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Si dice che un avvocato non dovrebbe mai porre ad un teste una domanda di cui non conosce già la risposta. Perché, come recitano sovente i legal thriller americani, non c’è cosa peggiore che ritrovarsi tra i piedi una circostanza sconosciuta e, quindi, difficile da fronteggiare. Lo stesso vale per la diplomazia dove ogni mossa deve essere preparata intuendo la risposta dell’interlocutore, come insegnano gli scacchi, forse il gioco più crudele, dove il fine primo e ultimo è mettere in ginocchio l’avversario.
Se si fosse tenuto ben fermo questo principio, oggi l’Italia non sarebbe nelle sabbie mobili della questione ‘migranti’ dove, purtroppo, si ritrova con il cerino in mano ormai ridotto ad un frammento e, quindi, con la certezza alla fine d’essere la sola a bruciarsi.
Fare la voce grossa (chiuderemo i porti alle navi delle ong cariche di migranti) è stata una mossa politicamente giustificata, ma assolutamente inefficace a causa della sua tempistica.
Tenendo fermo il principio dell’obbligo del soccorso in mare, non disconosciuto da alcuno (oddio, in casa nostra qualcuno che la pensa diversamente c’è…) , l’Italia si trova davanti ad un fenomeno numericamente parlando fuori controllo. Le decine di migliaia di disperati che premono alle nostre frontiere marittime e, quindi, soccorsi e portati nei nostri porti, sono una realtà di cui nessuno, ad eccezione dell’Italia, sembra volersi fare carico. Come dimostra la farsa in Parlamento europeo – con l’emiciclo desolatamente semivuoto – dove Junker ha certamente sbagliato nella forma, ma con ampie giustificazioni perché il problema riguarda l’intero continente, quindi anche quei Paesi che, pur facendo parte dell’Eu, si sono chiamati fuori, facendo spallucce davanti al problema.
L’Italia aveva ed ha tutte le ragioni per cercare di farsi sentire in Europa, ma forse, prima di farlo, avrebbe dovuto avere anche solo un simulacro di certezza sulla solidarietà che si attendeva da quei Paesi che potrebbero trovarsi nelle medesime condizioni. Forse Gentiloni e Minniti pensavano che le comuni radici cristiane avrebbero indotto Francia e Spagna a tendere la mano, ma il loro errore di valutazione è oggi evidente, perché Parigi e Madrid parlano, parlano, parlano e basta.
Non si è trattato – da parte del Governo italiano – di uno spot elettoralistico, non si è trattato di cercare di sottrarre un argomento alla destra vera o simulata. Si voleva coinvolgere l’Europa ed invece si è spinto il Paese verso l’isolamento, cui ha anche contribuito la boutade austriaca, con la minaccia folkloristica di schierare l’Esercito alla frontiere, quasi facendo capire d’essere pronti a usare la violenza. Ma tant’è, perché altro non ci poteva certo attendere da Austria felix (certo non un mostro di solidarietà, lo insegna la Storia) che deve andare alle urne in un’atmosfera ovattata e, quindi, non può certo scherzare sui temi della sicurezza.
Le prossime ore rischiano d’essere drammatiche per il Governo che si trova tra due fuochi (Ue ed opposizioni), ed è difficile capire quale possa bruciare di più.
Il fronte interno, peraltro, potrebbe essere ancora più periglioso di quello europeo, perché ci sono opposizioni che, al di là della fumosità delle loro proposte (che pencolano tra l’uso della forza ad una confusa strategia della ”non accoglienza”), guardano con feroce attenzione ad un elettorato che, esattamente come loro, vede il problema, ma non sa proporre soluzioni.