dall’Argentina
“In Argentina ha vinto la voglia di cambiamento, prima dell’ideologia, prima dei partiti, prima dell’appartenenza e forse ancor prima della riflessione politica. Ha vinto chi ha saputo ammaliare e affascinare un popolo stanco del proprio governo, di un populismo che troppo spesso ha celato iniquità e menzogne.
Quello stesso progetto politico 12 anni fa aveva rappresentato una nuova Argentina, che con coraggio e in mezzo a tante difficoltà si rialzava da una grande crisi, ripartendo dalle sue risorse e opponendosi al cappio del Fondo Monetario Internazionale. Il merito fu in gran parte della presidenza di Néstor Kirchner e dei primi anni del mandato presidenziale di sua moglie Cristina, entrambi presero per mano un Paese ferito e affamato, a causa delle folli politiche neoliberiste degli anni ’90 che lo portarono al collasso, ridandoli speranza, possibilità ed una nuova maturità utile a comprendere i propri limiti e i propri punti di forza.
Tuttavia, come purtroppo spesso accade in America Latina, la spinta comunitaria ed innovatrice dei primi anni ha gradualmente perso la sua forza e limpidezza, lasciando spazio al leaderismo, alla corruzione e alla rigidità di chi non comprende che nuovi problemi necessitano nuove soluzioni.
La sola propaganda populista trionfale non è più bastata al popolo argentino.
Per tutto questo ancor prima della vittoria di Mauricio Macri le elezioni rappresentano la sconfitta del Kirchnerismo, un referendum che seppur di misura boccia Cristina ed il suo entourage.
Occorre considerare alla luce di questo la vittoria di Cambiemos a trazione neoliberale, più vicino ai governi argentini degli anni ’90 che al cammino effettuato dal Paese post-crisi del 2001, un movimento di destra, se in Argentina fossero attualmente applicabili le categorie politiche.
Ma chi è il nuovo presidente argentino e cosa rappresenta?
Mauricio Macri è figlio di uno dei maggiori imprenditori argentini, ha origini italiane, è dal 1995 presidente della squadra di calcio Boca Junior e dal 2007 capo del governo della città di Buenos Aires, rieletto al secondo mandato: un brillante comunicatore con le maniche della camicia rialzate, in linea con i suoi colleghi europei a lui più affini.
Egli fa innegabilmente parte dell’elite del Paese, è un industriale aperto al mondo che propone una ricetta capitalista per risolvere i problemi dell’Argentina: apertura, minore pressione fiscale e alleanze commerciali con i paesi più sviluppati.
Soluzioni che, dal punto di vista di chi scrive, ricordano un’altra Argentina che rincorrendo l’illusione di equiparare la propria moneta ed il proprio stile di vita al dollaro e agli Stati Uniti d’America perse un decennio di sviluppo e non cercò un percorso più compatibile con la sua natura e alla sua società. Tale situazione oggi sembra ormai dimenticata, o forse relativizzata: relegata ad un contesto storico differente, che ai loro occhi sembra ormai passato.
Gli argentini che in questi giorni ho incontrando passeggiando per la città, quelli seduti nei caffè o al parco sorseggiando mate ai quali ho potuto rubare frasi ed espressioni, e i tanti amici con i quali ho dibattuto per ore ed ore su questo tema, mi hanno trasmesso tutta la loro stanchezza e disillusione. Quella stessa Argentina che avevo conosciuto ed amato un anno fa attraverso la città di Rosario e il suo progetto politico socialista-partecipativo, ora mi appare con volto diverso: quello di chi, non sentendosi rappresentato a livello nazionale sceglie di cambiare, comunque, per contrarietà, con sicurezza ma senza convinzione.
Chi ha votato Macri lo dice, si racconta, vuole spiegare le sue ragioni o giustificazioni. Tendenzialmente, il suo discorso inizia con una profonda critica del Kirchnerismo e con vari esempi di vita nei quali i propri diritti sono stati violati o le proprie ali tarpate, per poi arrivare ad esprimere una timida opinione sul nuovo leader: “un imprenditore che saprà dirigere il Paese”, “ha già tanto, ruberà meno”, “in ogni caso, rappresenta un’alternativa”.
Ma poi tale interlocutore, se incalzato, spesso vacilla e con la grande sincerità che ho sempre riconosciuto a questo popolo ammette di aver scelto l’incerto, seppur spesso lontano dal proprio pensiero, al posto di un progetto che certamente ormai non lo rappresentava più.
Ammetto con la stessa onestà che da cittadino argentino avrei a lungo dubitato su quale delle due opzioni scegliere a questo ballottaggio, ma scelgo di spostare l’attenzione su una scelta che questo Paese come molti altri attualmente non ha realmente a disposizione: una sinistra sociale, partecipativa, al passo con i tempi.