“I nostri ospedali non sono mai stati sopraffatti in questa crisi”: hanno fatto il giro del mondo le parole del ministro tedesco della Sanità, Jens Spahn, quando la settimana scorsa ha avuto gioco facile nel lodare “l’efficacia” della strategia messa in campo dal governo di Frau Merkel e la “solidità” del sistema sanitario federale.
In effetti, è con un certo stupore che si guarda alle cifre che arrivano dalla Germania: ad oggi, a fronte di oltre 149 mila contagi, i decessi confermati sono 5.200, stando al conteggio di Johns Hopkins University. In Italia, con 183 mila infezioni, il numero delle vittime è quasi 25 mila. Guardando agli altri Paesi europei, alla data dello scorso 19 aprile, su 100 mila abitanti in Belgio si contano 45 morti, in Spagna 43, in Italia circa 38. In Germania il rapporto è di 100 mila a 5. In percentuale, si va dal 14,3% in Gran Bretagna al 3,1% nella patria di Goethe.
E ancora: in Germania, sei pazienti affetti da Covid-19 su sette sono stati trattati ambulatorialmente e le scene drammatiche viste nei pronto soccorso e nelle terapie intensive d’Italia e, ancora di più in Spagna, qui non si sono mai viste, e men che mai le immagini apocalittiche dei blindati che portavano le bare fuori da Bergamo.
Insomma, in Germania l’impatto del coronavirus è stato oggettivamente meno forte che in altri Paesi del globo, da Wuhan a New York. Una parte della risposta ha che vedere con la tenuta, appunto, del sistema sanitario: che era partito con 28 mila posti in terapia intensiva, portati nel giro di tre settimane a 40 mila. Di questi, circa 10 mila oggi sono liberi. Alla fine del percorso, ce ne dovrebbero essere 56 mila. A detta del ministero della Sanità tedesco, dal 25% al 35% dei letti a disposizione dei reparti di terapia intensiva devono rimanere a disposizione dei malati da Covid-19.
Per avere un confronto: in Italia, in partenza, i posti letto in terapia intensiva erano in tutto poco più di 5100. In Gran Bretagna sono circa 4000. E ancora: la Germania è stata molto rapida a indicare agli ospedali e alle cliniche la necessità di creare reparti appositi per malati da coronavirus, separandoli immediatamente dagli altri pazienti, riducendo le infezioni e il numero dei decessi.
“L’epidemia, stando ai dati di oggi, è di nuovo controllabile”, sentenzia Spahn, e le misure restrittive della vita pubblica decise un mese fa si sono dimostrate “un successo”, con il trend delle nuove infezioni in continuo calo. Il ‘tasso di raddoppiamento’ dei contagi ora è di 21 giorni. Tre settimane fa era di 7 giorni.
Evidentemente la “linea Merkel” ha dato frutti: un ‘lockdown’ in tutto il Paese, ottenuto nonostante le competenze in teoria appartenga ai governatori dei vari Laender, con i quali la cancelliera ha dovuto lottare non poco per far passare la sua strategia. Chiusura delle scuole, dei bar, dei ristoranti, dei negozi, delle palestre, niente messe religiose, niente eventi pubblici, niente calcio, niente concerti, chiusi i teatri.
In compenso è possibile circolare, anche se solo in compagnia dei propri familiari (o comunque delle persone che abitano sotto lo stesso tetto), niente assembramenti con più di 2 persone. E ancora: controlli rafforzati alle frontiere sud e nord, viaggi possibili solo con validi motivi.
Basta questo per spiegare il “caso tedesco”? È da settimane che i media di tutto il mondo cercano di ‘segreto’ della Germania. Che, in effetti, non è tale: è sempre Spahn a ricordare che finora sono stati sottoposti a tampone circa 1,7 milioni di persone. Ogni settimana vengono ancora effettuati oltre 350 mila test: numero che può essere elevato a 700 mila.
“Test, test, test”, ha ribadito numerose volte Lothar Wieler, il presidente del Robert Koch Institut, il maggiore centro epidemiologico del Paese, spiegando che grazie all’alto numero di tamponi si è riusciti ad intercettare un alto numero di contagiati e di asintomatici, prevenendo in sostanza nuove infezioni. In Germania “c’è una strategia molto aggressiva nel realizzare i test Covid-19”, conferma il coordinatore per l’emergenza dell’Oms, Michael Ryan.
