I curdi sono una minoranza etnica divisa tra Iraq, Iran, Turchia e Siria, che rivendica la propria indipendenza e autonomia politica e culturale. Come scrive Vittorio Gorrasi su Today, rappresentano il quarto gruppo etnico più grande del Medio Oriente: la loro popolazione è stimata in circa 35 milioni di persone. I curdi sono a maggioranza musulmana sunnita e formano una comunità distintiva, unita attraverso razza, cultura e lingua, anche se non hanno un dialetto standard. Ogni gruppo nazionale, però, si differenzia l’uno con l’altro per priorità e alleati.
I curdi turchi, i curdi siriani e i curdi iracheni, che insieme hanno combattuto contro l’Isis, sono i gruppi finiti nel mirino di Erdogan. I curdi iracheni hanno da tempo una loro regione autonoma all’interno dell’Iraq (il Kurdistan iracheno).
Le azioni militari dei turchi nella zona irachena sono state poche, anche perché le autorità curdo-irachene e Ankara hanno buone relazioni.
I militari turchi però ogni tanto bombardano aree montuose che considerano una retrovia del Pkk.
I curdi siriani dopo la guerra civile hanno ottenuto il controllo della regione che abitano, il Rojava.
Ma secondo Erdogan Ypg e Ypj non sono altro che l’altro volto del Pkk di Ocalan e, quindi, sono un segmento dell’organizzazione che in Turchia è fuorilegge.
Per questo il Sultano ha sempre bombardato e attaccato i curdo-siriani fin da quando hanno costituito l’autogoverno del Rojava considerando la loro presenza un rischio.
Ma essendo Ypg-Ypg e Sdf alleati degli Usa nella lotta all’Isis, Erdogan ha dovuto sopportare (si fa per dire) fino a quando Trump nei giorni scorsi ritiranto le truppe Usa nella zona ha di fatto dato il via libera al massacro.
Sono in lotta per il pieno riconoscimento di un proprio Stato, il Kurdistan, dalla fine della Prima Guerra Mondiale, quando si sgretolò l’Impero Ottomano. Il Trattato di Sèvres, siglato nell’agosto del 1920, prevedeva la creazione di uno Stato curdo ma il successivo Trattato di Losanna lo cancellò. Da allora i curdi hanno subìto violente persecuzioni in Iran, Iraq e Turchia. In quest’ultimo Paese negli anni Ottanta nacque il gruppo di ispirazione marxista Pkk – Partito dei Lavoratori del Kurdistan – guidato da Abdullah “Apo” Öcalan (in carcere in Turchia dal 1990), che iniziò una lotta armata contro il governo centrale di Ankara. L’organizzazione ha deposto le armi nel 2001. È attualmente considerata un’organizzazione terroristica dalla Turchia, dagli Stati Uniti, dall’Unione europea, dall’Iran e dalla Nato, ma non dalla Russia, dall’India, dalla Cina, dal Brasile, dalla Svizzera, dall’Egitto e dalle Nazioni Unite.
In Occidente negli ultimi anni si è spesso parlato dei curdi siriani anche per la loro battaglia contro l’Isis. L’Ypg (unità combattenti di protezione popolare curde) ha anche ricevuto il supporto degli Stati Uniti, che individuarono come propri alleati sul terreno nella guerra contro l’Isis proprio i curdi siriani. I guerriglieri curdi, con il sostegno Usa, nel 2015 riuscirono a riconquistare i propri territori occupati dall’Isis – noti anche come Rojava, o Kurdistan siriano – e riuscirono anche ad espandersi in aree abitate da popolazioni arabe. Negli anni successivi, 2016 e 2017, i curdi-siriani rafforzarono il proprio controllo sul Rojava e contribuirono in modo determinante alla sconfitta finale dell’Isis.
Fino alla decisione di ritirarsi dal nord della Siria, gli Stati Uniti hanno sostenuto e finanziato le Forze democratiche siriane (le Sdf), composte in gran parte dalle Ypg e Ypj, le milizie curde che hanno combattuto sul territorio lo Stato Islamico, liberando tra le altre città anche Raqqa. Ad agosto, a seguito di un accordo Usa-Turchia, il governo americano aveva inoltre convinto i curdi a ritirarsi da alcuni avamposti di frontiera con la Turchia, promettendo loro protezione e sicurezza. A sorpresa, però, a inizio ottobre Donald Trump ha deciso di ritirare i soldati americani presenti nel nordest della Siria in modo da non interferire nelle operazioni militari turche. Per i curdi si tratta di un tradimento. Ed ecco che uno dei rischi maggiori dell’operazione militare turca contro i curdi nel nordest della Siria è far tornare lo Stato islamico (o Isis), o creare le condizioni per una sua riorganizzazione più rapida. Anche perché contrariamente a quanto sostenuto da Trump, l’Isis non è mai stato sconfitto definitivamente in Siria.
L’attacco della Turchia in Siria potrebbe causare anche un nuovo aumento del flusso di migranti. Nelle scorse settimane si è già registrata una crescita degli sbarchi nelle isole greche, e il timore fondato è che aumentino ancora: le nuove tensioni in Medio Oriente potrebbero spingere molti rifugiati siriani che oggi si trovano in Turchia a scappare verso l’Europa, più o meno come successe pochi anni fa lungo la cosiddetta rotta balcanica. E ieri Erdogan ha lanciato il suo ricatto all’Ue: l’Europa – è la minaccia del presidente turco – deve restare ad osservare inerme mentre la Turchia attacca le truppe curde in Siria, altrimenti salteranno i patti sulla gestione dei rifugiati e 3,6 milioni di migranti verranno mandati in Europa. Se l’Europa bolla l’operazione militare lanciata ieri come un’occupazione, ha detto Erdogan, “apriremo i cancelli e vi manderemo 3,6 milioni di rifugiati”.“