E’ il cambio dell’aula, da una ampia ad una più piccola e poco illuminata, l’unica novità venuta dalla decima udienza del processo ai rapitori ed assassini di Vittorio Arrigoni che, dallo scorso settembre, si svolge davanti alla corte militare di Gaza city. Ieri, per la seconda volta consecutiva, l’udienza è durata pochi minuti. Il processo è stato subito aggiornato al 30 gennaio. Non si sono presentati in aula i testimoni della difesa, pare per motivi di lavoro, e uno degli avvocati ha prontamente chiesto il rinvio. Inoltre alcuni documenti, riguardanti le prove prodotte dall’accusa, non sono stati consegnati in tempo utile alla difesa. Non è la prima volta che accade. Eppure, sino ad oggi, i giudici militari non prendono provvedimenti.
Nessuno vuole un processo sommario. A cominciare dalla famiglia Arrigoni che, peraltro, si è già espressa contro l’eventuale condanna a morte degli imputati. I diritti dei quattro alla sbarra vanno pienamente garantiti. Lo avrebbe voluto lo stesso Vittorio che non si stancava di esortarci a «Restare Umani», in ogni circostanza. Ma il processo si sta trasformando in una farsa, con udienze che durano in media cinque minuti, con un pubblico ministero abulico e una difesa che vede accolte tutte le sue richieste. Intanto il tempo passa. Dieci udienze (più due preliminari, a luglio ed agosto) non sono bastate a far entrare nel vivo il dibattimento e a fare luce su di un rapimento e un assassinio compiuti da un gruppo (presunto) salafita, che continuano a generare interrogativi e ad alimentare il sospetto di una regia esterna.
A ciò si aggiunge l’assenza ieri in aula, per la seconda volta consecutiva, di Amr Abu Ghoula, uno dei quattro imputati accusati di reati minori e, per questa ragione, a piede libero. Il presidente della corte militare, lo scorso 5 gennaio, ne aveva ordinato il fermo immediato per non essersi presentato all’udienza. Abu Ghoula si trova in stato di arresto o è ancora ricercato? Ieri nessuno ha saputo darci una risposta precisa.
Eppure le corti militari di Gaza, quando vogliono, sanno essere rapide e terribilmente spietate. Questo mese hanno emesso una nuova condanna a morte, la prima del 2012, la 36.ma da quando Hamas ha preso il potere a Gaza nel 2007. L’11 gennaio scorso un tribunale è stato condannato a morte per impiccagione un palestinese di 48 anni, colpevole di collaborazionismo con imprecisate forze ostili e di complicità in un omicidio.
Inoltre alcuni documenti, riguardanti le prove prodotte dall’accusa, non sono stati consegnati in tempo utile alla difesa. Non è la prima volta che accade. Eppure, sino ad oggi, i giudici militari non prendono provvedimenti.
Nessuno vuole un processo sommario. A cominciare dalla famiglia Arrigoni che, peraltro, si è già espressa contro l’eventuale condanna a morte degli imputati. I diritti dei quattro alla sbarra vanno pienamente garantiti. Lo avrebbe voluto lo stesso Vittorio che non si stancava di esortarci a «Restare Umani», in ogni circostanza. Ma il processo si sta trasformando in una farsa, con udienze che durano in media cinque minuti, con un pubblico ministero abulico e una difesa che vede accolte tutte le sue richieste. Intanto il tempo passa. Dieci udienze (più due preliminari, a luglio ed agosto) non sono bastate a far entrare nel vivo il dibattimento e a fare luce su di un rapimento e un assassinio compiuti da un gruppo (presunto) salafita, che continuano a generare interrogativi e ad alimentare il sospetto di una regia esterna. A ciò si aggiunge l’assenza ieri in aula, per la seconda volta consecutiva, di Amr Abu Ghoula, uno dei quattro imputati accusati di reati minori e, per questa ragione, a piede libero. Il presidente della corte militare, lo scorso 5 gennaio, ne aveva ordinato il fermo immediato per non essersi presentato all’udienza. Abu Ghoula si trova in stato di arresto o è ancora ricercato? Ieri nessuno ha saputo darci una risposta precisa.
Eppure le corti militari di Gaza, quando vogliono, sanno essere rapide e terribilmente spietate. Questo mese hanno emesso una nuova condanna a morte, la prima del 2012, la 36esima da quando Hamas ha preso il potere a Gaza nel 2007. L’11 gennaio scorso in un tribunale è stato condannato a morte per impiccagione un palestinese di 48 anni, colpevole di collaborazionismo con imprecisate forze ostili e di complicità in un omicidio.