In Yemen 4 milioni di persone rischiano di morire di fame

Il Paese è passato dalla Rivoluzione della gioventù a una crisi umanitaria che sta facendo esplodere la povertà. C'è bisogno di aiuti economici.

In Yemen 4 milioni di persone rischiano di morire di fame
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5 Gennaio 2012 - 18.19


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di Maria Gloria Polimeno

Secondo le stime riportate dal Consiglio delle Nazioni Unite nell 2012 circa 4 milioni di persone in Yemen saranno gravemente minacciate dalla crisi umanitaria esplosa a seguito dell’ondata di instabilità politica che avrebbe messo in ginocchio il Paese ormai diversi mesi.

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Secondo quanto riportato dal coordinatore delle azioni umanitarie ONU Jens Toyberg –Frandzen la crisi politica che, come negli altri Stati arabi, da qualche tempo sta caratterizzando anche lo Yemen, si sarebbe oramai riversata sul versante umanitario e, alla luce dei dati pubblicati dalle organizzazioni umanitarie, si ritiene che essa deteriorerà il Paese nei prossimi 12 mesi, il cui debito pubblico oggi ammonta al 33.5% del GDP (PIL). Si tratta di una nazione alla cui espansione demografica non corrisponde un equo tasso di crescita economica, a cui si aggiunge l’incapacità di porre in essere manovre politico-economiche atte a ricondurre la bilancia del debito pubblico ad un livello accettabile.

Le cifre riportate da Oxfam segnalano attualmente un indice di povertà poco incoraggiante, che è pari al 30% dell’intera popolazione la quale ammonta complessivamente a 23 milioni di persone. Tale cifra secondo quanto denunciato da Gillbride (Oxfam) è assolutamente sovrapponibile a quella – devastante – della Somalia. Nella fattispecie, si segnalano forti casi di malnutrizione dovuti prevalentemente ad un esponenziale aumento dei principali alimenti, i cui prezzi hanno raggiunto il +50%.

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“Questo è il motivo per cui aumenta sia la fame che la povertà. Non si tratta più di discutere riguardo a come il conflitto politico-civile abbia colpito la nazione e di come esso debba essere gestito dal punto di vista meramente diplomatico. Uomini,donne, bambini non sono più nella condizione di procurarsi del cibo”. Questo è quanto affermato da Gillbride.

Secondo quanto dichiarato da Toyberg-Frandzen “il problema maggiore è la mancanza di accesso a tutte le aree urbane, in seguito alla creazione di barricate. Ci sono stati anche problemi relativi alla sicurezza. I timori sono molti, uno dei principali è quello legato alla crisi economico mondiale a causa della quale vi è l’incertezza sul concreto reperimento delle risorse necessarie a fronteggiare la crisi umanitaria. Ciò che non spero è un ritorno dello Yemen alla fase dei conflitti e delle rivolte .” Secondo l’ONU sarebbero infatti necessari circa 452 mln di dollari per risanare la situazione del Paese.

Tuttavia, dietro la minaccia umanitaria e l’appello da parte di UNICEF, ONU ed OXFAM si nasconde una complicata crisi politica, protagonista della quale è il malcontento per il governo di Ali Abduallah Saleh, scoppiato lo scorso Febbraio 2011. Nelle proteste e manifestazioni sono rimasti vittime degli scontri circa 52 manifestanti mentre 24 dei parlamentari appartenenti al partito della maggioranza hanno dato le proprie dimissioni schierandosi a favore della “rivoluzione della gioventù ” insieme ad altri esponenti della diplomazia yemenita tra cui il Ministro dei diritti umani, degli Affari religiosi e del Turismo, a tal punto da spingere il governo ad una fase di resa.

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L’atteggiamento di sfiducia da parte della stessa diplomazia yemenita difatti avrebbe indotto lo stesso Saleh ad annunciare in anticipo le dimissioni, previste per Febbraio 2012 , ma inizialmente progettate per il 2013 secondo quanto previsto dal mandato. La resa si è avuta in virtù dei malumori interni, storicamente mai cessati, riguardanti la separazione tra il nord ed il sud del Paese. In questo la popolazione yemenita è come se riconoscesse un’incapacità di mediazione nell’operato di Saleh.

Al fine di gestire la situazione sociale e politica di transizione, ed in considerazione degli interessi verso lo Yemen da parte di USA, Arabia Saudita a scapito dell’Iran, si è costituito un governo tecnico di transizione che qualche giorno fa ha provveduto alla rimozione dei simboli della “rivoluzione”, vale a dire delle barricate e dei posti di blocco, nella speranza che l’intero Paese possa iniziare ad intravedere un periodo di stabilità, aspetti assenti nell’ultimo anno. E’ in tale scenario, politicamente critico e delicato, che si è instaurata la grave crisi umanitaria derivante dai mesi di guerra civile.
Secondo quanto denunciato dall’ ONU, le truppe di Saleh guidate dal figlio dello stesso, avrebbero causato anche la morte di donne che si erano unite alla protesta nella città di Taiz a 200 km da Sana’a. Dal canto suo l’UNICEF riporta che dall’inizio delle tensioni civili sono stati uccisi circa 94 bambini di cui 240 feriti da granate. Tuttavia le dimissioni di Saleh, pare non rappresentino né una garanzia né una speranza per la cessazione del conflitto civile; in aggiunta a ciò esse non risolverebbero il substrato di problemi a cui il Paese non riesce a far fronte, in primis la gravissima crisi umanitaria.

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