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Quattordici ministri degli esteri europei hanno finalmente trovato la forza, dopo l’appello di Papa Francesco, di chiedere la fine del massacro di Idlib. Sono i capi delle diplomazia di Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Spagna, Portogallo, Belgio, Estonia, Polonia, Lituania, Svezia, Danimarca, Finlandia e Irlanda.
Arriva dopo che un numero incredibile di scuole sia stato colpito dai raid aerei dei russi e dei siriani e dopo le operazioni militari dei turchi.
Un milione di civili rischiano ormai di morire di stenti e privazioni, di freddo, di fame. La maggioranza di loro sono bambini. Gli assiderati dei giorni scorsi fecero scalpore, poi basta. Ma l’emergenza è assoluta, questione di ore. Quel milione di individui è ancora lì, rischiano tutti un destino atroce. E domani si aggiungeranno o si potrebbero aggiungere altri due milioni di essere umani, gli altri disperati civili che vivono a Idlib.
E il mondo dell’associazionismo c’è? La nostra società civile non ha nulla da dire? Nulla da obiettare? La nostra coscienza tace?
Ho letto le denunce di Amnesty, altre voci importanti, certamente. Ma dove siamo, noi? Impauriti dal Coronavirus non sappiamo più distinguere il reale dall’ipotetico? O siamo stati assorbiti, inghiottiti da una liquefazione della coscienza individuale e collettiva?
Questo mondo è il nostro mondo. Quello che accade è opera nostra. Dei nostri silenzi, della nostra acquiescenza, o disattenzione.
Chi ha parlato di “male minore” avrà per sempre su di sé il peso, per me, di un errore enorme.
Scuole bombardate, bambini in fuga verso il nulla. Il muro turco impedisce alla popolazione di fuggire, il fuoco di Assad li incalza senza via di fuga.
Erdogan, dopo aver armato l’altra canaglia, i jihadisti, che ha tormentato questa popolazione, pensa solo ai suoi confini e al suo espansionismo. Ma ai civili di Idlib non pensa proprio nessuno?
Io credo che sia arrivata l’ora di una grande mobilitazione nazionale per la coscienza umana di ciascuno di noi. Sottrarsi vorrebbe dire essere complici.