Trump usa la Corea del Nord per incalzare la Cina
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Trump usa la Corea del Nord per incalzare la Cina

La minaccia del presidente è arrivata alla vigilia dell'incontro con il presidente cinese Xi Jinping

Il leader della Nord Corea Kim Jong-un
Il leader della Nord Corea Kim Jong-un
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Diego Minuti Modifica articolo

3 Aprile 2017 - 18.26


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In diplomazia spesso le parole diventano lo schermo dietro il quale celare le reali intenzioni di chi le pronuncia. Le pagine dei libri di storia sono strapiene di esempi, a partire dal patto di non aggressione firmato dal ministro tedesco von Ribbentrop e dal suo collega sovietico Molotov, stracciato nel momento in cui Hitler decise che il suo vero nemico stava ad est e guidava il movimento comunista mondiale. Certo, oggi i tempi sono mutati e accadimenti come quelli appena citati sarebbero difficili da vedere, ma mai dire mai. Oggi la diplomazia delle parole è quella che regge il ruolo di protagonista nelle vicende internazionali. Alcune di esse sono o sono state terribilmente vicine a noi, come insegnano le tragiche guerre etniche dei Balcani in cui l’Occidente intervenne non sempre seguendo la coerenza che imponeva di intervenire in difesa della civiltà, ma facendosi guidare dalla ragion di Stato o, peggio, dalla ‘realpolitik’, fumosa definizione che serve a trovare sempre e comunque una giustificazione ai propri atti. Anche se magari si traducono nell’inane atteggiamento usato a Srebenica dalle Nazioni Unite e da chi le rappresentava in loco (le truppe olandesi, che mai potranno cancellare la vergogna per non essere intervenute a fermare il massacro di civili musulmani).
Tornando alla diplomazia ed alla politica internazionale dei giorni nostri, come interpretare la sortita di Donald Trump rispetto all’aggressività della Corea del Nord, sempre impegnata in una folle corsa per entrare a fare parte del club del nucleare bellico?
Di solito gli ammonimenti sono un modo come un altro per fare capire che determinati atteggiamenti non saranno tollerati. Ma sino a che punto la minaccia degli Stati Uniti di essere pronti ad intervenire (come e in che tempi è cosa al momento abbastanza misteriosa) può interrompere le dinamiche del regime nord-coreano?
Per quel che si conosce di Kim Jong-un, le minacce di Trump potrebbero non avere alcun effetto immediato, considerato che la partita estera che il paffuto dittatore – che non ha remore nell’affamare la sua gente per proseguire nei suoi sogni egemonici – sta conducendo ha come involontari giocatori non solo gli Stati Uniti, ma anche la Corea del Sud, così come il Giappone (l’odio verso il quale è anche fondato sulle atrocità durante l’invasione nipponica), così come la stessa Cina, considerata oggi come matrigna e non più, per come è stata per decenni, amorevole protettrice della  ”monarchia rossa”.
Quel che appare evidente che l’arma delle sanzioni non sembra mettere in ambasce la Corea del Nord, la cui strategia politica internazionale segue modi ormai conosciuti: aggressività, arroganza, insensatezza.
Ma sarebbe esiziale liquidare quello di  Pyongyang  come un regime folkloristico, un Paese da operetta in cui tutto viene ricondotto al rango di semidio attribuito a Kim Jong-un come eredità di papà e nonno, in uno schema dinastico che pare fare proseliti anche in Italia….
Oggi la Corea del Nord è un Paese dotato di armamento nucleare e solo il tempo ci dirà in quanto tempo  sarà in grado di dare corpo ai peggiori incubi dei Paesi della regione e degli stessi Stati Uniti, quando la tecnologia bellica le consentirà di realizzare dei vettori in grado di scavalcare mari ed oceani.
La sortita di Donald Trump (che può sembrare esageratamente muscolare) ha avuto tempi diplomatici perfetti perché è arrivata alla vigilia dell’incontro con il presidente cinese Xi Jinping, al quale l’inquilino della Casa Bianca chiederà un cambiamento di rotta nei rapporti  con la Corea del Nord. Insomma, vista l’escalation degli esperimenti nordcoreani, è tempo di passare dalla carezze agli schiaffoni, senza la tappa intermedia dei buffetti. Forse le parole di Trump non hanno fatto piacere a Xi Jinping che probabilmente voleva parlare di surplus commerciale e trattati economici. Ma Trump, in evidente difficoltà sul fronte interno, tra accuse di nepotismo sfrenato e di irrefrenabile cesarismo, insegue una vittoria che si traduca in nuovo consenso non soltanto da i lavoratori americani (che hanno costituito la fetta più grande del suo elettorato) e dai militari (ah, la casta….), ma anche della gente comune che, al di là dei partiti e delle idee, ha un nutrimento comune, la paura.  

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