Palestina: torrente prosciugato, ora l'acqua va alle colonie
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Palestina: torrente prosciugato, ora l'acqua va alle colonie

Nemmeno una goccia: le autorità israeliane hanno costruito un generatore con cui pompare l’acqua dalla sorgente e inviarla alle colonie della Valle del Giordano.<br>

Palestina: torrente prosciugato, ora l'acqua va alle colonie
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13 Dicembre 2011 - 15.02


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di Emma Mancini

Abdallah guarda fisso il canale vuoto. Stupito, nervoso, quasi rassegnato. In questa bella giornata di sole non si aspettava di trovarsi di fronte il torrente dell’infanzia sua e di tanti bambini palestinesi completamente prosciugato. Accanto al canale senza più una goccia d’acqua, sta un’immensa pompa israeliana protetta da reti elettrificate.

“Al Auja era una sorgente, da cui partiva il torrente”, spiega Abdallah Awudallah, 29 anni, del villaggio di Ubbedyia nel distretto di Betlemme. Ha accompagnato un gruppo di internazionali alla scoperta della Jordan Valley, delle sue risorse d’acqua rubate e delle sue terre confiscate. E il tour avrebbe dovuto concludersi alla sorgente di Al Auja. Ma di acqua nella sorgente non ce n’è più.

“In arabo ‘auja’ significa ‘nella direzione opposta’ – spiega Abdallah – Chiamavamo il torrente così perché per lunghi tratti l’acqua correva verso l’alto e non verso il basso. A causa della forte pressione e della velocità, l’acqua riceveva la spinta necessaria a salire verso l’alto”.

Un sito unico che colorava di verde il deserto. “Molte delle scuole della Cisgiordania erano solite portare in gita qui gli alunni, a Gerico e poi ad Al Auja: era il luogo perfetto per passare una giornata tra acqua e pesci e per studiare una delle risorse naturali fondamentali alla vita. Nessuna scuola palestinese può organizzare gite a Tiberiade, nella Palestina ’48, per mancanza dei permessi necessari a entrare in Israele. Così, Al Auja era l’unico luogo in cui venire a contatto con l’importanza dell’acqua”.

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“La prima volta che sono venuto qui – continua – avevo circa 15 anni. Era il 1997. È stata la prima volta in cui ho visto un torrente e i pesci giocare intorno ai nostri piedi, immersi nell’acqua. Lungo il torrente, correva il verde dell’erba. Molte famiglie venivano ad Al Auja per un picnic. Ma sempre con prudenza, paura: la sorgente si trova in Area C, sotto controllo israeliano, e molte organizzazioni israeliane organizzavano tour qui. Spesso, l’esercito allontanava i palestinesi: ricordo di arresti, perquisizioni”.

“E oggi, lo scopro vuoto – sussurra Abdallah con gli occhi asciutti e fissi sul canale – Questo posto è deserto, senza vita. Mi sento vuoto, triste come questo canale. Mi chiedo come viva ora la comunità beduina di Ras Al Auja: si erano stabiliti qui per la presenza dell’acqua. Avevano erba fresca per pecore e capre e acqua potabile da bere. Ora sicuramente saranno costretti ad acquistare i tank d’acqua dalle compagnie israeliane: per ogni tank, il costo si aggira sui 200 shekel”.

Al Auja era un’oasi, spiegano gli attivisti del Jordan Valley Solidarity, il comitato popolare impegnato nell’area nella tutela e la difesa della popolazione palestinese sotto occupazione. Le famiglie erano solite venire alla sorgente per nuotare, pescare e fare picnic tra i banani. Nel 1972 la compagnia privata israeliana Mekarot (per il 51% di proprietà dello Stato di Israele) ha iniziato a scavare due pozzi che negli anni hanno ridotto la portata della falda acquifera.

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Qualche anno fa, le autorità israeliane hanno completato l’opera con la costruzione di una pompa che attinge l’acqua direttamente alla sorgente, prosciugando completamente il torrente. E lasciando a secco le comunità della Jordan Valley. In diversi modi: gli israeliani sono autorizzati a scavare pozzi fino ad una profondità di 300 metri, mentre i palestinesi non possono superare i 160 metri. Così le risorse d’acqua, teoricamente raggiungibili, diventano nella pratica inaccessibili.

Le comunità palestinesi della Jordan Valley sono costrette ad acquistare tank d’acqua dalla compagnia Mekarot, che ha monopolizzato la gestione delle risorse idriche in Cisgiordania. Come spiega il Jordan Valley Solidarity, i beduini sono costretti a pagare 200 shekel (circa 40 euro) per ogni tank d’acqua più le spese di trasporto, la stessa acqua che scorre sotto i loro piedi e che non possono più toccare.

Ogni metro cubo d’acqua costa alle comunità palestinesi 30 shekel, mentre ai coloni viene venduta a 3 shekel al m?. Per legge, inoltre, le compagnie israeliane che forniscono acqua, elettricità, servizi di telecomunicazione sono tenute ad applicare uno sconto del 75% sulle bollette pagate dai coloni in Cisgiordania: alla fine, negli insediamenti un metro cubo d’acqua viene pagato meno di uno shekel. Ciò spiega perché, mentre l’ammontare d’acqua consumato da un palestinese nella Jordan Valley non supera i 70 litri al giorno, negli insediamenti il consumo di risorse idriche è di 33 volte superiore.

Sotto il mirino dell’occupante la comunità beduina di Ras Al Auja: il villaggio si trova a circa dieci chilometri a Nord Est di Gerico e ha una dimensione totale di oltre 107mila dunam (1 dunam = 1 km²). Nella comunità vivono 4.119 beduini. Dopo il 1967, Israele ha creato una zona di sicurezza lungo tutta la Jordan Valley, operazione che ha prodotto la confisca di oltre 30mila dunam appartenenti ad Al Auja.

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Come spiega il JVS, a peggiorare la situazione la bypass road numero 90, strada riservata ai coloni e che taglia da Sud a Nord la Cisgiordania: la strada passa per Gerico e taglia a metà il villaggio di Ras Al Auja, senza che i suoi residenti possano utilizzarla.

La scorsa primavera, un trattore e l’unico tank d’acqua della famiglia Tresh sono stati confiscati L’accusa: aver rubato l’acqua alla compagnia Mekarot. Nello stesso periodo, la scuola dedicata all’attivista italiano Vittorio Arrigoni, ucciso a Gaza lo scorso 15 aprile, è stata distrutta dall’esercito. La scuola era stata costruita dal Jordan Valley Solidarity per ospitare oltre 130 bambini della comunità.

A ciò si aggiungono le colonie: Yitav, Niran e Omer’s Farm circondano la comunità beduina, mentre un checkpoint militare controlla l’area a Sud di Ras Al Auja. La disoccupazione è alle stelle, spiegano gli attivisti di JVS: “Al Auja sopravvive solo perché gli uomini vanno a lavorare a nero nelle colonie israeliane. L’area assomiglia ad un campo di lavoro, reminiscenza delle township del regime di apartheid sudafricano, con tutti gli uomini assenti durante il giorno per poter lavorare negli insediamenti”.

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