Israele: l'insediamento di Ulpana resta in piedi, contro la legge
Top

Israele: l'insediamento di Ulpana resta in piedi, contro la legge

Negoziati tra esecutivo e coloni, dopo che la Corte Suprema ha imposto di demolire 5 case a favore del villaggio palestinese di Dura.

Israele: l'insediamento di Ulpana resta in piedi, contro la legge
Preroll

redazione Modifica articolo

14 Giugno 2012 - 13.18


ATF
di Emma Mancini

Un braccio di ferro che va avanti da settimane e che per la popolazione palestinese di Dura Al-Qara potrebbe trasformarsi nell’ennesima beffa, un nuovo esempio di come Israele pieghi e calpesti le sue stesse leggi a favore del progetto colonizzatore. È il caso dell’insediamento di Ulpana, sorto alla periferia di Beit El, accanto al villaggio palestinese di Dura Al-Qara a Gerusalemme Est. Illegale secondo la legislazione interna israeliana, è da mesi oggetto di controversie: il governo di Tel Aviv, attraverso il Ministero dell’Edilizia, ha previsto la costruzione di altre 300 unità abitative ad Ulpana e ha tentato la scorsa primavera di approvare una legge per la “legalizzazione” retroattiva degli outpost fuori legge. La Knesset l’ha rigettata.

Una forzatura bocciata anche dalla Corte Suprema israeliana che il mese scorso ha accettato la petizione presentata dalla comunità palestinese di Dura, minacciata dall’espansione dell’insediamento. In particolare, il tribunale ha stabilito la distruzione, entro il primo luglio, di cinque abitazioni costruite su terra privata palestinese. La sentenza, accolta con speranza da Dura, ha scatenato la reazione violenta dei coloni dell’intera Cisgiordania che, oltre a marce su Gerusalemme, sono tornati al loro primo amore: le violente azioni “Price tag”. Negli ultimi giorni, a Gerusalemme Est si sono registrati diversi attacchi a proprietà palestinesi. E in tutti i casi, i coloni hanno lasciato il loro marchio: slogan sui muri per ricordare che Ulpana non si tocca.

Leggi anche:  L'Onu accusa ancora Israele di impedire la consegna di aiuti alle aree assediate nel nord di Gaza

Il governo opta quindi per la soluzione “diplomatica”: negoziati con i residenti dell’insediamento illegale per trasferire le cinque abitazioni target della Corte Suprema in una zona militare all’interno della Cisgiordania. Ma i coloni non ci stanno, temono che il governo possa giocare sporco e, una volta effettuato il trasferimento, trasformi le cinque case in postazioni militari. Ed ecco la proposta dei coloni: Netanyahu metta nero su bianco la costruzione di altre 300 unità abitative ad Ulpana. Una soluzione che nella pratica sconfessa il voto della Knesset della scorsa settimana: il parlamento israeliano aveva infatti bocciato la legge di legalizzazione delle colonie, impegnandosi così ad implementare l’evacuazione di quelle illegali per la legge israeliana.

Intanto la popolazione palestinese di Dura Al-Qara resta alla porta, in un instabile equilibrio fatto di flebili speranze e duri ritorni alla realtà. Il mese scorso, la sentenza della Corte Suprema era stata festeggiata dal villaggio, convinto di aver portato a casa una vittoria con davvero pochi precedenti. Vittoria che ora è messa in discussione dai tentativi di negoziato tra governo e coloni e dalla spada di Damocle rappresentata dalle 300 nuove unità abitative. “Possono fare quello che vogliono a Gerusalemme Est – ha detto rassegnato alla Reuters un residente di Dura, Harbi Hassan – Fanno pagare ai palestinesi i costi di demolizione per le case considerate illegali e poi permettono ai coloni di espandersi calpestando la legge”.

Leggi anche:  Gaza: gli ostaggi non devono essere sacrificati sull'altare della sopravvivenza del governo israeliano

La legge in questo caso è rappresentata dalla Corte Suprema la cui sentenza aveva stupito la comunità che aveva presentato la petizione: “La Corte di Giustizia merita questo nome – commenta il 70enne Abdul Rahman Qassem, proprietario di una delle terre confiscate 25 anni fa da Israele – Chi sono io perché si emetta una sentenza in mio favore? Una persona nella media. I giudici hanno rispettato la nostra causa”. “La terra – continua Abdul – era di mio padre e spetta ai miei figli. Vale più dell’oro”. Nena News

Native

Articoli correlati