Come gli evangelici americani sono diventati l'esercito della Grande Israele
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Come gli evangelici americani sono diventati l'esercito della Grande Israele

La più grande organizzazione evangelica filoisraeliana degli Usa terrà la sua conferenza annuale questa settimana, in mezzo alle crescenti voci sull'annessione israeliana ...

Netanyahu e Pence
Netanyahu e Pence
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

29 Giugno 2020 - 12.11


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Una potenza mondiale: gli evangelici. Un “esercito” a sostegno dell’annessione. La più grande organizzazione evangelica filoisraeliana degli Stati Uniti terrà la sua conferenza annuale questa settimana, in mezzo alle crescenti voci sull’annessione israeliana di parti della Valle del Giordano sia a Gerusalemme che a Washington. Christians United for Israel, che ha milioni di membri negli Stati Uniti, terrà una conferenza virtuale quest’anno alla luce della crisi del coronavirus.

Il fondatore dell’organizzazione, il pastore John Hagee, in  un articolo pubblicato su Haaretz la scorsa settimana, sollecitando l’amministrazione Trump a continuare a portare avanti il suo piano di pace per il Medio Oriente, che include l’annessione israeliana fino al 30% della Cisgiordania. 

Christians United for Israel ha espresso il suo sostegno per l’intero piano di pace di Trump a gennaio, e un portavoce dell’organizzazione ha ribadito al quotidiano progressista di Tel Aviv all’inizio di giugno che il gruppo mantiene questa posizione. Lo scorso fine settimana, Friedman e Avi Berkowitz, il funzionario della Casa Bianca alla guida del piano di pace di Trump, sono arrivati in Israele per continuare a discutere le diverse opzioni con Netanyahu e Gantz. Netanyahu ha parlato più volte agli eventi di Christians United for Israel. L’anno scorso ha detto ai sostenitori dell’organizzazione in un video messaggio che Israele non ha amici migliori dei cristiani evangelici. Per Gantz, la conferenza di quest’anno segnerà la sua prima apparizione come leader politico all’evento.

Potenza globale

 Hanno piazzato un loro adepto, Mike Pence, alla vice presidenza degli Stati Uniti. Hanno avuto un ruolo chiave nel fare eleggere alla presidenza del Brasile, un loro fedele, Jair Bolsonaro, ex cattolico, come Pence, convertitosi alla chiesa evangelica. Ed ora hanno fatto il loro ingresso anche nel Regno Saud, a casa dei custodi dei due più importanti luoghi sacri dell’islam: Mecca e Medina. E l’hanno fatto passando dalla porta principale, ricevuti dall’erede al trono, il principe Mohammed bin Salman. Messo alle strette dal caso-Khashoggi, MbS, acronimo con cui il principe è riportato dai media internazionali, ha avuto ieri un meeting, durato oltre due ore, con una delegazione dell’American evangelical Christians. Un evento, per il suo genere, più unico che raro. I più stretti collaboratori di MbS, hanno provato a offrire ai media internazionali una interpretazione che rilancia l’appannata – vedi l’affaire-Khashoggi –  immagine di MbS come il riformatore, non solo in campo economico, ma anche sul terreno minato, della religione, nella terra che ha visto nascere e rafforzarsi la corrente più integralista del fondamentalismo islamico: quella wahabita. La delegazione degli evangelici americani era ai massimi livelli. Ne facevano parte il responsabile della comunicazione Joel Rosenberg e includeva Michele Bachmann, ex congressista Usa. “Si tratta di un momento storico per il Regno”, ha affermato l’erede al trono nel dare il benvenuto alla delegazione. 

