Arroganti. E soprattutto con metodi da una forza di invasione piuttosto che come una forza che aiuta nella lotta al terrorismo.
“In questo momento qualsiasi delegazione inviata in Iraq sarebbe dedicata a discutere come poter riaffermare al meglio la nostra partnership strategica, non a discutere il ritiro”. Così, con una dichiarazione della portavoce del dipartimento di Stato, Morgan Ortagus, gli Stati Uniti replicano alla richiesta del primo ministro Adel Abdul-Mahdi di inviare ”una delegazione” di Washington a Baghdad ”per discutere dei meccanismi di ritiro delle truppe straniere dall’Iraq”
“La nostra presenza militare in Iraq è tesa a continuare la lotta contro lo Stato Islamico e come ha detto il segretario di Stato Pompeo – continua Ortagus – siamo impegnati a proteggere americani, iracheni e i nostri partner della Coalizione. Non abbiamo lasciato adito ad ambiguità riguardo all’importanza cruciale della nostra missione contro l’Is in Iraq”.
Ortagus ha detto ancora che oggi c’è una delegazione Nato al dipartimento di Stato “per discutere l’aumento del ruolo dell’Alleanza in Iraq, in linea con il desiderio del presidente della condivisione del peso dei nostri sforzi per la difesa collettiva”.
“C’e’ poi la necessità di una discussione tra gli Stati Uniti ed il governo iracheno non solo riguardo alla sicurezza – conclude la dichiarazione della portavoce di Mike Pompeo – ma anche sulla nostra partnership finanziaria, economica e diplomatica. Noi vogliamo essere un amico ed un partner di un Iraq sovrano, prospero e stabile”.
C’è un piccolo particolare: gli Stati Uniti hanno commesso i territorio iracheno un atto che si può tecnicamente definire terrorismo o azione di guerra in spregio a tutte le norme internazionali uccidendo un alto ufficiale di uno stato sovrano, l’Iran, in violazione della territorialità di un altro stato sovrano, l’Iraq e uccidendo anche cittadini iracheni.
La rabbia dell’Iraq è più che giustificata anche se, ovviamente, nelle relazioni internazionali vale ancora la legge del più forte.
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