L'Italia arma i peggiori criminali
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L'Italia arma i peggiori criminali

Commerciare non è reato. Ma rifornire regimi sanguinari non è la cosa migliore da fare. Basta guardare i dati, impressionanti, sulle armi vendute allo Yemen di Saleh.

L'Italia arma i peggiori criminali
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31 Gennaio 2012 - 14.27


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di Umberto de Giovannangeli

Commerciare armi non è di per sé un reato né un peccato. Ma la questione si fa politica, oltre che etica, quando questo commercio s’indirizza verso Paesi sottoposti a embarghi internazionali sulle forniture di armi e verso Paesi in cui ci sono conflitti o documentate violazioni dei diritti umani. E’ quanto emerge dal nuovo “Rapporto 2011″ dell’Istituto di Ricerche Archivio Disarmo che, facendo seguito ai precedenti rapporti sulle esportazioni di armi leggere italiane leggere ad uso civile,” segnala un forte incremento sulle vendite. Nel biennio 2009-2010 l’Italia ha esportato complessivamente oltre un miliardo di euro (1.024.275.398) in armi leggere ad uso civile, precisamente 471.368.727 nel 2009 e 552.906.626 nel 2010 con un rilevante aumento di circa il 10% rispetto al biennio precedente. In particolare tra il 2009 e il 2010 la crescita si attesta a circa il 17%. La ricerca dell’Archivio Disarmo su fonte Istat evidenzia che le esportazioni sono per la maggior parte dirette verso Stati Uniti e Paesi membri dell’Unione Europea.

L’aumento più significativo per valore è sicuramente rappresentato dall’Asia passata dall’importazione di circa 28 milioni di euro nel biennio 2007- 2008 ad oltre 142 milioni nel biennio considerato. L’Italia ha esportato armi comuni da sparo anche nel continente africano e nel Medio Oriente dove la situazione di molti Paesi, già critica negli anni passati, nel periodo recente è esplosa con l’ondata rivoluzionaria che ha portato al capovolgimento dei sistemi politici e centinaia di morti e feriti. Emerge l’esportazione verso Paesi sottoposti a embarghi internazionali sulle forniture di armi (Cina, Libano, Repubblica Democratica del Congo, Iran, Armenia e Azerbaijan) e verso Paesi in cui sono in atto conflitti e in cui si riscontrano gravi violazioni dei diritti umani (la Federazione Russa, la Thailandia, le Filippine, il Pakistan, l’India, l’Afghanistan, la Colombia, Israele, Congo, Kenia, Filippine ecc.). In particolare dalla ricerca emergono alcuni casi di esportazioni a Paesi in conflitto e dove avvengono gravi violazioni dei diritti umani.

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L’Italia ha esportato armi da fuoco in tutta i Paesi nordafricani interessati quest’anno dalla “Primavera araba”: l’Egitto, la Tunisia e in particolare la Libia che ha ricevuto oltre 8,4 milioni di euro, totalmente rappresentate da pistole e carabine Beretta e fucili Benelli finite nelle mani del settore di Pubblica Sicurezza del Comitato Popolare Generale (l’istituzione di Governo Libica), col grave rischio che possano essere state utilizzate per la repressione in atto negli ultimi mesi. Sono state fornite armi, proiettili ed equipaggiamento militare e di polizia usati per uccidere, ferire e imprigionare arbitrariamente migliaia di manifestanti pacifici in Paesi come la Libia, la Tunisia e l’Egitto e tuttora utilizzati dalle forze di sicurezza in Yemen.

Lo Yemen ha importato dall’Italia una cifra pari a 487.119 euro di armi e oggi versa in una situazione di conflitto che ha provocato centinaia di morti; la dura repressione del governo, nei confronti delle manifestazioni popolari verificatesi a sud del Paese, ha causato molte vittime tra manifestanti e civili. Destano gravi dubbi, per la possibilità che siano usate per compiere violazioni del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani, le esportazioni di armi nell’Africa Sub-Sahariana in: Congo (Brazaville), Kenya e verso la Repubblica Democratica del Congo verso cui sono state esportate munizioni per un valore di 81.152 euro malgrado l’embargo dell’Unione Europea e dell’Onu in vigore dal 1993; nel conflitto tra le vittime si annoverano numerosi civili e gli attacchi indiscriminati da parte di tutte le forze in campo, anche verso la popolazione civile, stanno creando un popolo di sfollati e rifugiati. La Cina, tra il 2009 e il 2010 ha acquistato dall’Italia armi civili, munizioni ed esplosivi per un valore di oltre 3 milioni, in violazione dell’embargo, imposto dal Consiglio Europeo nel 1989 in seguito ai fatti di Piazza Tienanmen, che mira proprio a tutelare i diritti umani. L’Honduras è stato teatro di un conflitto interno durante il 2009 e nella regione dell’Agùan è stato imposto uno schieramento militare permanente a causa delle manifestazioni dei contadini contro aziende agricole private che spesso sono sfociate in episodi di violenza. L’Italia ha esportato verso il Paese più di 600 mila euro di materiali totalmente rappresentati da pistole, fucili e loro parti ed accessori. Dallo studio emergono le contraddizioni derivanti dal fatto che le procedure e i divieti previsti per le armi comuni da sparo (previste dalla legge 110/75) sono diverse dal quelle previste dalla legge 185/90 che si occupa dei trasferimenti di armi ad uso militare, una tra le discipline più avanzate a livello internazionale. E’ opportuno ricordare che, come ha più volte messo in luce l’Onu, spesso attraverso vendite legali si passa poi a successive forniture a soggetti che di questi strumenti fanno un uso non consentito, finendo per armare anche la delinquenza organizzata, formazioni terroristiche, bande paramilitari ecc.

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Come avviene già a livello europeo, ancora una volta appare necessario considerare, per i controlli sulle esportazioni, le armi comuni da sparo alla stregua delle armi leggere ad uso militare alla luce dell’ormai accertata pericolosità della loro presenza soprattutto nei numerosi scenari di conflitto che costellano i cinque continenti; conflitti in cui le armi, dalle più piccole alle più sofisticate, contribuiscono alla radicalizzazione della violenza e delle difficili condizioni post-conflittuali con impatti devastanti sulle popolazioni.

Nota bene: secondo i principi definiti dalla legge 185/90, l’Italia non può trasferire materiali di armamento in Paesi in stato di conflitto armato, in Paesi che conducono una politica estera aggressiva e propensa all’uso della forza, in Paesi sottoposti ad embargo deciso dalle Nazioni Unite e dall’Unione Europea, in Paesi cui governi sono responsabili di accertate gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani o qualora vi sia in rischio di “triangolazioni”. Le autorizzazioni all’esportazione sono coordinate dal Ministero degli Affari Esteri e dal Ministero della Difesa.

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