Orrore. E’ la reazione immediata e viscerale di fronte all’oscenità dell’uccisione del reporter James Foley. Ma dopo lo shock iniziale, come già segnalato da alcuni giornali, il video provoca una serie di considerazioni, a mio avviso estremamente importanti, non solo sulla guerra tra jihadisti e filoccidentali, ma sulla nuova frontiera della spettacolarizzazione della violenza e sull’ inutile tentativo di censura che a mio parere rischia di uccidere Foley una seconda volta.
E’ pressoché assodato che il boia di Foley sia un cittadino britannico, con accento cockney, e che appartenga alla moltitudine (vedi anche i killer di Bruxelles) di giovani occidentali (europei e non) di fede mussulmana che praticano prima in Siria e adesso anche in Irak, la guerra-vacanza, come un cruento pellegrinaggio per testimoniare la propria fede alla causa jihadista. Non a caso nel suo breve quanto odioso discorso prima di tagliare la testa alla sua vittima inginocchiata e inerme, il boia invita combattenti da tutto il mondo a unirsi, con mogli e figli, ai gloriosi combattenti dell’Isis. Esclusi dalla ristretta cerchia qaedista, che non accetta occidentali nelle proprie file, hanno trovato nelle brigate di Jabhat al-Nusra, comandate da Abu Bakr al-Baghdadi, autoproclamatosi Califfo dell’Isil, lo Stato che controlla la zona occidentale dell’Irak e la parte nordorientale della Siria, un grande sponsor. Non è chiaro quanti siano questi combattenti della domenica, che a quanto pare sono molto più feroci dei loro compagni locali, ma il fatto stesso che i vertici dell’Isis abbiano deciso di affidare ad uno di questi il rito osceno del taglio della testa, ed inoltre di fargli sfoggiare il suo perfetto accento britannico, è significativo di una comunicazione diretta all’Occidente, sia verso il nemico Obama che viene chiamato in causa, ma anche in modo subliminale verso tutti quei giovani ‘martiri’ che vivono in occidente e che simpatizzano con la causa jihadista.
Che dietro a questo video ci sia una regia attenta non solo al casting del boia, ma a tutti i dettagli è fuori discussione. In effetti non c’è confronto con i video dei precedenti ammazzamenti compiuti in Irak negli anni passati. E’ come se da una produzione amatoriale si sia passati ad una produzione di respiro internazionale, con scelta accurata di una location ‘open air’, di costumi simbolici per i due attori, uno in ginocchio e l’altro in piedi dietro di lui, di un montaggio sapiente che mette insieme un prologo con il discorso di Barack Obama che annuncia l’intervento in Iraq seguito da una ‘risposta all’America’ che viene pronunciata con voce ferma e rassegnata dalla vittima che come da copione accusa l’America come suo «vero carnefice», per chiudere con una affermazione dal tragico risvolto «avrei voluto non essere americano». Il coltello appare solo in un secondo momento, e lo sgozzamento vero e proprio è stato tagliato per una strana forma di autocensura, che se da una parte scontenta i militanti, dall’altra conferma la strategia di diffusione globale del video che ciò nonostante dopo meno di 24 ore, su richiesta della Casa Bianca è stato bloccato da Youtube e Twitter, e dalle principali testate giornalistiche internazionali per non dare ai carnefici lo spazio che accuratamente si sono preparati, e permettergli di farsi propaganda pubblicizzando i loro crimini efferati.
Ma è lecito censurare la realtà, anche quando è così spaventosa? Non si rischia di compiere l’ennesimo errore cercando di nascondere dietro ad un dito una guerra che sta divorando migliaia di vite ogni giorno? Foley, il nostro tragico eroe morto con la schiena dritta e con la voce ferma di fronte al suo infame boia londinese, non avrebbe approvato. Lui che faceva con passione il videoreporter nelle zone di guerra, rischiando consapevolmente la vita per mostrare le sofferenze delle popolazioni vittime, come per un tragico destino sarebbe toccato anche a lui, delle violenze. Foley tra l’altro è uno dei cameraman di E-Team – documentario diretto da Ross Kauffman e Kate Chevigny, vincitore del premio ‘cinematografia’ all’ultimo Sundance Film Festival. E-Team racconta il lavoro del team Emergenze di Human Rights Watch nelle aree più martoriate di Libia e Siria., per documentare le atrocità subite dalle popolazioni locali e gli orrori di queste guerre fratricide. Raccogliendo sul campo le prove evidenti di crimini, per non farle passare sotto silenzio.