Israele, governo: Netanyahu corre contro il tempo
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Israele, governo: Netanyahu corre contro il tempo

Contrasti ritardano l'annuncio del nuovo governo ultranazionalista, senza religiosi ortodossi e, più di tutto, ben poco interessato ad un accordo con i palestinesi.

Israele, governo: Netanyahu corre contro il tempo
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12 Marzo 2013 - 20.30


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di Roberto Prinzi

A cinque giorni dal termine per la formazione del trentatreesimo governo d’Israele, le incognite sono ancora molte. Le trattative tra i partiti sono frenetiche e dovrebbero concludersi tra oggi e domani. Le concitate ore politiche che si vivono in Israele sono la logica conclusione di un mese e mezzo post elettorale dai toni incandescenti.

Chi pensava che i problemi del Premier uscente Netanyahu sarebbero terminati con la vittoria (di Pirro) del suo Likud-Beitenu nelle legislative del 22 Gennaio si sbagliava di grosso. Bibi, infatti, ha dovuto destreggiarsi tra le richieste politiche (e di poltrona) del “fenomeno” Lapid (la “sorpresa” delle elezioni con 19 seggi), e dell'”astro nascente” Bennet di Casa Ebraica e ha provato a placare la furia degli ultraortodossi. Nonostante le difficoltà, con la scaltrezza e l’ambiguità che da sempre lo contraddistinguono, sembra esserne uscito bene conservando i dicasteri più importanti e conseguendo un’importante vittoria con l’ingresso dell’HaTnu’a di Livni nel suo terzo governo. I problemi del leader del Likud sono nati in primo luogo dal dato negativo delle elezioni: la sua unione con Yisrael Beitenu del Ministro degli Esteri uscente Liberman non ha portato i frutti sperati: solo 31 seggi a fronte dei 42 della scorsa tornata elettorale del 2009. Un numero troppo esiguo per poter imporre il suo governo ideale: un esecutivo di destra, largo il più possibile e stabile nella misura in cui nessun partito avrebbe avuto il potere di veto e di ricattare il Premier su specifiche questioni. Netanyahu ha provato a coinvolgere quasi tutto lo spettro politico israeliano (escludendo chiaramente i “partiti arabi”) corteggiando perfino gli acerrimi “nemici” laburisti di Yechimovitch i quali però, a più riprese, hanno declinato le sue offerte.


L’ingresso di Livni

Malgrado le difficoltà e l’ostracismo di molti parlamentari, Bibi a metà Febbraio incassava un importante successo: il sì di Livni ad entrare nel suo governo di coalizione. In base agli accordi tra i due, la leader di HaTnu’a sarà il prossimo Ministro di Giustizia, membro del Gabinetto del Primo Ministro ma, soprattutto, presiederà le negoziazioni con i palestinesi nei futuri “accordi di pace” la cui approvazione, però, spetterà solo al governo. «Due mesi e mezzo fa io e miei colleghi abbiamo formato HaTnu’a, e ci siamo impegnati a lottare per un accordo diplomatico [con i palestinesi] sebbene questo non ripaghi in termini elettorali. Ora ho il potere necessario per risolvere il conflitto con i palestinesi» ha affermato quando ha reso pubblica la sua alleanza con l’ex rivale. «Il tema diplomatico è al centro delle nostre vite» ha chiosato «Hamas controlla Gaza e vuole prendersi la Cisgiordania. Questo significherebbe la perdita dell’identità ebraica dello stato d’Israele».

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L’inserimento di Livni nel prossimo governo Netanyahu è un affare per entrambi. La prima, infatti, avrà un importante ruolo che giustificherà agli occhi dei suoi elettori la scelta di prendere parte ad un governo di destra che aveva “combattuto” solo un mese prima. Per il leader del Likud, invece, l’importanza dell’ingresso di HaTnu’a va al di là del numero dei seggi (che infatti sono solo 6). La presenza di Livni serve a far apparire moderato il suo governo agli occhi degli statunitensi e soprattutto dell’Unione Europea. Nelle ultime elezioni, il Premier ha perso sia Ehud Barak (che si è ritirato dalla politica) che Dan Meridor (escluso nelle primarie del Likud) restando così senza un buon contatto con la comunità internazionale e, in particolare, con Washington. Livni è ben vista dall’amministrazione USA ed è considerata una “colomba” in Europa. Insomma l’ideale per Netanyahu che continuerà, magari con più lentezza, la costruzione illegale di colonie nella Cisgiordania, non offrirà alcuna concreta soluzione di pace ai “nemici arabi” e ripeterà davanti ai suoi alleati occidentali il mantra israeliano «non abbiamo partner».


L’alleanza Casa Ebraica e Yesh Atid: l’esclusione degli ultraortodossi

Incassata la vittoria importante (ma prevedibile) con Livni, Bibi ha dovuto fronteggiare la grana rappresentata dal patto tra la Casa Ebraica e Yesh ‘Atid. Grattacapo di non facile soluzione che a lungo ha impegnato il premier. Infatti i due partiti, guidati rispettivamente da Bennet e Lapid, hanno scelto di entrare nel futuro governo solo se insieme ed una loro esclusione non gli avrebbe permesso di formare il governo. Infatti sommando i 31 seggi del Likud-Beitenu, i 6 dell'”acquisto” Livni, i due di Kadima, gli 11 di Shas (ultraortodossi sefarditi) e Giudaismo della Torà (espressione dell’ortodossia ebraica ashkenazita) si arriva solo a 57 seggi su 120 totali della Knesset. Si pensi solo che sarebbe bastata un’alleanza Likud-Beitenu con Yesh ‘Atid e Casa Ebraica per raggiungere quota 62 che è il numero minimo per formare un governo.

