Governare la Cina al tempo di Internet
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Governare la Cina al tempo di Internet

L'accesso diffuso alla Rete cambia le dinamiche del potere in Cina. Nuovi spazi per eludere la censura. Ma il governo usa il web per controllare e manipolare. [Laura De Giorgi]

Governare la Cina al tempo di Internet
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31 Ottobre 2012 - 15.02


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di Laura De Giorgi

Gli utenti di Internet in Cina costituiscono la più ampia comunità nazionale di netizens al mondo: secondo i dati ufficiali per il 2010 raccolti dal China Internet Network Information Center, sono ormai 420 milioni, in pratica ormai quasi uno su tre fra i cittadini della Repubblica Popolare Cinese.
Pur considerando il digital gap che separa le aree urbane da quelle rurali delle province interne, accedere alla rete è divenuta un’abitudine trasversale alle classi sociali, soprattutto nelle città.

L’accesso alla rete, anche con i dispositivi mobili, permette a milioni di persone, in prevalenza giovani fino 30 anni, di informare e informarsi, divertirsi, contattare gli amici, fare affari, comprare beni e servizi, studiare e lavorare, raccontarsi, dibattere ed esprimere opinioni. Questo risultato è di fatto dovuto anche ai massicci investimenti nel settore voluti dallo stesso governo cinese negli ultimi venti anni, a seguito di una strategia di sviluppo che ha riservato all’informatizzazione e alle telecomunicazioni in genere una posizione privilegiata di motore fondamentale sul piano economico e sociale. Un progetto portato avanti in un sistema politico autoritario ancora imperniato intorno al dogma del partito unico, e nel quale le violazioni della libertà di stampa ed espressione, pur formalmente garantite dalla stessa Costituzione, rimangono un elemento imprescindibile dell’esercizio del potere da parte del Partito Comunista Cinese.

Dalla fine degli anni Novanta, la diffusione dell’uso di Internet nella Repubblica Popolare Cinese ha sollevato, agli occhi di molti osservatori molte aspettative sulla possibilità che questa avrebbe offerto non solo per indebolire definitivamente il rigido controllo esercitato dal governo e dal partito sulla circolazione di informazioni e sul dibattito pubblico, ma anche per permettere l’emergere di nuove forme di aggregazione civica e di partecipazione dei cittadini agli affari pubblici, premessa per l’evoluzione democratica del sistema politico cinese.

Questo è in parte avvenuto, di certo, perché la rete costituisce ormai un canale fondamentale di informazione. Inoltre in più di un’occasione i netizens cinesi hanno dimostrato una considerevole capacità di mobilitazione e sono stati in grado di influenzare l’agenda dei media tradizionali e finanche l’azione di governo: diversi scandali, da quello dei ragazzini e disabili rapiti per lavorare nelle fornaci clandestine, a quello di alcune vittime per mano della polizia durante la detenzione amministrativa, a quelli di adulterazione o inquinamento sono stati portati alla luce e imposti all’attenzione delle autorità grazie alla rete. Se esiste in Cina un’opinione pubblica attiva e consapevole, questa deve essere senza dubbio identificata nella comunità della rete.

L’altra faccia di questo processo è rappresentato dalla crescente – e riconosciuta – capacità del governo della RPC non soltanto di esercitare un controllo censorio su Internet, ma anche di occupare, manipolare e attivarsi per volgere a proprio favore gli spazi di informazione, confronto e partecipazione offerti dalla nuova tecnologia. Certamente, il governo cinese dispone di un sistema di censura della rete sofisticato ed efficace. Nondimeno, l’atteggiamento del governo cinese nei confronti della rete è indubbiamente più complesso.

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Da un lato è di fatto tollerato che attraverso Internet trovino espressione interessi, istanze e proteste purché queste manifestazioni rimangano localizzate e mirate, e dunque facilmente riconducibili a singoli casi: un elemento che fa sì che molti cittadini cinesi percepiscano la rete come uno spazio di informazione e dibattito tutto sommato libero e pluralista, incomparabilmente più aperto dei media tradizionali. Dall’altro, anche attraverso l’implementazione dell’e-government, che rappresenta un obiettivo significativo nell’agenda governativa, il PCC al potere ha individuato nelle nuove tecnologie uno strumento fondamentale non solo per il miglioramento dell’efficacia dell’azione di governo, ma anche per la costruzione del consenso e l’integrazione di nuovi attori nel processo di governance del paese.

