Nelli Feroci: "Teniamoci ben stretta, l'Europa. Non è il tempo di sovranisti e nazionalisti"
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Nelli Feroci: "Teniamoci ben stretta, l'Europa. Non è il tempo di sovranisti e nazionalisti"

Parla l'ambasciatore di lungo corso che adesso è presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai): "Nonostante le lacune dobbiamo essere grati a chi ha concepito il progetto di integrazione fra Paesi".

Ferdinando Nelli Feroci, presidente dell’Istituto affari internazionali
Ferdinando Nelli Feroci, presidente dell’Istituto affari internazionali
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

9 Maggio 2020 - 15.05


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Se c’è un uomo che conosce ogni “segreto” di Bruxelles, le dinamiche che regolano i rapporti all’interno degli organismi decisionali dell’Unione Europea, quest’uomo è l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai). Diplomatico di carriera dal 1972 al 2013, è stato Rappresentante permanente d’Italia presso l’Unione europea a Bruxelles (2008-2013), capo di gabinetto (2006-2008) e direttore generale per l’integrazione europea (2004-2006) presso il Ministero degli Esteri.  L’ambasciatore Nelli Feroci ha anche ricoperto l’incarico di Commissario europeo per l’industria e l’imprenditoria nella Commissione Barroso II nel 2014. Globalist lo ha intervistato in esclusiva nel giorno in cui si celebra il settantesimo anniversario del Giorno dell’Europa.

Ambasciatore Nelli-Feroci oggi l’Europa celebra il settantesimo anniversario della  “Dichiarazione Schumann”, che è stato l’atto costitutivo dell’Europa post Seconda guerra mondiale. Settant’anni: l’Europa se li porta bene?

“Sì per certi versi, meno per altri. Credo che per giudicare l’Europa bisogna immaginarla come un processo in corso; un processo che è stato contrassegnato da alti e bassi, da momenti positivi e da momenti di crisi. Se posso dare un giudizio complessivo, direi che nonostante le lacune e le incompiutezze, dobbiamo essere grati a chi ha concepito questo progetto di integrazione fra Paesi. Oggi celebriamo il 70° anniversario della ‘Dichiarazione Schumann’, che costituisce il momento di avvio di questo processo. Se facciamo un confronto con la situazione dell’Europa del 1950, cioè di una Europa che usciva da un devastante conflitto mondiale, peraltro originato proprio in Europa, e l’Europa di oggi, nonostante la drammatica crisi che stiamo vivendo, credo che, tutto compreso, la costruzione europea vada valutata positivamente”.

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Per restare a una metafora cosmetica: di quali ritocchi sostanziale la settantenne Europa avrebbe necessità?

“L’Europa in cui viviamo oggi è una Europa molto diversa da quella concepita dai padri fondatori. Diversa per il numero dei partecipanti a questo progetto, diversa per la quantità delle politiche comuni, ma soprattutto diversa rispetto alle sfide a cui deve far fronte. Oggi, paradossalmente, rischiamo di ritrovarci in una situazione simile a quella del dopo Seconda guerra mondiale. Quando fu concepito il progetto europeo, l’idea era di sviluppare l’integrazione delle economie come strumento per realizzare quell’interdipendenza che avrebbe dovuto evitarci i drammatici conflitti della prima parte del XX° secolo. Ma anche che avrebbe dovuto costituire la premessa per la ricostruzione e la ripresa di un continente devastato dalla guerra. Oggi, sia pure in un contesto molto diverso, l’Europa si trova a far fronte ad una sfida simile: contrastare l’impatto della recessione provocato dal Covid-19 e porre le basi per una ripresa e rilancio delle economie dei Paesi membri”.

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Ma questa Europa è attrezzata per far fronte alla spietata concorrenza in un mondo globalizzato e sempre più interconnesso, come drammaticamente evidenzia la crisi pandemica, di potenze quali, solo per citarne due, gli Stati Uniti e la Cina?

Questa è una delle sfide primarie nell’agenda europea, oggi evidentemente modificata dall’impatto della pandemia. Ma resta valido, comunque, quell’obiettivo dell’autonomia strategica dell’Europa su cui si era concordato prima dell’emergenza sanitaria. In un contesto internazionale caratterizzato da molti fattori di incertezza e di instabilità, e dai rischi di una nuova guerra fredda fra Usa e Cina, sarebbe inimmaginabile rinunciare alla dimensione europea, anche per far valere interessi nazionali. E’ una sfida su cui nei prossimi anni si giocherà la credibilità dell’Unione europea. Ma quello che appare evidente fin da ora, è che in assenza di una Unione europea autorevole e protagonista sulla scena internazionale, nessun Paese europeo, neppure il più potente o il più ricco, può affrontare le sfide globali con cui si confronta il pianeta: dal contrasto delle pandemie alla lotta al cambiamento climatico, dalla protezione dell’ambiente al contrasto al terrorismo internazionale”.

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Questo vuol dire che i vecchi e nuovi sovranismi sono destinati alla sconfitta?

Non sono in grado di fare previsioni per il futuro. Osservo, però, che i cosiddetti sovranisti, in queste circostanze, mi sono apparsi più in difficoltà. Quello che è successo, e soprattutto le sfide che ci aspettano, dimostrano che il sovranismo o il nazionalismo non sono una risposta giusta ed efficace. Oggi c’è bisogno di ancora più cooperazione internazionale di prima, proprio per le dimensioni globali di queste sfide. Le risposte tradizionali di sovranisti e nazionalisti, chiusura dei confini, ripiegamento sulla dimensione dello Stato-nazione, non sono apparse adeguate a questa circostanza. Semmai ci sarà da verificare come adattarsi ad un contesto post-Covid, in cui inevitabilmente anche il fenomeno della globalizzazione potrà subire modifiche”.

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