alla sbarra quattro imputati in contumacia, tutti membri di Hezbollah: Salim Ayash, Habib Merhi, Hussein Oneissi e Assaad Sabra. C’era anche un quinto imputato, Mustafa Badreddin, considerato la mente dell’attentato di San Valentino, ma è stato ucciso a Damasco nel 2016. Gli imputati sono accusati di «complotto a fini terroristici e omicidio preterintenzionale» e di altri capi di imputazione connessi.
Apocalisse umanitaria
I problemi macro economici del Paese dei Cedri, che importa tutto e vive solo di servizi ,erano giù seri, irrimandabili. La guerra civile nella vicina Siria, scoppiata nella primavera del 2011, ha poi dato il colpo di grazia. Un milione e mezzo di profughi siriani si è riversato nel piccolo e impreparato Libano, trasformandolo nel Paese con il più il più alto rapporto al mondo di rifugiati per abitante. Le sue strutture e infrastrutture, già insufficienti per i libanesi, hanno resistito ma alla fine non hanno retto alla pressione. Insieme all’inasprimento delle misure contro le imprese e i lavoratori siriani, si è registrato un aumento del numero di incursioni militari nei campi profughi, in particolare nella valle della Beqaa. Durante tali incursioni, molti fra gli uomini vengono interrogati e arrestati per mancanza di documenti in regola. In molte occasioni, il luogo in cui vengono detenuti gli uomini, arrestati ai posti di blocco sull’autostrada o durante le incursioni nei campi, rimane sconosciuto per giorni. Segnalazioni su maltrattamenti e torture subite dai siriani all’interno delle prigioni libanesi sono state pubblicate da varie associazioni, testimoniando un preoccupante aumento di arresti arbitrari e un sovraffollamento delle carceri. Nel mese di giugno 2017, Human Rights Watch ha segnalato la morte di 5 cittadini siriani detenuti dall’esercito libanese, pubblicando le foto dei cadaveri, i quali recavano segni visibili di tortura.
Ed è in questo contesto già drammatico, che è avvenuta la “Nagasaki” di Beirut. Una tragedia immane, per un Paese che sta crollando.