Ad esempio, il governo cinese ha messo sotto controllo lo sviluppo del web 2.0 e dei social network globali come Facebook e Twitter, da qualche anno vietati in Cina, guardando con favore invece le iniziative, anche private, per la creazione e la diffusione di piattaforme alternative in lingua cinese, in grado di soddisfare la domanda degli utenti ma anche di permettere un maggiore controllo sul dibattito pubblico, quali social network come Renren e Kaixin, microblogs come Sina Weibo, siti di condivisione video come Youku.

Lo sviluppo di Internet, in breve, ha aperto nuove sfide per il Partito Comunista Cinese sul piano del controllo politico, ma al tempo stesso ha offerto nuove prospettive e opportunità di intervento nel processo di formazione e manipolazione dell’opinione pubblica, nella prospettiva della costruzione di quella «società armoniosa» che costituisce il perno della visione ideologica dell’attuale dirigenza.
La censura rappresenta senza dubbio l’elemento che più caratterizza l’immagine dello sviluppo di Internet in Cina agli occhi degli osservatori esterni. Dal punto di vista ufficiale, il controllo è giustificato essenzialmente in termini di legalità e moralità. Le campagne contro la pornografia in rete costituiscono, da più di un decennio, il pretesto più usuale per giustificare l’intensificazione delle attività di repressione, per quanto i temi della privacy e soprattutto della tendenziosità e della falsità di quanto circola attraverso la rete stiano assumendo di recente una maggiore importanza di fronte al grande successo del web 2.0.

L’impegno del governo cinese per la censura è stato massiccio fin dalla grande espansione della rete alla fine degli anni Novanta. Il cosiddetto great firewall rappresenta il filtro tecnologico fondamentale che impedisce l’accesso a molti siti web, e blocca la ricerca di termini sensibili, elencati in una lista nera continuamente aggiornata all’attualità: lista che include quanto riguarda le aree geografiche politicamente più critiche, come il Xinjiang e il Tibet, e tutti gli eventi, i nomi di persone e luoghi, le organizzazioni ritenute pericolose per il mantenimento dell’ordine politico e sociale. La censura, d’altronde, viene in parte aggirata non solo grazie a soluzioni tecniche, ma anche attraverso una guerriglia linguistica e semantica: ad esempio attraverso l’uso ironico e sovversivo del linguaggio ufficiale facilitato dalle caratteristiche peculiari della lingua scritta cinese, nella quale una frase o un’espressione vietata può facilmente riproporsi in altra forma grafica, con un altro apparente significato, ma una pronuncia simile, in un gioco di richiami ed evocazioni che, incomprensibili a un estraneo, sono invece evidenti per chi sa leggere fra le righe e appartiene alla comunità dei netizens.

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D’altronde, la censura si rivela impossibile se non è accompagnata dal controllo amministrativo e fisico delle persone e delle organizzazioni che sviluppano e utilizzano la rete, nonché da una serie di dispositivi – come la registrazione degli utenti – che permettono la messa in atto di quello che è il vero strumento di controllo dell’opinione pubblica in regimi come quello cinese, cioè l’autocensura. Parcellizzate fra diversi enti e istituzioni, quali l’Ufficio per l’Informazione del Consiglio degli Affari di Stato, o il Ministero per l’Industria Informatica, le attività di controllo non sono sempre state efficaci proprio per i conflitti di interesse – burocratici ed economici – impliciti fra i molteplici attori coinvolti. E in tal senso, può essere letta come un’ammissione di difficoltà la decisione recente, presa dalle autorità centrali, di istituire un nuovo organo, l’Ufficio di Stato per l’Informazione in Internet, destinato ad assumere l’incarico di coordinare le attività di controllo della rete.