“Il motivo per cui abbiamo una casistica così bassa è ampiamente spiegabile: facciamo moltissima diagnostica di laboratorio”, gli fa eco il virologo più ascoltato in Germania in tempi di coronavirus, Christian Drosten.
Per quel che riguarda nello specifico il tasso di mortalità, ad incidere sarebbe soprattutto l’età degli ammalati: tra i contagiati “comprovati” – ossia a cui si è potuto fare i tamponi – è evidente che l’età media è più alta in Italia che in Germania, 63 anni contro 45, come ha reso noto il demografo tedesco Andreas Backhaus: “E’ un dato che salta agli occhi anche nel confronto tra il nostro Paese e la Corea del Sud, dove solo il 9% delle persone con l’infezione da Coronavirus aveva più di 70 anni, contro il 40% degli ultrasettantenni registrati in Italia. Che, com’è noto, è caratterizzata da un’organizzazione familiare stretta”.
In Germania, la percentuale delle persone adulte che vivono con i genitori sono la metà. Ovvia la conseguenza: figli e nipoti, poco sintomatici o asintomatici, che contagiano genitori e nonni. Anche uno studio dell’Università di Oxford ha rilevato che nel nostro Paese molti anziani vivono con i parenti, il che chiaramente aumenta il rischio di infezione nei confronti dei soggetti piu’ esposti.
C’e’ infine l’aspetto che riguarda la ben nota disciplina sociale dei tedeschi: hanno fatto il giro dei social le foto di una spiaggia sulla quale i bagnanti mantengono rigorosamente le distanze indicata di almeno un metro e mezzo.
La stessa Angela Merkel ha ribadito numerose volte le sue raccomandazioni in tema di “distanziamento sociale”. È stata ascoltata, ed il suo modo pacato e protettivo di comunicare tutti i passaggi cruciali della crisi è stato apprezzato: stando ai sondaggi, l’80% dei tedeschi approva la gestione della crisi da parte della cancelliera, sempre concentrata a richiamare la prudenza e la logica del “passo dopo passo”.
Anche in questi giorni, nei quali crescono le spinte per un progressivo allentamento delle misure di lockdown, l’ex ragazza dell’Est ha ribadito che questo potrà essere solo lento e progressivo, allo scopo di scongiurare eventuali ritorni di focolai. E se questi dovessero presentarsi, un ritorno immediato allo “shutdown”, come lo ha chiamato lei, non è affatto da escludersi.
La ‘road map’ per un ritorno alla normalità da coronavirus è incentrata alla massima prudenza. Mentre si è dato il via libera alla riapertura dei negozi fino a 800 metri quadri e delle concessionarie auto, le “regole d’igiene e di distanza” rimarranno in vigore almeno fino al 3 maggio, così come l’assembramento di gruppi oltre due persone. Tra le altre aperture, è previsto un ritorno all’attività per alcune tipologie di esercizi commerciali, comprese librerie, negozi di mobili, telecomunicazioni e tecnologia.
Per quello che riguarda le scuole, a partire dal 4 maggio potranno rientrare in classe gli studenti degli ultimi anni di scuola secondaria e i ragazzi dell’ultimo anno delle elementari. Sempre da questa data potrebbero riaprire anche i parrucchieri, “ma solo nel rispetto di rigide misure d’igiene e nel rispetto di regolamentazione dell’accesso”. Per ora niente da fare, invece, per grandi eventi, come spettacoli e popolari incontri sportivi.
Va detto che gli allentamenti sono accompagnati dalla produzione in massa di nuove mascherine: per la precisione 10 milioni a settimana del tipo FFP2 e 40 milioni di mascherine chirurgiche. , Spiega ancora il ministro Spahn: “Una quantità che rappresenta la necessità base del nostro sistema sanitario”. E anche su questo Merkel ha appena incassato il suo ultimo successo: convincere tutti i governatori dei Laender ad introdurre l’obbligo delle mascherine, soprattutto quando si prende l’autobus o si va a fare la spesa.
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