Mogherini sulla Russia: ma le sanzioni servono?
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Mogherini sulla Russia: ma le sanzioni servono?

Le cautele della ministra si rivelano più che giustificate: uno studio del Brookings institute dimostra che la strategia contro Mosca non ha possibilità di successo.

Mogherini sulla Russia: ma le sanzioni servono?
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30 Luglio 2014 - 15.55


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Durante la sua visita a Sarajevo, il ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini ha annunciato che, in qualità di presidente di turno dell’UE, l’Italia ha proposto ai membri dell’Unione un pacchetto di misure atte a inasprire le sanzioni attuate contro la Russia. Le nuove sanzioni, che includono il bando a viaggiare nell’UE e il congelamento dei conti e attività nell’Unione, estendono quelle già operative contro 72 individui e 2 società ad altre 15 persone, tra cui alcuni alti ufficiali del Servizio di Sicurezza Federale (FSB), e 18 entità, tra cui alcuni gruppi separatisti della Repubblica Popolare di Luhansk e della Repubblica Popolare di Donetsk e alcune società con sede in Crimea.

L’estensione delle sanzioni viene considerata negli ambienti diplomatici europei come un ulteriore passo verso il progressivo inasprimento dei provvedimenti economici contro la Federazione Russa. In un documento fatto circolare tra gli ambasciatori UE vengono descritti i prossimi passi della strategia di pressione sul presidente russo Vladimir Putin. La UE avrebbe previsto restrizioni agli scambi commerciali e agli investimenti reali e finanziari in Russia, la proibizione della quotazione e la negoziazione dei titoli finanziari e valutari sulle borse europee, restrizioni sul commercio di armi e tecnologie militari e per esplorazioni petrolifere non convenzionali.

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In alcuni recenti studi il “Brookings” Institute, uno dei più vecchi e ascoltati “think-tank” non partiasn con sede a Washington D.C., afferma che la soluzione della crisi in Ucraina è molto più difficile di quanto si ritenga e che la strategia di piegare la Russia con metodi simili a quelli impiegati per l’Iran, cioè con un’escalation di sanzioni che culminino nell’embargo, è destinata al fallimento.

Rimandando l’approfondimento degli effetti economici prodotti da un potenziale embargo contro la federazione Russa al prossimo numero del nostro mensile, le analisi del Brookings Institute sono estremamente chiare.L’Ucraina è un Paese in recessione dal 2012. Il suo debito estero (80% del PIL), che ha prosciugato le riserve valutarie, viaggia sui 13 miliardi di dollari quest’anno e il Paese ha altri 16 miliardi di debito in scadenza nel 2015. La crisi in cui è precipitata Kiev è testimoniata dalle dimissioni del primo ministro Arseniy Yatsenyuk, che nel condannare il mancato sostegno alle sue riforme di due partiti della coalizione al governo, ha dichiarato che non ci sono più i soldi per pagare l’esercito e gli stipendi dei dipendenti pubblici.

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Quindi, dal momento che la Russia ha congelato il piano di aiuti da 15 miliardi, gli Stati Uniti dovranno subito concedere il prestito di 1 miliardo promesso, il FMI dovrà attivare il prestito da 17 miliardi di cui si parla da tempo e la Commissione Europea stanziarne altrettanti, per evitare il default dell’Ucraina e tutte le indesiderate e imponderabili conseguenze del caso.  

La Russia poi non è l’Iran. Circa l’effetto delle sanzioni economiche e del probabile embargo nei confronti della Federazione Russa, tutti gli analisti concordano nel ritenere che queste sicuramente produrranno effetti negativi sull’economia russa. tuttavia i danni prodotti anche da un embargo non si ritiene siano sufficienti a modificare l’atteggiamento di Mosca verso l’Ucraina.

Il “Brookings Institute” ricorda che il valore delle esportazioni russe di petrolio e gas è oggi 7 volte quello del 1993 e nello stesso anno il debito estero era di 10 volte le riserve valutarie , mentre oggi la Russia ha un debito estero e verso istituzioni sovranazionali irrisorio e riserve valutarie per oltre 300 miliardi di dollari. Il “Brookings Institute”sottolinea infine che l’Iran produceva 2,5 milioni di barili di petrolio al giorno mentre la Russia oggi ne produce il triplo e, diversamente da allora, l’OPEC non sarebbe in grado di bilanciare un taglio di produzione di tale entità determinando così uno shock sul prezzo che potrebbe crescere anche di 80 dollari al barile.

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Perché non è da scartare la strada del dialogo?Il ministro degli Esteri Mogherini ha ricevuto molte critiche da alcuni Paesi membri dell’UE, in primo luogo dai rappresentanti degli Stati Baltici, per non essersi dimostrata sufficientemente determinata nel proporre sanzioni economiche contro la Federazione Russa e aver indugiato nella ricerca del dialogo per un ragionevole compromesso con il presidente Putin. Come visto, l’idea di spingere la Russia alle corde in una condizione simile a quella del 1993 non ha alcuna possibilità di realizzarsi e forse la strategia del dialogo non è così incauta e disprezzabile come alcuni avventati commentatori hanno ritenuto.

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