In Israele una scuola arabo-ebraica bersaglio degli estremisti

All'istituto Hand in Hand di Gerusalemme studiano ragazzi palestinesi ed ebrei. Eversivi israeliani hanno lasciato all'interno della scuola la scritta "morte agli arabi".

In Israele una scuola arabo-ebraica bersaglio degli estremisti
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10 Febbraio 2012 - 15.40


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di Michele Giorgio

A giugno «Hand in Hand» ospitò, sotto i riflettori delle televisioni di mezzo mondo, una stella della musica mondiale del calibro di Shakira. Tre giorni fa la scuola arabo-ebraica di Gerusalemme, ha ricevuto una «visita» molto meno prestigiosa e sicuramente meno gradita. Attivisti dell’estrema destra israeliana sono entrati nel campo sportivo dell’istituto scolastico e hanno lasciato sui muri una scritta fin troppo eloquente: «Morte agli arabi».

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Un’azione compiuta dallo stesso gruppo, legato al movimento dei coloni israeliani, che da mesi marchia luoghi sacri islamici e cristiani in Cisgiordania, Gerusalemme e Galilea, ed edifici pubblici, non solo palestinesi, con slogan razzisti. E’ il «price tag», il prezzo che i palestinesi e i loro amici, devono pagare per il solo fatto di reclamare i loro diritti o quando un avamposto colonico in Cisgiordania viene evacuato (molto di rado) dall’esercito.

Nella stessa notte dell’attacco alla «Hand in Hand», slogan anti-cristiani sono stati tracciati a Gerusalemme sulle mura esterne del monastero della Croce, un imponente edificio del XI secolo costruito nel terreno dove, si dice, crebbe l’albero con cui fu realizzata la croce di Gesù Cristo. «Morte ai cristiani», il messaggio lasciato sulle mura esterne del monastero da coloro che bonariamente i mezzi d’informazione israeliani definiscono «vandali». In passato slogan anti-cristiani erano comparsi anche in un cimitero greco-ortodosso di Giaffa. E’ chiaro che dietro queste azioni c’è sempre la stessa mano, che agisce da nord a sud di Israele oltre che nei Territori occupati. Ma la polizia «brancola nel buio».

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Ieri faceva di tutto per apparire sereno Arik Saporta, uno dei responsabili di «Hand in Hand» (oltre 500 ragazzi ebrei, dall’asilo fino alle superiori), dove gli incarichi sono distribuiti in modo uguale tra ebrei e palestinesi e un po’ tutto si ispira al politicamente corretto, a differenza degli altri istituti scolastici. «Ho denunciato l’accaduto e la polizia ha assicurato che manderà le sue pattuglie più spesso dalle nostre parti». Ma quelle scritte non lo lasciano tranquillo.

Anche perchè Arutz 7, la potente radio legata al movimento dei coloni, ha lanciato un duro attacco alla scuola, «colpevole» di insegnare agli studenti anche la Nakba (catastrofe), il termine con il quale i palestinesi descrivono la perdita della terra e l’esilio per centinaia di migliaia di profughi in seguito alla proclamazione dello Stato di Israele nel 1948. Pronunciare la parola Nakba equivale a una bestemmia, quasi un reato, e la destra conduce una battaglia senza sosta contro chi prova a dare un po’ di spazio alla narrazione palestinese di ciò che accaduto più di 60 anni fa. Lo scorso anno la Knesset ha approvato la «Nakba law» che prevede la riduzione dei finanziamenti a tutte quelle istituzioni e associazioni che facendo riferimento alla catastrofe palestinese «negano la legittimità di Israele».

Il giornalista Elad Benari di Arutz 7 ha riferito con orrore che Paz Cohen, portavoce dei genitori degli studenti di «Hand in Hand», ritiene «assolutamente normale che i nostri figli apprendano a scuola una versione della storia (israelo-palestinese) diversa da quella ufficiale, anzi ne siamo orgogliosi». «Gli studenti delle scuole arabe di Gerusalemme sono tenuti ad apprendere la storia di Israele – ha sottolineato Cohen – mentre i loro coetanei ebrei vengono tenuti all’oscuro della storia dei palestinesi». Parole troppo forti per la destra israeliana che chiede «spiegazioni» al ministero dell’istruzione e pretende la fine immediata della «anomalia» rappresentata dalla «Hand in Hand»

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