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Ma la religione, in questa vicenda, c’entra molto meno della politica. Perché si dà il caso che sia Rosenberg che la Bachmann, siano tra i capi delle organizzazioni evangeliche americane che più hanno spinto per la saldatura dell’asse tra Riyadh e Gerusalemme. Della delegazione faceva parte anche Mike Evance, fondatore del Jerusalem Prayer Team, che descrive se stesso sul suo sito web come “a devout American-Christian Zionist leader”. “E che la politica sia centrale in questa vicenda lo conferma anche il profilo della delegazione saudita che affiancava MbS: il ministro degli Esteri, Adel al-Jubeir, l’ambasciatore saudita a Washington, principe Khalid bin Salman e il segretario generale della Muslim World League Mohammed al-Issa. Va ricordato, in proposito, che quella che più ha spinto l’amministrazione Trump al trasferimento dell’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, non è stata la comunità ebraica americana ma gli evangelici, parte fondamentale del “sionismo cristiano”.  Evangelico, per l’appunto, è il vice presidente degli Stati Uniti, quel Mike Pence che così ebbe a dire nel suo discorso alla Knesset del 22 gennaio 2018: “Oggi – esordì in quell’occasione Pence – mentre mi trovo nella terra promessa di Abramo, credo che quanti amano la libertà e auspicano un futuro migliore debbano volgersi verso Israele e provare meraviglia per quanto vedono”. È stata la fede “a ricostruire le rovine di Gerusalemme e a fortificarle nuovamente”, proclamò il vice presidente Usa pronunciando la shehechiyanu la benedizione ebraica. “Sono qui per portare un forte messaggio: la vostra causa è la nostra causa, i nostri valori sono i vostri valori. Siamo schierati con Israele perché crediamo nel bene e nel male, nella libertà sopra la tirannia”, proseguì il discorso-sermone  facendo un parallelo fra la storia degli ebrei e quella degli Stati Uniti. “È la storia di un esodo, un viaggio dalla persecuzione alla libertà”, ha affermato in trance religiosa, ricordando come i padri pellegrini che per primi arrivarono in America si rivolgessero “alla saggezza della Bibbia ebraica”. 

Cento milioni

Non si sta parlando di una minoranza, per quanto agguerrita, di fanatici fondamentalisti. Si tratta, al contrario, di una comunità che oggi conta 100 milioni di adepti, l’81% dei quali ha votato l’attuale quarantacinquesimo presidente alle scorse elezioni, nel novembre 2016. Sempre di quei 100 milioni, un terzo è formato da ferventi supporter dello Stato israeliano, tanto da costituire un movimento autonomo, il cosiddetto “sionismo cristiano”. Le cifre dell’endorsement evangelico alla causa sionista diventano ancora più rilevanti se accostate a quelle relative alla comunità ebraica statunitense: solo il 16% , secondo una ricerca del Pew Research Center, supportava, nel 2017, il trasferimento immediato dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme (il 36% era a favore, ma solo quando i negoziati di pace tra Israele e Palestina fossero progrediti); tra gli evangelici, invece, ben il 53% era d’accordo con la decisione di Trump. 

