Il lato oscuro delle proteste in Egitto: le vittime sono le donne
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Il lato oscuro delle proteste in Egitto: le vittime sono le donne

Aggressioni, stupri, umiliazioni di ogni genere. Nei tre anni di altalena tra governi e transizioni, questi reati non hanno mai avuto colpevoli. [Sara Lucaroni]

Il lato oscuro delle proteste in Egitto: le vittime sono le donne
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17 Aprile 2014 - 11.32


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di Sara Lucaroni

Fin dalle prime settimane di proteste che nel 2011 hanno portato alla caduta del presidente Mubarak, le donne accorse in piazza Tahrir hanno voluto essere protagoniste del risveglio democratico. Ma le numerose aggressioni di natura sessuale non hanno mai cessato di impedire la loro piena partecipazione alla transizione politica del paese.

 
Niente è cambiato con il passaggio dei poteri al Consiglio Supremo delle Forze Armate, che nei 16 mesi successivi alla fine del regime, ha lasciato che le manifestazioni fossero lo scenario ideale per compiere stupri e violenze, perpetrate anche dalla polizia e dagli stessi militari. Un esempio emblematico della discriminazione e delle torture nei confronti delle manifestanti è stato il “test di verginità” cui sono state costrette dopo gli arresti durante i disordini, voluto col benestare dell’allora generale Al Sisi, oggi candidato favorito alle elezioni presidenziali.

Con l’avvento del governo di Mohamed Morsi, nel giugno 2012, le aggressioni sono proseguite. Tra gli episodi più noti, l’attacco contro i manifestanti pro-Morsi del 16 agosto 2013 alla moschea di Al-Tawheed, durante il quale più di 20 donne furono aggredite da chi poi si difese definendole “prostitute venute per farsi baciare”. Ma il dato più grave è che a marzo 2014, nei tre anni di altalena tra governi e transizioni, questi reati non hanno mai avuto colpevoli.

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Lo rileva la International Federation for Human Rights, che al Cairo ha presentato una lunga relazione sulle violenze sessuali in Egitto, aumentate con l’instabilità politica, dal 2011 ad oggi. Sono 250 i casi documentati, tra cui anche stupri, avvenuti nelle piazze della protesta tra il novembre 2012 e il luglio 2013, in un paese in cui secondo i dati di uno studio di UN Women pubblicato nel 2013, il 99,3% delle donne ha dichiarato di aver subìto abusi sessuali e il 91% di non sentirsi al sicuro in strada. Durante le manifestazioni “le vittime e i testimoni hanno raccontato la stessa scena: un gruppo di uomini circonda la vittima, le strappano i vestiti e cominciano a palpeggiarla – spiega il rapporto. Alcune sono state stuprate dagli aggressori, che spesso sono armati con bastoni, coltelli o altre armi”.

Solo la pratica della denuncia è stata in grado di dare la misura di un fenomeno tanto diffuso nella società egiziana da rivelarsi una vera piaga sociale. Le donne hanno piena libertà di movimento, le molestie avvengono nei luoghi di lavoro, nelle scuole o in strada, dove i casi  aumentano durante le feste religiose. Nella maggior parte degli episodi, non vengono aperte neppure le indagini. Il rapporto raccoglie una lunga lista di denunce di casi di violenza, raccolte da operatori di organizzazioni internazionali e funzionari governativi  al Cairo,  Port Said e Alessandria, e spiega che spesso autorità e comunità ritiene le donne colpevoli di questi episodi.

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La nuova Costituzione, adottata nel gennaio 2014, contiene per la prima volta una disposizione contro la violenza sulle donne. Ma il rischio è che rimanga sulla carta: “Dovrebbe esserci la volontà politica di riformare il sistema giudiziario per eliminare tutte le forme di discriminazione contro le donne nella legge e nella pratica- conclude il rapporto. Ci dovrebbe essere una condanna pubblica della violenza da parte di tutti i leader politici e religiosi”.

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