Israele: se per la 'nuova' Repubblica il diritto dei palestinesi al ritorno è un 'ostacolo per la pace'

Sotto la direzione di Molinari due punti sono molto chiari: il filoatlantismo e il sostegno a Tel Aviv anche di fronte a quello che molti chiamano il “Governo dell’annessione”.

Esercito israeliano
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

13 Maggio 2020 - 12.16


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Maurizio Molinari è un ottimo giornalista. Colto, informato, profondo conoscitore del mondo – è stato tra l’altro corrispondente per La Stampa a Washington e Gerusalemme – con il merito di non considerare gli esteri come un fardello giornalistico ma, al contrario, come un importante valore aggiunto.
Da direttore di Repubblica, ha subito chiarito che in politica estera i due pilastri del giornale saranno il filoatlantismo e, sul tormentato scenario mediorientale, un sostegno, argomentato, a Israele e alle politiche che i suoi governi portano avanti.
Chi scrive, occupandosi da oltre trent’anni di vicende mediorientali, e avuto l’onore di avere tra i suoi direttore un grande giornalista, non certo filo-Hamas, come Furio Colombo, ha imparato che nell’eterno conflitto israelo-palestinese, il Torto non sta tutto da una parte sola e la Ragione dall’altra. A scontrarsi non sono il Bene contro il Male, ma due diritti ugualmente fondati: il diritto alla sicurezza Per Israele, e il diritto dei Palestinesi a uno Stato indipendente, con la piena sovranità su tutto il suo territorio nazionale, con il controllo dei confini e Gerusalemme Est come capitale.
Quello che è contemplato da due risoluzioni delle Nazioni Unite. Niente di più, niente di meno. Ma le ragioni dei Palestinesi sembrano smarrirsi nel nuovo corso del giornale di Largo Fiocchetti. Smarrirsi fino a scomparire. In Israele sta per nascere il governo Netanyahu-Gantz, quello che non la dirigenza palestinese ma autorevoli analisti internazionali definiscono il “Governo dell’annessione”, visto che tra i punti programmatici del nascente esecutivo c’è la realizzazione, con tanto di tempistica, si inizia il 1° luglio, dell’annessione della Valle del Giordano e di parti significative in Cisgiordania dei territori palestinesi occupati.
Una linea, che trova il sostegno attivo dell’Amministrazione Trump ma non quello dell’Europa, dei Paesi arabi e del segretario generale delle Nazioni Unite. Ora, si può accusare la leadership palestinese di aver commesso una caterva di errori, ma fa una certa impressione leggere una intervista sulla Repubblica diretta da Molinari, agli autori “War of Returns”, Wilf e Schwartz, dal titolo che è tutto un programma: “Perché il diritto al ritorno dei palestinesi rischia di allontanare la pace”. Avete letto bene: ad allontanare la pace non è la colonizzazione forzata portata avanti, unilateralmente, dai governi di destra guidati negli ultimi dieci anni da Netanyahu; non è aver tavolo negoziale la questione di Gerusalemme.
A sbarrare la strada alla ripresa del dialogo non è l’immanente istituzionalizzazione del regime di apartheid in Cisgiordania. No, la pace rischia di essere allontanata dal diritto al ritorno dei palestinesi! Un diritto, per l’appunto, sancito dalla legalità internazionale, che sia attraverso la Convenzione di Ginevra che nella risoluzione 194 del 1948 delle Nazioni Unite ne specifica inequivocabilmente il senso. Un diritto che riguarda circa 400mila palestinesi rifugiati in Libano, 500mila in Siria, un milione e mezzo in Giordania, oltre 800mila in Cisgiordania e Gaza; per un totale che nel mondo si avvicina ai cinque milioni. Un diritto da sempre negato. Si può sostenere che come regolamentare questo diritto sia materia di un negoziato tra le parti, che la realtà oggi non è quella del 1948 o del 1967, ma una cosa non si può fare: stravolgere una verità storica. E oscurare un diritto. Farlo, significa schierarsi apertamente con una parte. Si può fare, certo, ma questo significa riorientare la linea politico-editoriale di un giornale, di un grande giornale. E questa è una notizia.
Scriveva su Repubblica, un grande giornalista di quel giornale, un maestro come era Sandro Viola. Nella mia vita, cito a memoria l’incipit di un suo pezzo, ho scritto innumerevoli articoli raccontando conflitti in ogni parte del mondo. Articoli più o meno riusciti. Ma solo quando scrivevo del conflitto israelo-palestinese e di Israele in particolare, ero sicuro che il giorno dopo sulla mia scrivania e su quella del direttore, sarebbero piovute lettere o mail di critica. Viola, come un altro grande, Bernardo Valli, a quelle critiche hanno fatto il callo. Non ne sono stati tramortiti o condizionati.
Non si tratta di rimpiangere il tempo che fu. Ma di sperare che quell’insegnamento non venga dimenticato. Anche perché essere amici veri di Israele, non significa avallare o fare da cassa di risonanza di governi che con la loro politica muscolare, essi sì allontanano la pace. Una pace vera, giusta, tra pari.

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