La chiave di volta del sistema è, come si è detto, rappresentata dalla capacità dello Stato cinese di identificare, o perlomeno, di far credere di essere in grado di farlo, coloro che, attraverso l’uso di Internet, violano le leggi che disciplinano, nella Repubblica Popolare Cinese, la circolazione di informazioni, come la Legge sul segreto di Stato, o si mobilitano per organizzare attività politiche ritenute a carattere sovversivo, come proteste collettive organizzate. I casi dei giornalisti free-lance, opinionisti e legali arrestati e detenuti per queste ragioni sono, di conseguenza, estremamente numerosi. Spesso si tratta di brevi detenzioni di polizia, mirate soprattutto a intimidire coloro che utilizzano Internet nelle modalità – il più recente pretesto è la diffusione di notizie false e bugie – ritenute più pericolose per il sistema.

Se gli stessi provider dei servizi sono altresì responsabili di non pubblicare o eliminare rapidamente quanto non è in linea con la versione ufficiale degli eventi, soprattutto in caso di accadimenti critici come gli scontri etnici nelle aree di frontiera, il monitoraggio di quanto circola in rete è portato avanti da diverse migliaia di funzionari e addetti, il cui compito, in particolare, è controllare e segnalare i contenuti ritenuti sensibili fra i milioni di testi e immagini messi in circolazione in rete in Cina ogni giorno. Contenuti che circolano nei blog e ancor più nei Bulletin Board System e nei forum, i quali, ancor più dei blog, costituiscono l’arena preferita per l’espressione di critiche, commenti e la diffusione di notizie sensibili. Negli ultimi anni, alla censura si è affiancato uno sforzo attivo a ribattere e proporre, sotto le spoglie di comuni utenti della rete, la versione ufficiale degli eventi, con l’evidente volontà di costruire un’opinione pubblica online più in sintonia con le autorità attraverso il lavoro di migliaia di attivisti, più o meno stipendiati, pronti ad attaccare i critici o gli scettici.

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Il mondo della rete in Cina, d’altra parte, è solo in minima parte politicamente significativo. Ad esempio, gran parte dei trenta e più milioni di blog cinesi riguardano la vita quotidiana, gli hobby, le esperienze individuali, e i più seguiti sono quelli di personaggi famosi dello star business o dello sport. Solo una minoranza di intellettuali si occupa di commentare affari pubblici, con il continuo rischio non solo di vedere scomparire la propria presenza in rete, ma anche di essere arrestati e condannati al carcere. Se i blogger godono di una fama guadagnata anche in altri ambiti, come attori e scrittori, possono trovare una forma di tutela nella notorietà: tuttavia è sempre una protezione provvisoria che non garantisce loro la possibilità di infrangere impunemente i limiti imposti dalle autorità al dibattito pubblico. Per di più il frutto delle loro attività alla fine risulta solo una minima parte del flusso di contenuti che circolano in rete, il cui carattere è facile etichettare in primo luogo come intrattenimento.
Le autorità politiche, inoltre, sono particolarmente attente a indirizzare a proprio favore i più recenti sviluppi, alternando censura e manipolazione. Un esempio è il recente successo dei microblog, come il già citato Sina weibo, un analogo di Twitter che conta ormai duecentocinquanta milioni di iscritti ed è stato lanciato dalla società cinese Sina nel 2009, dopo la chiusura, da parte delle autorità, di altre piattaforme cinesi.

Fra gli utenti vi sono diversi personaggi famosi e uomini politici, ma anche intellettuali e giornalisti indipendenti, fatto che ha trasformato il sistema in uno dei canali più importanti per la rapida circolazione di informazioni altrimenti censurate dal panorama ufficiale dell’informazione: una realtà che sta obbligando il governo a mettere sotto pressione gli utenti per evitare il proliferare di notizie o voci indesiderate, vere o false che siano. Al tempo stesso il gradimento dei netizens per i microblog ha spinto le autorità a individuarli come uno strumento sempre più importante per la costruzione del consenso, al punto che diverse istituzioni locali, come persino la polizia della municipalità di Pechino, hanno avviato i propri, con l’idea di promuovere una nuova vicinanza fra cittadini e istituzioni, ma anche di combattere la circolazione incontrollata di informazioni e commenti potenzialmente pericolosi. Travestita da comunicazione orizzontale come quella della rete, con la maschera del contatto d’amicizia, la vecchia propaganda e informazione verticale, anche in Cina, sembra poter trovare, dunque, una seconda vita.

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