La vita di Reeva Steenkamp vale solo 6 anni di Pistorius
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La vita di Reeva Steenkamp vale solo 6 anni di Pistorius

Oscar Pistorius è stato appena riconosciuto colpevole di omicidio volontario. Ha ucciso lui la sua fidanzata. Ma la sentenza uccide due volte la vittima

Reeva Steenkamp
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Claudia Sarritzu Modifica articolo

6 Luglio 2016 - 11.45


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di Claudia Sarritzu

Il 14 febbraio del 2013 è morta Reeva Steenkamp. Se chiedi in giro di chi stiamo parlando, pochi risponderanno che era una modella sudafricana conosciuta ai più come testimonial della campagna antistupro in Australia. Nessuno sa che aveva 30 anni e che nel giorno di San Valentino il suo fidanzato l’ha freddata con un colpo di pistola alla testa nella casa di lui dove viveva con lei.

Alcuni però risponderebbero: “Sì, era la fidanzata di Pistorius”.  Ma non saprebbero pronunciare il suo cognome perché in pochi l’hanno chiamata in questi anni. Era solo la donna di.

La violenza sulle donne parte dall’indifferenza, dall’identità della vitima cancellata, strappata via dal carnefice e poi dai media che si dimenticano che dietro un omicidio c’era un essere umano. Mi piacerebbe andare nelle scuole  a parlare di Reeva, di una ragazza che oggi avrebbe 33 anni, di quel bagaglio di sogni, speranze, valori, ideali, futuro finiti sottoterra per mano del solito uomo che viveva con lei, che diceva di amarla, che le prendeva la mano passeggiando per strada. Mi piacerebbe ridarle  quell’identità che tre anni di processo hanno polverizzato. E’ sempre la solita storia la vittima diventa un numero, “un femminicidio”. L’assassino invece ha un nome, un cognome, una storia, un dramma, attenuanti o aggravanti. Ma è sempre sui giornali con la sua unicità.

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Oscar Pistorius è stato appena riconosciuto colpevole di omicidio volontario. In primo grado era stato condannato a 5 anni per omicidio colposo. Si è dunque accertato in appello che l’atleta voleva uccidere la sua fidanzata. Ma nonostante questo è stato condannato a soli sei anni di carcere. A deciderlo il giudice Thokozile Masipa del Tribunale di Pretoria. La vita dunque di Reeva vale 6 anni di reclusione.

Accennavo l’idea di andare nelle scuole, perché credo che questa morte violenta sia il simbolo, l’emblema mondiale di quanto conti la vita di una donna, che sia povera, ricca, bella o brutta, bianca o nera.  Non valiamo assolutamente nulla: tra i talebani e anche nel “civilissimo” Sudafrica. Siamo un male che ormai accettiamo con rassegnazione e un pizzico di abitudine.

Nessuno di noi era in quella casa quando si è consumato l’orrore, ma sappiamo, grazie a quei media che hanno parlato solo di Lui, che quel Lui riconosciuto colpevole,  su consiglio del proprio avvocato difensore, il 15 giugno di quest’anno si è tolto le protesi che lo hanno reso famoso nel mondo e ha camminato per l’aula poggiando sui moncherini delle gambe che gli sono state amputate a 11 anni a causa di una malformazione congenita. Voleva commuovere i giudici. Come se essere senza gambe possa giustificare un assassinio. Deve aver funzionato.

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Oggi ogni donna del mondo deve sentirsi in pericolo e in lutto. Perché se una modella bella, ricca, bianca e famosa può essere uccisa dal suo fidanzato e questo viene condannato solo a 6 anni di reclusione, chi è nata nei sobborghi, non è tanto carina e ha la pelle scura, può anche rassegnarsi. Non avremmo mai giustizia perché non abbiamo un’identità. Per il pianeta siamo ancora la costola di Adamo.

 

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