Ora il covo dei salafiti è in Bosnia
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Ora il covo dei salafiti è in Bosnia

Viaggio nel piccolo borgo bosniaco di Osde, da dove i serbi se ne sono andati vendendo le loro case ed è nata una comunità musulmana radicale.

Ora il covo dei salafiti è in Bosnia
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16 Febbraio 2016 - 13.28


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Il villaggio di Osve, dieci chilometri ad ovest della città centrale bosniaca di Maglaj, non ha l’aspetto di un luogo minaccioso. È molto piccolo, non più di 20 case in piedi e un numero uguale di abitazioni rovinate sparse lungo una strada tortuosa piena di fango.

A parte un paio di case appartenenti a serbi rimpatriati, le altre appartengono tutti a famiglie musulmane, il che rappresenta un equilibrio normale in un villaggio bosniaco in questa parte del Paese. Tuttavia, sia le agenzie di sicurezza locali che quelle internazionali hanno segnato Osve come una minaccia, e questo perché i membri della linea dura del movimento islamico salafita hanno acquistato diverse abitazioni per creare una comunità chiusa. Alcuni di loro negli ultimi anni sono anche andati a combattere in Siria e Iraq.

Una casa nella vita del villaggio appartiene a Amir Kavazovic, 42 anni, nato a 20 chilometri di distanza, nel villaggio di Gornji Pridjel, nei pressi di Doboj, porta la barba lunga e indossa i pantaloni di foggia araba che sono consuetudine per i salafiti, vive nella piccola casa con la moglie, i suoi figli e un’altra famiglia. “Sono venuto perché qui la terra è a buon mercato. Ho avuto alcuni fondi”, racconta, rifiutandosi di rivelare quanto ha speso per la sua parte della casa precedentemente distrutta e circa 300 metri quadrati di terreno. Lui vive di agricoltura e ha alcune mucche, ma si acciglia e alza la voce quando gli viene chiesto se abbia mai ricevuto danaro per aver scelto di vivere come un salafita: “Forse che le persone che dicono cose del genere vengono mai a guardare nel mio frigo? No …e magari il mio frigo è vuoto e non ho niente da mangiare, “dice con fare misterioso.
Kavazovic dice i combattimenti in Siria o in Iraq per lui non sono di alcun interesse, e si rifiuta di parlare di altra gente del villaggio che è andata a combattere in Medio Oriente.
“Le autorità li conoscono, hanno dato loro i passaporti e li hanno lasciati passare per gli aeroporti. io non so chi organizza i loro viaggi. Non ho intenzione di andare in Siria, e questo non mi riguarda”, aggiunge.

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Emrah Fojnica era vissuto ad Osve prima di andare a combattere in Iraq, dove è stato ucciso a metà del 2014. Le autorità bosniache dissero che era l’lui e uomo armato che assieme a Mevlid Jasarevic tentò un l’attacco terroristico all’ambasciata degli Stati Uniti a Sarajevo nel 2011, ma venne assolto da questa accusa. Alcuni dei suoi parenti vivono ancora nel villaggio, ma si rifiutano di parlare con i giornalisti, però l’Agenzia bosniaca di investigazione e protezione, SIPA, conferma che sta indagando su diversi abitanti del villaggio in Osve. Il villaggio è di “interesse per la sicurezza in materia di estremismo violento e il radicalismo che può portare ad atti terroristici”, dice un membro della SIPA.

Kavazovic e altri abitanti del villaggio dicono che la polizia visita il villaggio ogni giorno e che spesso vedono i veicoli dell’Agenzia in agguato tutt’intorno. Uno dei vicini di Kavazovic non porta la barba: Blagoja Vidovic è uno dei pochissimi serbi rimaati della grande comunità di prima della guerra 1992-95 , e si dice deluso dal fatto che così tanti serbi abbiano venduto le loro case ai salafiti. I suoi ex vicini ora vivono a Doboj, Brod e Teslic, tutti Comuni delle entità a maggioranza serba di Bosnia, la Republika Srpska. “A loro piace camminare sui marciapiedi (vale a dire vivono in città) e non vogliono lavorare la terra”, lamenta Vidovic.

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Che tuttavia non ce l’ha con i musulmani devoti che hanno deciso di trasferirsi a Osve: “Per me sono i benvenuti. Quando le inondazioni hanno colpito la regione di Maglaj, mi hanno portato cibo. Quando è la festa musulmana di Eid, mi portano le carni provenienti da animali macellati “, racconta.

Eppure dopo molte ore trascorse nei vicoli di Osve, si vedono solo guomini con le barbe lunghe e pantaloni in stile arabo, molti indossano anche giacche militari. Sono pochissime le donne che escono dalle case, le poche che si notano passano in fretta con i loro figli evitando gli estranei. Sono interamente copertee celano i loro volti sotto un foulard.
Un gruppo di salafiti rsi accoglie davanti alla sala di preghiera locale al mezzogiorno del venerdì, e la preghiera si svolge in una casa con gli altoparlanti sul tetto. Non si tratta di una moschea o di un luogo di culto ufficialmente riconosciuto dalla Comunità islamica bosniaca, il tetto accanto all’edificio ha un tetto da ricostruire su cui sventola una bandiera nera con lettere bianche in arabo, che ricordano la bandiera dello Stato Islamico.

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Gli uomini entrano dall’ingresso principale del palazzo, mentre le donne entrano dai lati, ed a guidare la preghiera è Selvedin Dzanic, 28 anni, nato a Oruc, un villaggio vicino.”Non ho studiato alla Madrassa per diventare un Imam, ho imparato tutto dai libri sacri”, dice lui, spiegando la sua mancanza di formazione.Vive ancora ad Oruc ma prevede di trasferirsi presto ad Osve , non appena lavori alla sua casa è stata completata, anche lui vive di agricoltura e, a volte lavora come idraulico.

Alla domanda circa l’immagine di salafiti come potenziale minaccia per la Bosnia, risponde che è una sciocchezza:
“Vogliamo solo vivere una vita islamica, senza conflitto con nessuno, vogliamo praticare veramente l’Islam e vivere una vita di preghiera”.Gli alti f funzionari islamici non sono d’accordo, nel gennaio scorso la Comunità islamica in Bosnia-Erzegovina ha diffuso una dichiarazione che diceva che entro due mesi tutti i luoghi di culto musulmano non riconosciuti da essa devono chiudere. Dzanic spera che non si arriverà a questo. “Penso che questo problema si risolverà attraverso il dialogo e non avremo alcun contrasto”, intanto però nuon vuole farsi fotografare come nessuno degli altri membri della comunità.Dopo aver terminato le loro preghiere del venerdì, alcuni spingono via il cameraman, chiedendo di non essere filmati: “Ogni volta che vengono ,i giornalisti ci presentano come animali o selvaggi e poi vediamo più raid della polizia nel villaggio,”, dice uno di loro con rabbia, rifiutando di dare il suo nome.

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