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La lobby israeliana

I “sionisti cristiani” sono parte attiva, influente, e non solo nell’era Trump, nella determinazione delle scelte degli Usa in Medio Oriente e su Israele. E così non appare una forzatura, né desta meraviglia che, come sostiene Daniel Pipes, “oltre alle Forze di difesa israeliane, i sionisti cristiani possono essere ritenuti l’estrema risorsa strategica dello Stato ebraico”. O, come ebbe a scrivere nel 2006 Michael Freund, ex direttore dell’Ufficio comunicazioni di Netanyahu, ringraziamo Dio per i sionisti cristiani! Piaccia o no, è assai probabile che il futuro delle relazioni tra Israele e gli Stati Uniti siano assai meno nelle mani degli ebrei americani che in quelle dei cristiani d’America”. Nel 1996 il Terzo congresso internazionale dei sionisti cristiani ha proclamato che “la Terra che Egli promise al Suo Popolo non dev’essere frazionata…Sarebbe un ulteriore errore da parte delle nazioni riconoscere uno Stato palestinese in qualunque parte di Eretz Israel…”. Rimarcano John J. Mearsheimer –  docente di scienza della politica all’Università di Chicago – e Stephen M.Walt – che insegna relazioni internazionali alla John F. Kennedy School of Government presso l’Università di Harvard – nel loro libro  La Israel lobby. E la politica estera americana (edito in Italia da Mondadori): “Fornendo supporto finanziario al movimento dei coloni, e scagliandosi pubblicamente contro ogni concessione territoriale, i sionisti cristiani hanno consolidato le derive intransigenti di Israele e Stati Uniti, e hanno reso più difficile ai leader americani esercitare pressioni sullo Stato ebraico. Senza il sostegno del sionismo cristiano, il numero dei coloni israeliani sarebbe più modesto e i governi di Israele Stati Uniti sarebbero meno condizionati dalla loro presenza nei Territori occupati e dalla loro attività politica. Oltre a questo – proseguono gli autori – c’è il fatto che il turismo cristiano (una parte cospicua del quale è di matrice evangelica) è diventato una ragguardevole fonte di introiti per Israele, generando nell’area un volume di entrate che si aggirerebbe intorno al miliardo di dollari l’anno” L’associazione di cristiani americani HaYovel (Giubileo in ebraico), fondata nel 2007 dalla coppia Tommy e Sherri Waller, mira a contribuire “alla restaurazione profetica della terra di Israele” rendendola fruttuosa. Prendendosi cura del popolo eletto, i fondatori di HaYovel intendono andare nella direzione della profezia biblica: “Tutte le nazioni saranno benedette se Israele lo è per Dio”. E anche gli arabi avranno una vita migliore, come ha dichiarato Sherri Waller a Le Monde. In questa prospettiva stimano che i palestinesi sono ammessi in Cisgiordania ma le terre spettano agli ebrei. Dall’inizio della sua attività, HaYovel ha mobilitato più di 1.800 lavoratori per le vendemmie in Cisgiordania. Come parte dell’associazione evangelica HaYovel, per lo più provenienti dagli Stati Uniti, si offrono volontari per la raccolta negli insediamenti israeliani in Cisgiordania. E si dichiarano felici di contribuire alla profezia biblica. Un chiaro sostegno alla colonizzazione israeliana nei territori palestinesi occupati, che questi cristiani considerano il “cuore storico e spirituale di Israele”. Non solo. I cristiani evangelici, grandi elettori negli Stati Uniti del presidente Donald Trump, finanziano ormai circa un terzo della migrazione degli ebrei della diaspora verso Israele. Lo rivelano le cifre relative al 2017, pubblicate dalla testata digitale israeliana Ynetnews. Su 28 mila ebrei che hanno compiuto lo scorso anno l’aliyah, ovvero l’ascesa-ritorno alla “Terra promessa», almeno 8.500 hanno goduto dei fondi raccolti ufficialmente da organizzazioni cristiane, divenute partner dell’Agenzia ebraica nell’obiettivo di ricondurre gli “esuli” nella patria israeliana. Denaro che non copre solo le spese di viaggio, ma anche e soprattutto quelle di inserimento nella nuova società, con sussidi sociali e aiuti per la costruzione di nuove case. Le due principali sigle di cristiani evangelici impegnate per la causa ebraica sono l’International Fellowship of Christian and Jews (Ifcj) e l’International Christian Embassy of Jerusalem.Le somme stanziate sono ragguardevoli. Solo la Ifcj ha riferito all’Associated Press di aver distribuito dal 2014 ad oggi 30 milioni di dollari per laliyah e di aver donato all’Agenzia ebraica 188 milioni di dollari nei due decenni precedenti. A ciò va aggiunto un impegno finanziario analogo della Christian Embassy, oltre a contributi anonimi.

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Il “sionismo cristiano”, pilastro della Grande Israele. Un esercito a servizio di Eretz Israel.

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