Con un discorso duro e realistico Barack Obama ha accettato ieri sera dal suo partito la nomination per la riconferma alla Casa Bianca e ha rivendicato di aver salvato l’economia dal disastro e di aver rispettato molti degli impegni presi, dalla lotta al terrorismo alla fine della guerra in Iraq e all’inizio del disimpegno dall’Afghanistan. È netto il passaggio dalla retorica della speranza di quattro anni fa al riconoscimento che uscire dalla crisi, ricostruire l’economia su basi più solide, è un lavoro immane che richiederà molti anni e molti sacrifici.
Sull’economia il presidente ha dovuto ammettere di non essere riuscito a tirare il Paese fuori dalla crisi nel suo primo mandato: «Non ve l’avevo promesso» ha scandito, anche se nella campagna del 2008 di promesse ne aveva fatte tante, «e non mi avete eletto per dirvi quello che voi volete ascoltare ma per dirvi la verità». Una verità dura quella di Obama che ieri sera spesso ha sostituito all’antico «I Will» (farò) un più realistico «I want» (voglio fare). Proponendo una lunga marcia per ricostruire l’economia su basi più solide e promettendo di muoversi con l’audacia di Franklin Delano Roosevelt, il presidente che 80 anni fa fronteggiò una crisi ancora più grave di questa. Ma chiedendo anche a tutti uno sforzo comune e senso di responsabilità. E il voto che può consentirgli di restare alla Casa Bianca, perché in ballo non ci sono solo misure per la ripresa, ma «una scelta tra due modi completamente diversi di concepire il futuro dell’America».
Obama ha poi chiesto al suo popolo di riconoscere di avere responsabilità, oltre che diritti, richiamandosi così a JFK: «Come cittadini dobbiamo capire che l’essenza dell’America non è in quello che può essere fatto “per” noi, ma in quello che può essere fatto “da” noi. Tutti insieme, col duro, frustrante ma necessario lavoro dell’autogoverno».
Finita poi con un Obama ormai coi capelli bianchi che ha abbracciato sul palco Michelle e le figlie Sasha (ormai alta quasi quanto lui) e Malia («sono orgoglioso di voi ma domani dovete andare a scuola»), l’ultima giornata della kermesse politica dei progressisti.