“Qui ad Atene noi facciamo così. Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi e, per questo, viene chiamato democrazia. Qui ad Atene noi facciamo così […] Un uomo che non s’interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo ma inutile, e benché in pochi siano in grado di dar vita a una politica, beh, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia”. Non sono le parole di Alexis Tsipras all’indomani della lunga domenica greca che ha consentito al suo governo di evitare il default, ma quelle pronunciate nel “Discorso agli Ateniesi” del 431 a.C. da Pericle, il generale simbolo dell’età dell’oro greca, nell’imminenza della guerra del Peloponneso(che poi vedrà Atene sconfitta).
Queste parole ben si attagliano al sentimento che deve aver guidato le scelte del leader di Syriza verso la “battaglia finale” per evitare la Grexit: meglio dialogare con la Troika, consapevoli del fatto che il popolo greco capirà l’alto valore politico del gesto, anziché far implodere la Grecia e l’Unione Europea in un sol colpo. Una scelta che ha pagato anche l’Italia a suo tempo. A che prezzo però?
I mercati al momento sembrano aver dato ragione all’accordo. Anche perché, come ormai fanno tristemente notare gli analisti e i commentatori politici, ormai sono solo loro i veri protagonisti della politica degli Stati. Ciò nonostante, “la strada sarà lunga, e, a giudicare dai negoziati di stasera, difficile”, ha tuonato il cancelliere tedesco Angela Merkel, con una punta d’irritazione e di sonno arretrato nella voce. A farle da contraltare, come ormai ci ha abituato l’Eliseo, è stato il commento di Francois Hollande: “Abbiamo anche dovuto dimostrare che l’Europa è in grado di risolvere una crisi che ha minacciato la zona euro per diversi anni” ha detto il presidente francese. Sarà, ma lo scenario che si profila davanti a noi sembra piuttosto quello di un Quarto Reich euro-tedesco.
Una settimana fa Berlino e Bruxelles si sono dovute piegare alla democrazia perché, nonostante tutto, “Qui ad Atene noi facciamo così”. Ma l’orgoglio ateniese e lo schiaffo ai diktat tedeschi potevano durare giusto il tempo di capire che bisogna comunque piegarsi alle regole euro-tedesche. “Ci aspettiamo che il Parlamento di Atene approvi tutte le condizioni” anche perché “non esiste un piano B” ha chiosato la Merkel sull’argomento. Il referendum greco brucia ancora agli occhi dei guardiani dell’austerity economica e, secondo alcuni, la soluzione di questa lunga notte di contrattazioni è frutto anche del rancore nei confronti del governo Tsipras, reo di aver schiaffeggiato pubblicamente proprio l’austerity (il cui copyright è notoriamente tedesco) con un “colpo di democrazia”.
Così la pensa anche un premio Nobel per l’Economia come Paul Krugman, che dalle colonne del “New York Times” scrive come le richieste avanzate alla Grecia siano una “follia vendicativa”, una “completa distruzione della sovranità nazionale” e “un grottesco tradimento di tutto quello che significa il progetto europeo” al punto che l’economista immagina “un colpo fatale” inferto al progetto europeo. Il colpevole? “Qualunque cosa voi pensiate di Syriza o della Grecia, non sono stati i greci a darlo”. L’accusa è rivolta alla Germania, ovviamente.
Berlino, come noto, oggi mantiene intatto il proprio inossidabile potere economico sull’eurozona, al punto che il corposo pacchetto di riforme imposto alla Grecia non soltanto dovrà essere approvato dal parlamento greco entro tre giorni, ma sarà sottoposto anche all’accettazione e al controllo sistematico dei creditori, ovvero la Troika, dietro cui si celano i mastini burocratici che tanto piacciono al ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schauble, autore di uno scontro verbale persino contro il serafico e pacatissimo capo della BCE, Mario Draghi.
Atene ha certo responsabilità gigantesche in questa storia: ha falsificato i bilanci dello Stato, ha mantenuto un sistema di spesa pubblica allegra, ha creato mostri come le baby pensioni, ha permesso un’evasione fiscale colossale e offerto una spregiudicata protezione fiscale agli armatori greci, tutelati persino in Costituzione. E l’Unione Europea ha ragione nel volersi tutelare e nel puntare a sopravvivere. Ma è altrettanto vero che Berlino, pur nel recinto dell’Unione Europea, agisce con una tecnica finanziaria così aggressiva e tracotante, che ormai ha superato la sovranità stessa degli Stati e la politica “tout court”.
Il cancelliere Merkel e il suo ministro Schauble sembrano essersi impossessati delle istituzioni europee e mirano evidentemente a una cessione di sovranità da parte dei popoli degli Stati membri, in favore di organismi tecnici gestiti da Berlino con l’appoggio dei suoi ex alleati della Seconda Guerra Mondiale. L’Italia e Silvio Berlusconi, destinatario di una lettera ultimativa della Troika, lo ricorderanno di certo
.
Tutto questo potrebbe non portare l’Europa al disastro, ma di certo potrebbe condurre verso il Quarto Reich euro-tedesco. E la storia insegna che ogni volta che la Germania si affaccia nella geopolitica superando il recinto dei confini nazionali per diluirsi in quello europeo, crea disastri. Ma, attenzione, guai a dire che ciò che fanno i tedeschi oggi è sbagliato in assoluto: se c’è una colpa, quella non è di Berlino, ma di tutti noi che glielo permettiamo.
Argomenti: unione europea