Da Gerusalemme
Francesca MarrettaSe i negoziati sul nucleare iraniano in corso a Ginevra si concluderanno con un nulla di fatto non ci sono dubbi su chi sarà il primo a festeggiare: Bibi Netanyahu.
Il premier israeliano non passa sopra a quello che vede come un grande tradimento dell’Amministrazione americana. A questo si aggiungano le reazioni blande di paesi considerati amici all’ultimo attacco verbale della guida spirituale della Repubblica Islamica, Ayatollah Khamenei, contro Israele definito il “cane rabbioso” della Regione.
Un insulto che si aggiunge all’ingiuria. Netanyahu è furioso. La comunanza di vedute con Hollande sul file iraniano lo consola – Parigi ha bloccato un accordo al prevedente round di colloqui a Ginevra – ma fino a un certo punto.
E’ chiaro che un accordo con l’Iran sul nucleare che apra la strada a tutto un mondo nuovo per investimenti, scambi e stabilità nel Golfo Persico, è notevolmente più significativo per la comunità internazionale che i mal di pancia di Netanyahu. Se è vero che la retorica anti-israeliana persiste tra i conservatori iraniani, è anche vero che l’Iran di Rohani ha mostrato aperture senza precedenti verso l’occidente e questo conta. C’è chi lo riconosce anche in Israele, non solo organizzazioni pacifiste come Gush Salom, ma anche l’ex Premier Ehud Olmert, che ha dichiarato pochi giorni fa: “Se l’Iran è serio perchè non concludere questo conflitto con un accordo invece che con l’uso della forza?”
Piuttosto che rinunciare all’ipotesi di bombardare i siti nucleari iraniani, Netanyahu arretra davanti alla prospettiva di incrinare i già non calorosi rapporti con l’attuale amministrazione americana. Il Segretario di Sato Kerry ha rimandato la nuova visita in Israele che avrebbe presi il via venerdì sera. “Se non affrontiamo gli Stati Uniti su questo punto (il nucleare iraniano, ndr.), su cos’altro dobbiamo affrontarli?” ha dichiarato Bibi, come riporta il quotidiano Ha’aretz in edicola oggi (venerdì).
I colloqui di Ginevra vanno avanti nonostante sia noto a tutti che acclamando Khamenei le milizie Basij urlassero “morte agli Usa” e “morte a Israele”. Questo elemento passa in secondo piano come aspetto quasi coreografico, un rituale di forma, più che di sostanza per un regime che non può sopravvivere a sè stesso nelle condizioni socio-economiche, ma anche politiche in cui si trova. E’ per questo del resto che Rohani ha corso per le elezioni e le ha vinte. Sei o sette miliardi di dollari di sconto all’Iran se le sanzioni satanno ridotte sono una bella cifra per diventare ragionevoli. Non è però detto che questo accada durante l’attuale round di negoziati. Netanyahu pensa invece che quella dell’Iran sia una manovra per fregare tutti e procurarsi armi atomiche sotto il naso di ingenui partner ritrovati.
Sentendosi con le spalle al muro Netanyahu dice chiaramente che “un cattivo accordo” – leggi qualunque accordo sul nucleare iraniano – non obbliga Israele in alcun modo. Tradotto significa che, ritenendolo opportuno, di fronte al sospetto di approvigionamento di armi atomiche, l’attuale governo israeliano andrebbe avanti per conto proprio (colpendo i siti sospetti), anche a costo di scontrarsi con gli Usa. Il vero Iran, dice Bibi, non è quello della propaganda del Ministro degli Esteri Zarif, che parla di un futuro di pace, ma quello di Khamenei che vuole la fine di Israele.
“L’Iran non avrà l’arma nucleare” non fa che ripetere Netanyahu, incapace di vedere il quadro di prospettiva che la speranza di dialogo tra Occidente e paesi alleati e l’Iran può portare nella Regione di cui Israele fa parte. L’alternativa è un futuro che mette in conto la guerra. L’Iran ha capito forse di non potersela permettere. Netanyahu la pensa diversamente. Eppure gli israeliani, come i persiani e gli arabi, ne hanno avuto abbastanza di vivere nel conflitto. Meritano probabilmente leader migliori.
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