Mancava solo la presa di posizione pubblica. E’ arrivata ieri. I leader del movimento islamico Hamas si sono schierati apertamente contro il regime del presidente siriano Bashar Assad che perde uno dei suoi pochi alleati sunniti nel mondo islamico. Una mossa, avvenuta non a caso mentre era in corso a Tunisi la riunione degli «Amici della Siria», forse prelude ad un raffreddamento dei rapporti anche con l’Iran – che pure qualche settimana fa aveva ricevuto come un capo di stato il premier di Hamas, Ismail Haniyeh – e con il movimento sciita libanese Hezbollah alleato di Tehran e Damasco.
Proprio Haniyeh ieri ha inneggiato alla rivolta contro Assad. «Saluto tutti i popoli della primavera araba o piuttosto dell’inverno islamico. Saluto l’eroico popolo siriano in lotta per la libertà, la democrazia e le riforme», ha detto Haniyeh davanti ad una folla di migliaia di persone riunite davanti alla moschea Azhrar del Cairo (la più importante, nel mondo, scuola sunnita di teologia islamica) per manifestare sostegno a palestinesi e siriani. «No all’Iran, no ad Hezbollah, la Siria è islamica», ha risposto la folla in un evidente riferimento alla composizione alawita, quindi sciita, del regime di Damasco. Nello stesso momento a Khan Yunis, la seconda città per importanza della Striscia di Gaza, Salah Bardawil, un alto dirigente di Hamas, arringava la folla sull’importanza di lottare per la Siria e la sua rivoluzione.
Le parole pronunciate da Haniyeh spiegano che l’allontanamento di Hamas dal regime siriano non è solo frutto di un riposizionamento politico, più pragmatico e moderato, sotto l’impulso del suo leader uscente Khaled Meshaal. E non vogliono certo esprimere un sincero sostegno alla «democrazia e riforme» in Siria, visto che i leader di Hamas rimasti per anni a Damasco, ben protetti prima da Assad padre e poi da Assad figlio, non hanno mai aperto bocca sulle violazioni dei diritti umani e sulle libertà politiche negate ai siriani. Hamas è un movimento sunnita oltre che islamico e ha dovuto fare una scelta di campo nel conflitto siriano che assume sempre di più le caratteristiche di uno scontro settario tra la minoranza alawita al potere e la maggioranza sunnita in diverse città ed aree del paese.
Non ultimo per importanza, nelle scelte di Hamas, è anche il ruolo del Qatar, piccolo ma intraprendente regno del Golfo (stretto alleato degli Usa) che dopo aver recitato una parte importante nell’intervento militare internazionale in Libia, ha visto crescere il suo status nella regione fino al punto di scavalcare l’Arabia saudita nella funzione di sponsor economico e politico dei movimenti islamici. Non è un mistero che Doha stia finanziando in Siria, Egitto e Tunisia i Fratelli musulmani. E Hamas – partorito nel 1987 dai Fratelli musulmani di Gaza – ha compreso che la sua «svolta moderata» sarà accompagnata da un generoso contributo economico oltre che da un pieno sostegno politico da parte dell’emiro del Qatar.
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