Il Parlamento di Tobruk, nell’Est della Libia, giudica “nullo e inesistente” l’accordo sulla lotta all’immigrazione clandestina firmato tra il governo di unità nazionale guidato da Fayez al Sarraj e il nostro Paolo Gentiloni. Il governo di Tripoli e al Sarraj, dicono, “non hanno alcuna giurisdizione nello Stato libico”. Il Parlamento di Tobruk, che non riconosce l’autorità di Tripoli, a sua volta non è riconosciuto dalle autorità internazionali.
Lo scorso 2 febbraio, Sarraj ha siglato a Roma con il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni un memorandum di accordo che mira a rafforzare la lotta all’immigrazione clandestina in Libia. Ma l’autorità di Sarraj e del suo governo insediato a Tripoli e sostenuto dalla comunità internazionale non è riconosciuta dal Parlamento dell’Est della Libia.
“Dossier come quelli dell’immigrazione clandestina sono tra le questioni cruciali” che devono essere decise “dal popolo libico attraverso l’intermediazione dei deputati democraticamente eletti”, ha sottolineato il Parlamento di Tobruk in un comunicato.
L’Italia – è scritto ancora – “tenta di sbarazzarsi dei pesi e dei pericolosi problemi provocati dall’immigrazione clandestina a livello della sicurezza, economico e sociale in cambio di un po’ di sostegno materiale che è costretta ad offrire per ridurre il numero dei migranti illegali”.
La posizione, annunciata ufficialmente oggi da Tobruk, è da tempo quella dell’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar. Il generale, sponsor del governo nell’Est della Libia, si è preso l’intera Bengasi e ora ambisce a riunire il Paese sotto il suo controllo. Intanto, aspetta paziente che inizi la partita a scacchi tra Washington e Mosca e spera in un proficuo dialogo tra il nuovo presidente Usa Donald Trump e il capo del Cremlino Vladimir Putin.
Il governo italiano, che di fatto è rimasto piuttosto isolato nel sostenere esplicitamente l’esecutivo Sarraj insediato grazie alla mediazione – e alle insistenze – dell’Onu, ha fiducia che il memorandum di accordo siglato con Tripoli possa condurre alla chiusura della rotta mediterranea, serrando le frontiere meridionali. Ma il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, il ministro degli Esteri Angelino Alfano e il titolare del Viminale Marco Minniti, riferiscono alcune fonti vicine al dossier, sono consapevoli delle difficoltà che fanno del memorandum un progetto a rischio fallimento.
Sin dal suo arrivo a Tripoli, Al Sarraj è infatti molto debole, incapace di imporre la sua autorità in tutto il Paese e di far fronte alle minacce continue dei suoi principali avversari politici e militari. La stessa capitale della Libia resta divisa e nel caos: l’ex capo del governo islamico Khalifa Ghwell ha più volte ispirato o guidato azioni dimostrative in città allo scopo di destabilizzare ulteriormente l’attuale premier. A Ovest, vicino al confine con la Tunisia, agiscono incontrastati i trafficanti di esseri umani. Le loro basi tra Sabratha e Zawiyah sono zone franche dove tutto è permesso, centri nevralgici delle spedizioni di morte nel Mediterraneo. A Misurata, più a Est, le milizie locali stanno giocando la loro partita: sono dalla parte del governo di unità, ma si professano indipendenti, e ambiscono a un ruolo rilevante nella Libia del futuro. A Sud-Ovest infine, ci sono i jihadisti di Ansar Al Sharia e dello Stato Islamico. Le aree desertiche sono di fatto sotto il loro controllo e l’autorità dello Stato è pressoché inesistente.
E poi c’è lui, Khalifa Haftar, l’uomo che potrebbe cambiare i destini della Libia. Non riconosce l’autorità di Sarraj, punta il dito contro l’inviato Onu Martin Kobler – “i libici lo chiamano il diavolo” -, guarda a Est e ad Ovest, scommette sul sostegno di Mosca e Washington. Con la prima, il generale parla da tempo e stipula accordi: una fornitura d’armi dal valore di due miliardi di dollari, nonostante l’embargo imposto nel 2011 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Per aggirare il problema, la Russia potrebbe fare arrivare il carico ad Haftar tramite l’Algeria: di questo avrebbero discusso il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov e il suo omologo algerino Abdelkader Messahel ad Abu Dabhi proprio nelle stesse ore in cui Sarraj firmava il suo accordo con Gentiloni a Roma.