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A complicare il quadro e ad inasprire i toni è il tema dell'”Uguaglianza degli oneri” punto centrale del partito di Lapid e sostenuto anche dai nazionalisti religiosi di Bennet. Con questa formula si intende l’arruolamento degli ultraortodossi nell’esercito e l’attacco ad alcuni privilegi che i religiosi hanno da sempre avuto sin dalla fondazione d’Israele. Gli ultraortodossi di Shas e di Giudaismo della Torà ovviamente si oppongono con forza a questa riforma giudicata «secolarista» e parlano di «boicottaggio di un’intera fetta della popolazione tradizionalista israeliana». Dunque l’attuale governo includerà obbligatoriamente Lapid e Bennet ed escluderà gli ultraortodossi (in ebraico haredim, estromessi dal governo l’ultima volta nel 2003 durante il secondo governo Sharon). La reazione inferocita degli haredim non si è fatta attendere. Da giorni Yishai e Der’i (numero due di Shas) attaccano aspramente il Premier sui loro account Facebook. Il leader di Shas si è spinto a dire che «il governo durerà meno di due anni» e che è «frutto dei capricci di Lapid e Bennet». La loro rabbia nei confronti di Netanyahu si è palesata anche ieri quando Shas e Giudaismo della Torà hanno disertato l’ultima riunione del governo uscente.


Assegnazione dei Ministeri

Ma se appare ora certa la coalizione, restano ancora diversi dubbi su chi dirigerà alcuni dicasteri. Il Likud-Beitenu ne conserverà la maggior parte assicurandosi quello degli Esteri (andrà a Liberman ma in attesa del suo processo sarà diretto da Netanyahu), quello della Sicurezza (affidato a Moshe “Buji” Ya’alon), quello dell’Immigrazione (a Sofa Landver), quello dei Trasporti (confermato Israel Katz), quello dell’Agricoltura (a Fania Kirshenbaum per la prima volta Ministro).

La scelta di Limor Livnat a capo del Ministero della Scienza e Tecnologia ha fatto imbufalire la collega di partito Tzipi Hotovely, prima donna nelle liste del Likud dopo il voto alle Primarie. «Secondo me è un errore. La gente, alla fine, guarda le liste [ottenute con le elezioni interne di partito] e dirà: se il governo non rinnova le facce perché siamo andati a votare alle Primarie?». Dicasteri ormai assegnati sono anche quelli dell’Industria, Commercio e Lavoro (a Bennet), Giustizia (Livni) e Ambiente (a Peretz o Mitzna’ entrambi di HaTnu’a). A Casa Ebraica spetterà anche quello dell’Abitazione (ad Uri Ariel), degli Affari religiosi (ad Eli Ben Dahan), e di Gerusalemme (Uri Orvach). Ancora poco chiaro è il numero dei Dicasteri che spetteranno a Yesh ‘Atid perché quelli “in bilico” sono proprio quelli dove a contendersi lo scettro sono i suoi esponenti.

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Se è sicuro quello del Tesoro (che andrà a Lapid) è bagarre per quello degli Interni tra tre parlamentari: due di Yesh ‘Atid (Meir Cohen e German) mentre il terzo è il Ministro dell’Istruzione uscente Gideon Sa’ar di Likud-Beitenu. Quest’ultimo potrebbe però essere riconfermato all’Istruzione (l’altro candidato qui è Piron di Yesh ‘Atid). Battaglie aperte anche per il Ministero del Welfare (tra Mofaz e Piron qualora quest’ultimo non diventi Ministro dell’Istruzione), della Salute e per lo Sviluppo del Negev e della Galilea. Ma la scelta di un nome piuttosto che di un altro e l’esclusione degli ultraortodossi dalla coalizione non modificheranno la sostanza delle cose. L’esecutivo che dirigerà Israele, che presterà giuramento con ogni probabilità mercoledì, sarà di estrema destra. A renderlo più esplicito, qualora ci fosse ancora bisogno di una dimostrazione, è stata la volontà delle ultime ore di Netanyahu di non appoggiare la candidatura del “moderato” Rivlin alla carica di Presidente della Knesset. Sarà un governo che strizzerà gli occhi ai coloni con Livni e Lapid a fare da “foglie di fico” per i partner internazionali.

Una diciannovesima Knesset dove i “partiti arabi” (11 seggi) non avranno, come sempre, alcuna voce in capitolo. Dove l'”Opposizione” alla Destra sarà rappresentata dai laburisti (salvo accordi futuri sottobanco) e da Meretz (sinistra sionista) che con i loro 21 parlamentari sono troppo deboli per scalfire la maggioranza della Destra. L’ultraortodosso Yishai ha promesso che la sua sarà un’«Opposizione combattiva». Bibi avrà sorriso ascoltandolo: non erano state queste le parole ripetute da Livni, Lapid, Mofaz (ora suoi alleati) durante la campagna elettorale del “blocco di centro” di solo un mese e mezzo fa?

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