Parole da decifrare quelle del premier israeliano Netanyahu. Per lui il fatto che l’Europa non estenda le intese con Israele alle colonie “ebraiche” in Cisgiordania implica una indebita ingerenza nella definizione dei confini dello Stato d’Israele. Ma Netanyahu sa benissimo che non è così.
Al premier non sfugge infatti che Israele esiste dal 1948, e che i suoi “confini” del tempo sono stati modificati dalla guerra del ’67. Per quanto riguarda la comunità internazionale questi nuovi confini, detti appunto del ’67, sono stati un punto di riferimento per molti, e da ultimo anche per chi, come il governo dell’Iran, si ostina a negare il diritto di Israele a esistere. Votando infatti per il riconoscimento dello Stato di Palestina quale osservatore permanente all’Onu, anche il governo di Tehran, come purtroppo poco rilevato, ha detto di sì a uno stato palestinese, ma nei confini del ’67. Con buona pace di chi nel mondo si ostina a negare il diritto di Israele a esistere e quindi a solidarizzare con gli antisemiti di Khameney e compagni.
Ma anche Israele ha riconosciuto che le colonie non fanno parte di Israele. Ad eccezione di Gerusalemme, vero oggetto di disputa con i palestinesi, nel 1993 lo stato di Israele e l’Olp hanno firmato un accordo, i famosi accordi di Oslo, che dividendo Cisgiordania e Gaza in tre aree, A, B e C, riconosce a quei territori, definiti dai confini del ’67 e con unica eccezione Gerusalemme, la condizione di non appartenenza a ciò che è “Israel proper”. Dunque se questo non è appartenere a un altro Stato, di certo è non appartenere allo Stato di Israele. O no?
Gli accordi di Oslo sono finiti nel dimenticatoio, ma i giochi senza frontiere non li cancellano.
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