Centinaia di muri: così il mondo si divide per escludere chi non ce la fa

Muri tra Stati, muri tra etnie, muri che dividono quartieri nella stessa città per difendere i privilegi e allontanare chi non li possiede. Eppure, dopo Berlino, avevamo pensato a un futuro bellissimo

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26 Ottobre 2017 - 20.29


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Dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine del mondo  diviso in due emisferi contrapposti, pensavamo  a un futuro  libero, di pace. E invece. Si moltiplicano nel mondo i muri che dividono. Massimo Ilardi ed Enzo Scandurra, due docenti (il primo Sociologia Urbana ad Ascoli Piceno, il secondo Ingegneria del Territorio a Roma, La Sapienza) hanno scritto un piccolo libro sull’argomento. Si intitola, appunto “Muri” (pagg. 76, euro 8, ManifestoLibri). Questo un breve estratto. 

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“Può sembrare un paradosso e apparentemente lo è: la topografia della globalizzazione prometteva una terra senza più confini e frontiere: siamo cittadini di un mondo fattosi sempre più interconnesso, nessuna limitazione allo spostamento di cose e persone, gli Stati nazionali e i loro confini solo un debole ricordo della Modernità e Globale è il nome del futuro. E, invece, è accaduto l’opposto: mai tanti muri in questo mondo post-bipolare quanto in quello della guerra fredda, mai tanti nazionalismi esasperati, mai tante rivendicazioni identitarie legate al territorio, mai tanti avamposti di un sistema globale di apartheid. Cosa accade, dunque, in questa epoca cosiddetta liquida nella quale ogni luogo è in continuo collegamento telematico e finanziario con ogni altro e dove un sussulto della Borsa in Irlanda produce effetti a catena perfino nell’impero americano?

 La costruzione di muri sembra essere la risposta postmoderna al tema della convivenza tra diversi. Muri che “proteggono” i cittadini occidentali dai “dannati della terra”, muri che dividono paesi in guerre mai dichiarate, muri che dividono le grandi città dell’Occidente dalle loro periferie. E dentro le città, altri muri ancora a dividere i “cittadini globali” dagli abitanti immiseriti, arrabbiati e pieni di rancore, invisibili e dimenticati; muri, infine, tra gli abitanti di uno stesso quartiere. Come nelle bamboline russe, i muri si distribuiscono gli uni dentro gli altri in anelli concentrici delineando società della paura e del sospetto. Alla tradizionale geografia politica e fisica disegnata sulle mappe che erano appese sulle pareti delle aule delle scuole elementari, è stata sostituita una nuova geografia dove i muri segnano e marcano nuovi confini, ridisegnano territori, attraversano uno stesso paese. Come non ricordare, triste presagio e metafora, il notissimo libro di Ballard – Condominium –, in cui l’autore ci descrive il conflitto crescente che si sviluppa in un elegante e lussuoso condominio che diventa il teatro di una caduta nella barbarie di un’intera classe dirigente londinese? Dopo le prime schermaglie, la situazione degenera rapidamente fino a trasformarsi in un crescendo di violenza, con sabotaggi di ascensori, barricate tra piani e appartamenti, uccisioni e rappresaglie, fino alla totale distruzione di cose e persone. Sono in molti ad aver detto che il paesaggio prossimo futuro sarà quello della lotta di classe strada per strada, isolato per isolato, persona contro persona».

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