Khatami lo sa bene che per l’opinione pubblica iraniana l’unica cosa importante delle recente elezioni politiche, svoltesi all’inizio di marzo, è stata la sua decisione di partecipare al voto, un voto che lui stesso aveva detto che avrebbe boicottato se non fossero stati prima liberati i leader dell’opposizione, che invece sono ancora in galera.
E così, dodici giorni dopo il voto, lui comincia a parlare, a dire qualcosa. Cosa? Con l’aria di chi si arrampica sugli specchi Khatami sostiene che aveva annunciato il boicottaggio delle elezioni da parte dei riformisti, “nessun riformista si è candidato e io non ho votato nessun candidato, ho votato solo per la Repubblica Islamica.” Insomma, avrebbe votato scheda bianca.
Consapevole della fragilità di questa spiegazione, ha aggiunto che successivamente dirà, spiegherà gli obiettivi della sua politica. Ma a questo punto che lo faccia o che non lo faccia potrà essere importante per lui, ma non per gli iraniani, che lo considerano politicamente morto. Khatami con questo voto e con questa spiegazione della sua decisione di partecipare alle elezioni ha posto termine, per la stragrande maggioranza dell’opposizione iraniana, alla sua storia di esponente di primo piano dell’opposizione.
Se questo è il vero esito del voto, altri tre dati emergono con chiarezza. L’eliminazione delle poche voci riformiste rimaste nel Parlamento, la sconfitta di tutti i candidati legati ad Ahmadinejad (che in sé non sarebbe una cosa negativa), la nascita di un Parlamento più che iraniano khameinista. Gli eletti stanno tutti con lui, con la guida spirituale, Khameney. Regalo peggiore per il nostro capodanno, ormai alle porte, non potevano farcelo. Vuol dire che se vorranno disfarsi di chi vogliano, anche di Ahmadinejad, e sempre all’unanimità.